La pratica collaborativa nei conflitti familiari

Ormai sono più di 200 i professionisti operativi in Italia; si tratta di una svolta epocale nell’affrontare i casi di separazione, divorzio e tutte le problematiche relative ai conflitti familiari.

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Si è concluso lo scorso mese di marzo a Milano l’ultimo corso di formazione di altri 50 professionisti (per lo più avvocati, ma anche esperti dell’area di gestione dei conflitti e della salute mentale, e di commercialisti) organizzato dall’Associazione Italiana Professionisti Collaborativi AIADC (praticacollaborativa.it), in collaborazione con l’International Academy of Collaborative Professionals IACP (www.collaborativepractice.com).
Scegliere la pratica collaborativa, e quindi dei professionisti appositamente formati a tale scopo, significa volere partecipare attivamente alla trasformazione del proprio conflitto ed al raggiungimento di un accordo finale che deve soddisfare appieno le parti, che siederanno personalmente al tavolo delle trattative.
Individuati i legali collaborativi di fiducia (non è possibile farlo se entrambi gli avvocati non sono formati alla pratica collaborativa), con i quali entrambe le parti creeranno una particolare e più profonda intesa, si individua un facilitatore delle comunicazione che entrerà a fare parte del team che condurrà tutta la squadra ad un accordo finale condiviso. Questo comporta siglare un accordo di partecipazione, basato sulla trasparenza, lealtà e rispetto nei confronti dell’altro, che garantisca la totale riservatezza di tutto quanto dichiarato ed esibito durante il percorso collaborativo. Gli avvocati che assistono le parti infatti non potranno poi in alcun modo assistere gli stessi clienti in un eventuale giudizio successivo ove, per qualsiasi motivo, non si riesca a raggiungere il traguardo dell’accordo condiviso.
Si crea in questo modo, e con tante altre tecniche cui i professionisti sono formati, un ambiente protetto in cui, iniziando con lo sciogliere le difficoltà di comunicazione e successivamente approfondendo il dialogo, si cercherà di accompagnare le parti fuori dalla palude del conflitto nella quale si sono venuti a trovare. Ben sapendo che la strada, fatta a volte di prove ed esperimenti, dovrà rispettare i tempi di ciascuno, nella tolleranza e riconoscimento delle problematiche individuali che, proprio dagli stessi soggetti interessati, devono trovare una soluzione.
 
Dopo anni di formazione, nel 2014 si sono svolti i primi casi anche in Italia, e quasi tutti si sono risolti con successo, al punto che, ormai, verificati i vantaggi, l’inserimento nel team del facilitatore della comunicazione è diventato elemento caratterizzante la procedura.
A seconda della necessità dei casi poi potranno essere inserite anche altre figure imparziali, come il commercialista e l’esperto dei bambini, che aiuteranno nella risoluzione del caso.
I costi, che potrebbero spaventare in considerazione del numero dei professionisti coinvolti, in realtà, sono decisamente minori di quelli che richiederebbe un procedimento giudiziale, considerati i tempi decisamente più brevi di un giudizio e gli enormi benefici che derivano a tutti i componenti del nucleo familiare.
 
Ci troviamo di fronte quindi ad un profondo cambiamento del ruolo del professionista: l’avvocato che pratica il diritto collaborativo, deve dismettere i panni classici insiti nella figura tradizionale del legale, per entrare maggiormente in quelli del facilitatore alla negoziazione, concentrarsi sugli interessi sottostanti alle richieste del cliente, assistendolo nella loro messa a fuoco al fine di smarcarsi da situazioni di stallo, verso soluzioni, anche creative ed inattese, del conflitto.
Mantenendo come sfondo il diritto, che conosce, dovrà aver imparato a gestire le tensioni legate alla negoziazione ed a collaborare con le altre figure del team che si rendono necessarie nel caso trattato  con uno spirito di squadra, non abituale per il professionista, rivolto soprattutto ai risultati comuni da raggiungere.
 
Avv. Cristina Mordiglia
Diritto di Famiglia​