Henrietta e le stelle pulsanti

Racconto per l'8 di marzo ()
Cielo stellato web
Alzò lo sguardo al cielo. Le parve che in pochissimo tempo il mondo fosse sparito nel buio. Doveva essere la prima sera di luna nuova, pensò, vedendo brillare la piccola falce nel riquadro della finestra del suo ufficio.
Tra qualche mese l’inverno si sarebbe incamminato verso altri emisferi. Era insofferente al buio, anche se per un’astronoma innamorata del mistero dell’universo, ciò poteva sembrare strano.
Astri e pianeti erano il suo pane quotidiano. Purtroppo quella fatica le rendeva molto poco. La sua paga era infatti di 25 centesimi l’ora per catalogare i cambiamenti delle posizioni delle stelle fotografate dai telescopi, ma ormai era venerdì e finalmente avrebbe potuto lasciare il lavoro con un po' d’anticipo

Doveva correre dal dottor Ruben per ritirare una ricetta per sua madre e, tempo permettendo, avrebbe voluto passare anche dal farmacista. Le sarebbe anche piaciuto riuscire a preparare l’impasto per il flan di cardi, il suo preferito. Doveva poi ricordarsi di passare da  sua cugina, che da mesi l’aspettava per un consiglio sugli studi che la nipote avrebbe voluto intraprendere, sua madre gliel’aveva tanto raccomandato, quella mattina.
Non le mancavano certo impegni e doveri quando improvvisamente ricevette la chiamata da Harlow Shapley il suo direttore, pupillo di Edward Pickering, capo dell’Osservatorio di Harvard, l’università in cui lavorava.
Era davvero molto tardi ma certamente non avrebbe potuto ignorare una richiesta di Shapley. Si avviò verso la stanza del capo e le sue dita si irrigidirono a contatto con l’aria fredda del corridoio dell’università, che sentiva infiltrarsi dalle finestre.

Shapley era solo nel vasto ufficio comune del secondo piano.
Era piccolo di statura, esile, biondo e con gli occhi scurissimi. Gli scorreva nelle vene sangue irlandese. Vestiva con sobria eleganza, più simile nell’aspetto ad un facoltoso mecenate che ad uno scienziato di grandi speranze.
- Sono felice di rivederla signorina Leavitt, si accomodi!
- A cosa devo questo incontro? - rispose asciutta.
- Non è senza una certa emozione che, malgrado l’incarico che ricopro... insomma signorina Leavitt, Charles Pickering vorrebbe che le assegnassi una particolare indagine. Come lei sa, siamo convinti che l’Universo non sia rappresentato dalla sola Via Lattea, ma non abbiamo alcuna prova per sostenere tale affermazione. Tuttavia, alcune sue osservazioni sulle fotografie della Piccola nube di Magellano ci hanno fatto supporre che lei intenda, come dire, collocarle al di fuori della Via Lattea.-
- Professore, io...
- È esatto signorina Leavitt, io e Charles siamo fermamente convinti che tali stelle non ne facciano parte e desideriamo fortemente che lei approfondisca quella ricerca. Per questo motivo sarà anche autorizzata ad usare i nostri telescopi.-
- Potrò usare il telescopio? Non saprei come ringraziarla professore, non vorrei mancarvi di rispetto, non vorrei prevaricare le vostre giuste competenze, ma sono felice di poter dare una mano a concludere quella ricerca, e soprattutto, soprattutto la ringrazio di aver apprezzato il lavoro da me fatto fino ad ora. Tante volte ho avuto il dubbio che potesse andar perso, invece potrebbe migliorare, crescere, grazie al vostro studio ai rilievi che ne farete.
- No signorina Leavitt, purtroppo io non mi occuperò delle sue osservazioni, si sbaglia, sto per convolare a nozze con la signorina Payne, la conosce vero?-
- Come ha detto scusi, può ripetere? Mi sembra di non aver sentito bene, sa, sono un po' sorda.-
- Le dicevo che sto per sposarmi, ha capito? E come sempre, queste cose portano via un sacco di tempo, comportano un sacco di seccature, lei capisce. Capisce?-
- Oh certo dottor Shapley,congratulazioni, avevo sentito dire dalla signorina Payne. Non si preoccupi, la terrò informata sugli sviluppi della ricerca e ancora vorrei ringraziarla della fiducia che volete riporre in me. Sono commossa e non so cosa dire.-
- Non dica nulla, se le faccio questa proposta per partecipare, che sarebbe il meno, ma anche per apportare il suo contributo alla nostra ricerca, è perchè non ho mai esitato neanche per un momento a credere che ne sarebbe stata all’altezza. Ora la prego di scusarmi, i futuri suoceri mi attendono per un rinfresco!-

Lo salutò e rimase immobile come pietrificata nell’ufficio di Shapley. Come poteva affidarle un simile incarico? Lo studio della sua vita. L’aveva sempre ignorata, lasciandole intendere che la Piccola nube di Magellano non fosse pane per i suoi denti. A quei tempi erano solo gli uomini a fare ricerca, pubblicare saggi, frequentare congressi. Una donna poteva solo analizzare numeri e dati. Lei stessa aveva fino ad allora valutato centinaia di lastre fotografiche di stelle e di nebulose per confrontarne e misurarne le più infinitesimali variazioni di luminosità.
La sua presenza poteva quasi sembrare  inutile in una struttura prestigiosa come quella. Anche se aveva scoperto tre novae e un numero incredibile di stelle variabili. Grazie a quello l’avevano infatti ammessa ad una commissione scientifica internazionale. Ora  l’autorizzavano addirittura a compiere osservazioni con i telescopi. Non stava più nella pelle dalla gioia. Quasi si era dimenticata degli impegni che aveva programmato per quel fine settimana.
Probabilmente, pensò, essere innamorati faceva perdere davvero la testa, se proprio Shapley era intenzionato a disfarsi in quel modo delle sue ricerche.

La sua futura moglie, la dolcissima Cecilia Payne, stava per ottenere un dottorato in astronomia proprio lì ad Harward. Sarebbe stata la prima donna ad ottenere tale risultato, ma va da sé che Cecilia sarebbe stata la moglie del professore. Pensare invece, che lei, che non ricopriva alcun incarico prestigioso, e che non era fidanzata di nessuno, potesse ora  dirigere il più importante settore di ricerca di Shapley la faceva semplicemente gridare di stupore e meraviglia.

Giunse il mattino della domenica di un altro straordinario week-end. Era ormai trascorso un anno da quel pomeriggio. Tutto era scivolato senza intoppi.  Aveva lavorato con uno zelo quasi religioso. Sorrise tra sé in silenzio, scrutando il cielo dalla finestra del suo ufficio, dove si era recata dopo la messa domenicale. Attese che l’infinita poesia del giorno l’invadesse completamente.
Gli alberi erano coperti di neve ed i sentierini del campus deserti e vuoti. Sotto un portico coperto da una tettoia c’erano due panchette e su una di esse sedevano vicini Harlow e Cecilia. Henrietta notò che il completo sportivo di lui non si accordava con l’abito di pizzi e merletti di lei. Quella mattina l’aveva salutata aggiungendo una frase, forse un complimento, che non aveva capito. Come le succedeva spesso in tali circostanze, aveva annuito sorridendo, fingendo di aver compreso. Se poi l’interlocutore avesse dato  segni di stupore o fosse rimasto come in attesa di una risposta, con grandissimo garbo gli avrebbe chiesto di ripetere, altrimenti avrebbe scampato anche quell’ennesimo pericolo.

Da ragazza una meningite l’aveva resa quasi sorda, ed era sempre sotto osservazione medica per gli eventuali postumi che avrebbero potuto ancora affliggere la sua salute. Qualche giorno prima in effetti, il Dottor Ruben si era mostrato preoccupato dalle analisi di controllo che lei gli aveva portato. Lei stessa si era impensierita vedendolo inquieto.
Passò una nube ed offuscò i suoi pensieri. Vide legioni armate ai confini del cielo. Il pensiero del male che avrebbe potuto affliggerla stese sopra di lei la sua brina gelata ed il disincanto avanzò lieve e sublime insieme, come una pagina bianca colma di spazio e di attesa.
Tornò a sedersi alla scrivania. Le sembrava di aver trovato una soluzione ad una ipotesi.

Prese in mano la penna e iniziò ad elaborare equazioni algebriche. Si sapeva che l’evoluzione delle stelle  talvolta conduce ad instabilità che comportano variazioni di splendore. Tali variazioni sono spesso regolari nel tempo e nell’ampiezza tra la massima e la minima luminosità,  venendo ad assomigliare a delle vere e proprie pulsazioni, oppure possono essere irregolari, simili ad eruzioni alternate a periodi di tranquillità. Henrietta aveva parzialmente accantonato lo studio delle seconde perchè dal suo punto di vista le stelle pulsanti nascondevano un segreto importantissimo.
Si pensava infatti che fossero stelle giganti o supergiganti, a loro volta divise in più sottoclassi. La classe più importante era quella delle cefeidi, che derivavano il loro nome da una stella gigante gialla: Delta Cephei. Henrietta sapeva che le cefeidi si trovavano ovunque nell’universo e dovevano essere anche molto luminose, forse mille o anche diecimila volte più brillanti del nostro sole.

Stelle tanto luminose, pensava, potevano essere viste da molto lontano. Si distinguevano infatti benissimo nelle lastre fotografiche delle Nubi di Magellano e anche in nebulose stimate assai più distanti.
 Il suo duro lavoro di catalogazione e misura delle stelle sulle lastre delle Nubi di Magellano l’aveva fatalmente condotta a formulare un’ipotesi terribilmente eccitante.
Dato che le stelle delle Nubi potevano essere considerate tutte alla stessa distanza dalla terra ( come tutte le case di New York sono praticamente equidistanti da San Francisco) anche le cefeidi ivi presenti potevano essere considerate tutte alla stessa distanza da noi.  L’importanza di questa intuizione stava nel fatto che  ciò implica che la misura della luminosità di ogni stella delle Nubi è ridotta sempre dello stesso fattore distanza.
Ecco dunque la domanda cruciale: esisteva forse una relazione tra il periodo di variazione luminosa di una cefeide e la sua luminosità media?
Henrietta ed il gruppo di ricercatori di Harvard ipotizzavano che questo dato emergesse ormai in modo inequivocabile dalle misure di Henrietta sulle cefeidi magellaniche. Tutte le stelle che presentavano lo stesso periodo di variazione avevano anche la stessa luminosità.

Inoltre più lungo era il periodo, maggiore la luminosità e viceversa. A questo punto bastava conoscere con ragionevole approssimazione la distanza di una sola cefeide vicina ed era immediatamente ricavabile la distanza di qualunque altra e implicitamente, anche della nebulosa che l’ospitava.
Grazie a questa intuizione poteva considerarsi chiusa la diatriba  scientifica sulle effettive dimensioni del cosmo. Aveva trovato un metro per misurare l’niverso o meglio, gli universi.
Si alzò e cominciò ad andare su e giù per la stanza.
Era la prima volta che le appariva così chiara quell’idea. Adesso aveva il compito di verificarla. Era come se si fosse trovata all’inizio di un cammino. Quell’ipotesi già brillava dentro di lei come un fuoco, come un’improvvisa fantastica ascesa all’incommensurabile ed insieme al definito.
Era inutile fare progetti, inventare, arrovellarsi, pensò. L’assalì un moto di panico che le impose di rimettersi seduta. Sentì un nodo alla gola ricordando di doversi recare l’indomani dal dottore e fremette.

Il dottor Ruben abitava ad appena un isolato di distanza dalla casa  di Henrietta. Le aveva dato appuntamento per quella sera per svelarle l’esito delle analisi che le aveva fatto. Purtroppo non c’era speranza: si trattava di un carcinoma. Si accorse che il gelo stava intorpidendo le sue membra e si alzò dalla sedia. Si stupì di quella sensazione di freddo che  l’avvolgeva, la casa era riscaldata e tuttavia sentiva come delle pesanti dita che piano piano spegnevano il calore dentro di lui.
Ora che doveva confessare ad Henrietta la verità si sentiva stordito. Anche le frasi che avrebbe voluto prepararsi a pronunciare, si perdevano nella sua testa e lo lasciavano ammutolito.
Conosceva Henrietta da quando era una ragazzina. La sua pronta intelligenza l’aveva sempre affascinato. Si era sentito poi come un secondo padre, il giorno in cui il reverendo Leavitt era spirato lasciando sola la madre nel compito di crescere quella fanciulla così dotata.
A grandi passi solcò la sua casa vuota. Una volta gli sarebbe bastata una voce per riempire quegli spazi. Ora si sentiva abbandonato e tradito da quella stessa vita che aveva amato e difeso per sé e per gli altri. Attraversò l’atrio vuoto come un panzer. Aveva rotto ogni legame con ogni cosa attesa. Il mondo gli sembrò così più accettabile senza speranza.
Questo avrebbe cercato di dire ad Henrietta.
Il carattere deciso di quella donna gli era rimasto impresso nelle pupille dal giorno in cui lei gli aveva svelato di essersi iscritta alla facoltà di astronomia. Sembrava del tutto indifferente ai sacrifici che l’attendevano, all’eventualità di non potersi dedicare a una famiglia, al fatto di non poter esser riconosciuta come una ricercatrice tanto quanto un collega dell’altro sesso. La passione l’accecava. Di sicuro non l’aveva mai assecondata, consapevole del fatto che lui, per se stesso, non avrebbe mai sopportato un tale destino.
Tuttavia aveva dovuto ricredersi, il giorno in cui gli aveva esposto la sua teoria sulle stelle pulsanti. Era successo qualche mese prima, probabilmente quasi in contemporanea con l’insorgere della malattia.
Gli aveva detto di aver dimostrato che quanto più certe variabili erano brillanti, tanto più lungo era il loro periodo. E poi atri dettagli per lui non troppo chiari. Sarebbe una scoperta straordinaria, aveva pensato il dottore,  avrebbero potuto ricordarla per questo, si era convinto. Probabilmente ciò avrebbe permesso di misurare la magnitudine assoluta di ogni cefeide dal solo periodo pulsazionale e la distanza tra  cento e dieci milioni di anni luce...

Si sedette alla scrivania e si appoggiò allo schienale della poltrona.
Aveva sentito arrivare Henrietta, che la governante stava facendo passare nel suo studio. Cercò di concentrarsi sull’approccio da adottare lisciando piano la cucitura della fodera del bracciolo finché ne perse il contorno.
- Dottor Ruben, posso entrare?-  la sentì domandare mentre tutte le sue forze cedevano, sopraffatte dal peso dei suoi pensieri.
La Leavitt indossava un completo verde con una macchia di caffè su una manica e un paio di mocassini slabbrati.
- Siediti, cara! -  l’esortò quasi con un fil di voce.
- Purtroppo non ho buone notizie, Henrietta, sembra un brutto carcinoma.-
Henrietta piegò la testa in silenzio. Un confine. Doveva mettere un confine  tra lei e quell’affermazione, tra lei e il mondo reale, per non distruggersi. Si sentì incerta, cieca ai bisogni del mondo. Mentre percepiva la commozione arrotolare la voce del dottor Ruben, cercò di inseguire il sogno che rendeva ricca la sua anima. Sorrise tra se e se. Non aveva più rifugio sulla terra. Udì i suoi pensieri girare a vuoto e mentre sospirava per la pena che faceva anche a se stessa, dubitò per un attimo che la sua speranza fosse vana e cieca.
Dopo un lunghissimo minuto mormorò come tra sé.
- Dovrò lasciare che Dio mi accolga -
- No, Henrietta, non abbatterti, non smettere di lottare, cerca di sorridere! - e avvicinandosi a lei, prendendole una mano tra le sue, continuò accorato: - vivi cara, perché domani ci sarà ancora il sole, perché domani sarà giorno e non notte infinita e perché tu sei più grande di questo mondo finito.-

Le parole del medico riecheggiarono nei pensieri della donna, mentre tornava verso casa. La strada che doveva esserle nota, vacillò nel suo sguardo.
Improvvisamente non fu più sicura nemmeno della direzione dei suoi passi. Se qualcosa di solido rimaneva ancora tra le sue dita, erano gli appunti delle sue osservazioni astronomiche della sera prima, che caddero sparpagliandosi a terra, quando aprì la porta di casa.
Sua madre l’attendeva con ansia e tra loro non furono necessarie parole. L’anziana vedova aveva già capito la gravità della situazione. Il cuore di Henrietta rimbalzò nell’abbraccio e lei la sostenne come una torre. Le parlò di dolore e, sebbene la sua voce stridesse, disse che era un’esperienza che avrebbero dovuto accettare. Henrietta si sentì fragile. La precarietà dell’esistenza le apparve in tutta la sua disarmante evidenza. In quegli ultimi anni la vita le era sembrata fatta di pieni ed ora avrebbe dovuto imparare ad accettarne i vuoti.
Cenarono in silenzio. Erano state vicine fino ad allora senza indagare troppo nei sentimenti l’una dell’altra ed ora  scoprivano che quella vicinanza era una consuetudine trascorsa rincorrendo le cose obbligatorie della vita e le parole non bastavano più a coprire quell’immensa percezione del dolore.
Sua madre le sorrise non avendo più la forza di spezzare la distanza che improvvisamente calò tra loro.

Fuori la luna sembrava di ghiaccio, come una piccola falce a minacciare l’unica stella che più luminosa l’accoglieva nella notte. Henrietta cercò in quella luce qualcosa di non riconducibile ad un ragionamento, qualcosa d’indicibile.
S’ inginocchiò  innanzi al telescopio e cambiò diversi oculari prima di acquietarsi e fissare lo sguardo. Cercò fuori e dentro di sé un’alba, in quella luce diffusa ma cieca che le parve impadronirsi dello spazio circostante. Il tempo della luce sembrava essersi definitivamente nascosto, pensò. Se solo avesse potuto lasciar scorrere una lacrima... ma quante erano le lacrime che potevano scorrere nel buio di quell’inverno?
Il suo volto incupito si levò in direzione del cielo. Doveva affrontare la situazione in solitudine senza sperare, coltivando l’orgoglio e la tenacia nell’anima. Si sedette alla scrivania della sua stanza e infilò le dita affilate tra gli appunti. Scrisse sul bordo di un foglio un pensiero improvviso. Ora come ora, le sembrava di avere da gestire più ricordi che aspettative. Incominciò a fare calcoli. Purtroppo, pensò, non esistevano cefeidi tanto vicine da permettere una misura della parallasse trigonometrica. Se si fosse potuta effettuare una revisione e conseguentemente una migliore determinazione della scala delle distanze delle cefeidi, si sarebbe potuto immediatamente calcolare la distanza e anche la dimensione delle galassie esterne in cui quelle stelle sono osservabili. Rigirò le carte tra le mani e si convinse che la sua ricerca sarebbe diventata sorgente di calore e gioia per quel che le fosse rimasto da vivere.
Piano piano riafferrò la sua essenza e dolcemente quasi con un muto distacco, sorrise.

La cerimonia del matrimonio di Harlow Shapley con Cecilia fu breve e semplice. Subito dopo gli sposi accolsero gli amici e i parenti nel loro salotto. Un grande locale dai soffitti bassi con stucchi colorati, i pavimenti di marmo bianchissimo sui quali spiccavano tappeti di pregio. Alle pareti erano appesi grandi specchi sormontati da finti candelabri reggi-candela e riproduzioni di astrolabi  e mappe stellari.
Tutt’intorno erano sparse sedie impagliate e tavolini, nel centro della sala campeggiava una sfera celeste in pergamena. Shapley era in piedi vicino all’ingresso, esile e minuto, perfettamente rasato, con un sorriso radioso ed esclamazioni di garbata gioia, accoglieva chiunque gli si avvicinasse.
- Il matrimonio è il destino che la società coltiva per le donne, l’avvenire a cui sono educate, tuttavia io ho voluto fare in modo che per Cecilia il nostro matrimonio non fosse la fine di nulla ma il principio di tutto - diceva alle sue collaboratrici che facevano crocchio attorno a lui. Tra le altre si notava  Annie Cannon che teneva sottobraccio Henrietta e che improvvisamente e con una sfumatura di malignità nel tono della  voce, interloquì
- Sarà dunque Cecilia, professore, la prima donna laureanda in astronomia di Harvard?-
Soddisfatto da quella domanda, che gli dava modo di sottolineare le sue aspirazioni liberali, rispose, abbassando la voce:
 - Sicuramente, cara, non capisco, pensavi forse a qualcun altra?-
 - No, certo Cecilia è Cecilia, io e tutte le colleghe saremo onorate di condividere con lei le nostre fatiche e i nostri successi, o li dividerà con lei, professore? A proposito, cosa pensa dei risultati della ricerca di Henrietta? - aggiunse arrossendo e scrutando il nastro del suo cappello che rigirava nella mano libera.
Henrietta scrollò l’amica - Cosa hai detto? Forse non ho sentito bene, hai parlato di me?-
- Ho chiesto un parere al professore sui risultati della tua ricerca.-
Ed Harlow  rispose: - Diamine Annie, non mi sembra il momento per una simile discussione, ma abbiamo seri motivi per pensare che gli svedesi stiano meditando di attribuirci un Nobel, vogliate scusarmi ora. - E si allontanò da loro e andando incontro ad un nuovo invitato.

- Attribuir-ci? Un Nobel?- Annie lasciò cadere il cappello che fece un suono gracile e frusciante nel cadere a terra, coperto dai mormorii e dai gridolini conviviali dei presenti. Henrietta lo raccolse e lo porse nuovamente all’amica dicendo:- capisco i tuoi sentimenti d’invidia, Annie, ma pensa quanto sei fortunata a poter godere della tua libertà nel coltivare la passione della tua vita. Cecilia dovrà purtroppo sottostare ai giudizi e alle idee del marito, sarà facilmente soggiogata dal desiderio di piacergli, dal timore di perdere la sua stima, sicuramente non sarà libera come noi.-
- Ma hai sentito Henrietta, stanno pensando di dare il premio Nobel per la tua e sottolineo tua scoperta, e tu non ne sei orgogliosa? Non vuoi difendere  un tuo legittimo riconoscimento? - ribattè
- Certo, sono felice di saperlo, ma non si possono separare la ragioni da chi le deve portare, sarei molto più contenta di sapere che vi sia una speranza di guarigione nella malattia che mi sta consumando. Sai, mia madre, Harlow stesso, ne sono convinta, rinuncerebbero al Nobel, se ci fosse questa possibilità - Annie l’abbracciò e si allontanò da lei in silenzio.  
Henrietta si accostò ad una finestra e scrutò il cortile dell’Università su cui si posava la tenue luce primaverile. Un leggero moto di commozione le increspò le labbra.

Nascoste nell’ombra scorse sensazioni inerti e lontane, mentre un angelo le sembrò carezzasse con dita gentili le sue palpebre pesanti, nel lento agitarsi del suo sguardo verso il cielo. Il tramonto era rosa e nel suo desiderio avrebbe dovuto coprire la terra, sovrastarla di luce, invece il paesaggio rimaneva sfuocato, proibito a quella sensazione di calore avvolgente che avrebbe dovuto contenerlo.

Seguirono ancora mesi e mesi di studio, pagine e pagine fitte di logaritmi e sviluppi in serie, per ultimare operazioni lunghe e ripetitive. Notti insonni ad osservare l’immenso cielo dalla sua  finestra, aiutandosi con la curiosità e la passione a superare l’inaffidabile destino cui ormai era votata, nonostante le assidue e continue cure del dottor Ruben e di sua madre.
Il giorno in cui Shapley volle onorarla affidandole definitivamente la direzione della sezione che si occupava di fotometria astronomica, seppe, in cuor suo, che da quel giorno il segnale pulsante di una Cefeide sarebbe stato per sempre, come l’indicatore chilometrico, lasciato lì da lei per misurare le distanze nell’universo.

Attraverso la sua finestra alta, cui facevano capolino le querce rosse del Massachusetts, seguì sentieri liquidi, rinvigorendo nel buio, correndo libera attraverso pianeti e galassie, finché la notte non s’impadronì anche della sua ombra, nel grigio mattino del 12 dicembre del 1921.

Due anni dopo un matematico svedese la propose per il Nobel, per la sua formulazione della relazione periodo-magnitudine delle Cefeidi.
Tuttavia, poiché era già morta, non potè essere nominata.

Antonella Nathanson

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Re: Henrietta e le stelle pulsanti
10/03/2014 Pier Luigi Galliari


Re: Henrietta e le stelle pulsanti
10/03/2014 Pier Luigi Galliari
Vorrei stampare il tuo bel racconto Antonella ma non riesco a farlo. forse c'è una protezione che non conosco. Mi dai una mano? Ciao.


 
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