Andar per libri: Austerlitz

Si conclude con questo libro l’esperienza di un gruppo di lettura dedicato alla letteratura tedesca contemporanea, organizzato presso Vineria di Via Stradella e coordinato da Raffaele Santoro.

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austerlitz sebald
“Austerlitz” è il quarto e ultimo romanzo di Winfried Sebald, pubblicato nel 2001, lo stesso anno in cui Sebald morì, improvvisamente, in un incidente stradale in Inghilterra dove viveva e insegnava letteratura tedesca all'università di Norwich. Nato nel '44 in Baviera, Sebald aveva lasciato la Germania per le ferite profonde e mai rimarginate che le tragedie della guerra e dell'Olocausto e la mancata, come egli riteneva, presa di coscienza di quelle tragedie da parte dei tedeschi, avevano prodotto in lui, tanto che questi temi attraverseranno tutta la sua opera e sono presenti anche in “Austerlitz”. Annoverato fra i più grandi prosatori contemporanei, di lui si era parlato più volte come possibile vincitore del Nobel in virtù dell'assoluta originalità del suo stile e per il profondo valore morale ed etico della sua opera. Sebald infatti è riuscito a fondere, in una forma letteraria e narrativa unica nel suo genere, riferimenti molteplici alla Storia umana  a cui, attraverso un'evocazione continua di immagini e associazioni dal forte contenuto metaforico, riusciva a conferire una dimensione metafisica, come se tutto avvenisse  in un altrove, in una sorta di dimensione cosmica fuori dalla Storia, pur essendo ad essa che egli attingeva e di cui parlava, da cui quella “metafisica della storia” volta a cogliere quelle “tracce di sofferenza...che attraversano la storia con infinite linee sottili” così come egli stesso dice proprio in “Austerlitz”. A ciò è poi da aggiungere la sua scrittura che lascia spiazzati perché limpida e precisa eppure al tempo stesso ipnotica e sinuosa, con cui egli avvolge le cose e le pervade di fascino e di mistero. Tutto ciò è pienamente rinvenibile in “Austerlitz”, il suo romanzo sicuramente più bello e importante dove, più che mai, è impossibile cogliere il confine – sempre mobilissimo nell' opera di Sebald – tra invenzione e realtà. Al centro di questo romanzo vi è il tema della Memoria e di come la sua assenza e la sua perdita possano distruggere l'esistenza, metafora di come quell' assenza e quella perdita possano distruggere le coscienze. Il protagonista del romanzo Austerlitz, in un flusso monologante, riportato da un narratore senza nome che si intuisce essere Sebald stesso, ripercorre la sua esistenza in occasione di una serie di incontri casuali che avvengono tra i due in giro per l'Europa. Nato a Praga in una famiglia di ebrei cechi, all'età di quattro anni viene messo dalla madre su un treno per l'Inghilterra, poco prima che le truppe naziste facciano il loro ingresso in città e questo sradicamento, che spezzerà di colpo la sua vita, si tradurrà per lui nella perdita di qualsiasi ricordo. Quando l'io narrante ce lo descrive nel loro primo incontro, Austerlitz “non racconterà quasi nulla della sua vita” perché egli ha fin lì vissuto non solo nell' “assenza” del ricordo ma anche nella rimozione di quella assenza, di fatto come straniato da sé. Austerlitz vive infatti dedito ai suoi studi di storia dell'architettura, occupandosi in particolare – cosa di cui lui stesso non sa il perché - di stazioni,  ma la sua vita si svolge in modo del tutto ascetico e solitario, in un' “angusta stanza” a Londra, privo di affetti e di amicizie. Solo vent'anni dopo quel primo incontro, “venuto a capo” della sua vita, egli la ricostruirà al suo ascoltatore. E, con una “voce” dolentissima, il suo raccontare sarà uno scavo incessante e impietoso dentro i ricordi ma anche dentro il vissuto dei ricordi. A partire da quella atmosfera di cupa morte che aleggia nella casa del predicatore calvinista Elias e di sua moglie, ai quali Austerlitz viene affidato giunto in Inghilterra e dai quali gli sarà cambiato il nome e nulla gli sarà detto delle sue origini. E quando molti anni dopo, ai tempi del college, gli verrà comunicato il suo vero nome, “alla parola Austerlitz io non associavo assolutamente nulla”, dirà al narratore. La sua vita si svolgerà per anni come in una campana di vetro, come in un tempo sospeso. Ma quella sospensione del tempo coinciderà con la sospensione della sua esistenza. Un senso di orrore, un isolamento feroce, un'angoscia distruttiva lo pervaderà per anni e, come allucinazioni, gli appaiono immagini che gli evocano altre immagini, volti che gli ricordano altri volti, voci nelle quali sente altre voci. Senonché un giorno, con un impulso altrettanto incomprensibile a quello che l'aveva spinto a occuparsi di stazioni, Austerlitz capiterà nella Ladie's Waiting Room della stazione di Liverpool Street e lì gli verrà alla luce il ricordo “che proprio lì, in quella sala d'aspetto, ero giunto in Inghilterra oltre mezzo secolo addietro”. Da qui ha inizio inesorabile il suo percorso a ritroso con tutta la spaventosa consapevolezza, come egli dirà “di non essere mai stato veramente in vita o di essere venuto al mondo solo allora”. Scoprire quanto egli avesse rimosso, al punto da non sapere “niente della conquista dell'Europa da parte dei Tedeschi” sarà per Austerlitz un' esperienza devastante finchè gli accadrà che sentirà di un traghetto con a bordo delle bambine mandate in Inghilterra durante la guerra il cui nome PRAGUE porterà Austerlitz “alla conclusione  che...solo sentire menzionare in tale contesto il nome di quella città bastava a convincermi che dovevo farvi subito ritorno”. E lì a Praga avverrà la rivelazione del suo passato.  Con tenace e solitaria ostinazione egli troverà la casa della sua infanzia dove incontra Vera, la sua balia la quale in quel loro commovente incontro gli racconterà della sua infanzia, dei suoi genitori, della sua partenza. Saprà che il padre si era rifugiato a Parigi senza che se ne sapesse più nulla e lì, alla fine del romanzo, Austerlitz andrà a cercarne le tracce e che la madre era stata deportata nel lager di Terezin dove era morta. Egli si recherà in quel luogo e ne ritroverà lo stesso opprimente senso di morte, come se quei morti fossero indissolubilmente ancora lì. Ormai per Austerlitz il presente e il passato sono uniti nella morte, in un tempo fuori dal tempo, quel tempo sospeso in cui ha sempre vissuto e che adesso si fa cosciente in lui e gli permette di ricongiungersi con quei morti e con se stesso. Quello di Austerlitz sarà alla fine un errare tra echi, nomi, accostamenti, tracce, oggetti, città, edifici, resti, suoni, immagini, persone, dentro e fuori di sé, per cercare di guardare e rendere dicibile quella ferita rimasta a lungo oscura, ma che sarà anche l'unico modo per restituire senso ad una vita che ormai può esistere solo come eterno pellegrinaggio nella memoria, essendo ormai Austerlitz escluso dalla vita vissuta. Un errare quindi in un ignoto la cui emersione sarà un immenso mosaico le cui tessere sono stazioni di un dolore che è individuale ma anche epocale, che appartiene ai singoli ma anche ai popoli a cui quei singoli appartenevano. “Austerlitz” è il romanzo di un lutto che coincide con la vita di Austerlitz e con la tragedia dell'Olocausto e che, in entrambi i casi, può essere reso sopportabile solo sottraendolo a quell'oblio annichilente che ha lasciato Austerlitz per anni e anni in balia di quel lutto.


Austerlitz
Adelphi


(Raffaele Santoro)


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