IL PARTNER CONVIVENTE NON PUO' ESSERE ESTROMESSO DA CASA ALL'IMPROVVISO

Secondo la Corte di Cassazione, il convivente more uxorio ha diritti sulla casa ben superiori a quelli derivanti dall'ospitalità.
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estromesso da casa
Una recente sentenza della Corte di Cassazione - la n. 7214 del 21 marzo 2013 - ha trattato un caso particolare di estromissione del partner convivente, da parte di quello proprietario della casa. Ma può essere utile per esaminare più in generale la situazione in cui, in assenza di figli, l'unione fra conviventi finisce, e uno solo - più spesso l'uomo - è proprietario della casa. Va precisato in assenza di figli perché, se ci sono e non sono ancora economicamente autosufficienti, la casa resta al genitore con il quale i figli rimarranno a vivere, indipendentemente dalla proprietà.

Nel caso oggetto della sentenza del 2013 sopra citata, di figli non ce n'erano e proprietaria dell'appartamento era la donna (il compagno gliel'aveva venduto). La storia fra i partner era finita, anche se vivevano ancora insieme.
La signora, con un sotterfugio, è riuscita a buttar fuori casa il convivente non più gradito: quando questo è entrato aprendo la serratura con le chiavi, lei ha chiamato la polizia, ha mostrato i documenti dai quali risultava proprietaria dell'immobile e ha fatto passare l'ex per un intruso che stava violando il suo domicilio, o un ladro. Tanto che il pover'uomo ha consegnato le chiavi ed è uscito.
Passato lo shock e non avendo altra dimora, si è però rivolto al Tribunale per essere riammesso in casa. La difesa della ex si basava sull'assunto, fortunatamente oggi superato, secondo il quale il convivente non proprietario dell'immobile sarebbe da considerare come un semplice ospite.

Il Tribunale, così come la Corte d'Appello, ha dato ragione a lui; anche la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7214 del 2013, ha affermato che l'estromissione da casa del convivente non può essere improvvisa, violenta o clandestina (si pensi all'ipotesi più banale della sostituzione della serratura) e che, se ciò avviene, chi ha subito l'estromissione ha diritto di rientrare con un procedimento giudiziario urgente che si chiama “possessorio”.
Naturalmente, la convivenza non può durare a tempo indeterminato. Ma il partner non proprietario ha diritto a un congruo preavviso, che gli consenta di trovare una nuova sistemazione abitativa.

Molto interessanti sono le considerazioni e i richiami contenuti nella citata sentenza del 2013 della Suprema Corte, che dimostrano come, a livello giudiziario, si stia dando sempre più peso alle unioni di fatto.
In quella pronuncia si legge infatti della “rilevanza giuridica” e “dignità stessa del rapporto di convivenza di fatto”, perciò non paragonabile all'ospitalità.
La medesima sentenza richiama poi quella della Corte Costituzionale n. 138 del 2000, secondo la quale per “formazione sociale” di cui all'articolo 2 della Costituzione “deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione...”, quindi anche la convivenza more uxorio.

Infine, la sentenza del 2013 ricorda che più volte la stessa Corte di Cassazione ha considerato tale convivenza come “fonte di doveri morali e sociali di ciascun convivente nei confronti dell'altro”. Così, per esempio, ha escluso il diritto del convivente more uxorio di ottenere la restituzione di quanto dato in beni o denaro nel corso del rapporto (v. pronuncia n. 11330 del 2009); ha riconosciuto il diritto del convivente al risarcimento del danno per la morte del compagno o della compagna provocata da un terzo (v. pronuncia n. 23725 del 2008); ha dato rilevanza alla convivenza intrapresa dal coniuge separato o divorziato, per ridurre o eliminare l'assegno in suo favore (v. pronuncia n. 3923 del 2012).

Sempre secondo la sentenza spunto di questo articolo, tutto ciò “non significa... pervenire a un completo pareggiamento tra la convivenza more uxorio e il matrimonio, contrastante con la stessa volontà degli interessati, che hanno liberamente scelto di non vincolarsi con il matrimonio...”. Ma il rapporto con la casa di proprietà dell'altro convivente si fonda sulla “scelta di vivere insieme e di instaurare un consorzio familiare, come tale anche socialmente riconoscibile”. Il che “non consente al convivente proprietario di ricorrere alle vie di fatto per estromettere l'altro dall'abitazione”, bensì gli impone di “avvisare il partner e di concedergli un termine congruo per reperire altra sistemazione”.