Legislazione e lavoro femminile

Discriminazione, tutela del lavoro, conciliazione lavoro e famiglia. Limiti e difficoltà nell'applicazione degli strumenti legislativi.
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La nostra società -  che si definisce come quella del cambiamento e della multiculturalità -  ha molti problemi da risolvere riconducibili forse a un tema centrale: comprendere e accettare le innovazioni, accettare le diversità e considerarle secondo una logica di eguaglianza.
Per molte donne il problema consiste soprattutto nella scarsa soddisfazione nel lavoro ove spesso sono tuttora discriminate e sottovalutate; basti pensare a quali e quanti pregiudizi intervengono già al momento del reclutamento e della selezione delle lavoratrici e proseguono, poi, nei vari momenti della carriera lavorativa, nell'affidamento dei ruoli e nella scelta, da parte del datore di lavoro, di promuovere la carriere dell'uno o l'altra dipendente.
Si tratta di atteggiamenti genericamente discriminatori che, se solo raramente, assumono la gravità di comportamenti sanzionabili per legge, spesso si concretizzano in atteggiamenti poco benevoli o poco incoraggianti o, ancora, non premianti, relativi al trattamento retributivo, il carico e il tipo di lavoro, le promozioni e altro, tali da alimentare conflitti personali e, come detto, nei casi più gravi, sfociare in vertenze legali.
Per molte donne lavoratrici, il problema è opposto, e riguarda le difficoltà di conciliare le opportunità di crescita professionale che si offrono loro, senza sacrificare altri interessi e valori che rimangono attivi: la maternità, il ruolo, come donna, all'interno della famiglia e della società.
Sul punto si è già avuto modo di sottolineare come gli strumenti normativi approntati dall'ordinamento al fine di facilitare la coesistenza del lavoro con gli impegni e le funzioni, socialmente e culturalmente attributi alle donne, siano poco accettati, scarsamente utilizzati e non pienamente efficaci.
Stiamo parlando, in particolare, del part time, che non rappresenta un diritto per la lavoratrice neppure successivamente alla gravidanza (solo in alcuni Contratti Collettivi, come nel caso del settore Commercio, è previsto il diritto al part time per le lavoratrici madri) ma rimane subordinato alla volontà del datore di lavoro che può concederlo in base alle proprie esigenze produttive o organizzative, al telelavoro, scarsamente utilizzato in Italia, la creazione di strutture, come gli asili aziendali etc.
In sostanza, per molte donne che lavorano o per latre che svolgono attività culturali o sociali, il problema è quello di conciliare le necessità e i valori di ambienti diversi e di saper scegliere momenti e occasioni per compiere una sorta di gerarchia di importanza fra le varie appartenenze; il problema non è semplice perché modi di afre e di relazionarsi, stile di presentazione e persino il linguaggio sono condizionati dai diversi contesti. Senza contare il problema di trovare e conciliare i tempi che ogni appartenenza -  privata e pubblica - richiede.
Probabilmente, è per questo che, spesso, nelle donne prevale la logica della “eccezione” (solo parzialmente supportata dall'impianto normativo quantomeno del lavoro) cioé la tendenza a rifiutare, ogni volta che è possibile, la schiavitù delle abitudini e a ricercare soluzione alternative e personalizzate.
Il che non solo non è semplice, soprattutto nel mondo del lavoro, a spesso criticato come “capriccio femminile” secondo la logica stantia del senso comune che diffida delle novità e sottovaluta il valore della creatività.

Avv. Silvia Comolli
Avv. Francesca Quadrio
(Diritto del Lavoro)


Caption foto di apertura: FOTO ©The U.S. National Archives/Exclusivepix/IBERPRESS.
Serie di fotografie in bianco e nero tratte dagli archivi del Women's Bureau, ufficio istituito dal Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti nel 1920, per promuovere il benessere delle donne salariate, migliorando le loro condizioni di lavoro, sia dal punto di vista economico che in termini di sicurezza.



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