Legami familiari

La raccolta di racconti di Clarice Lispector è la proposta di lettura di gennaio per il ciclo “Racconti al femminile”. ()
Legami familiari immagine
“Legami familiari”, pubblicato per la prima volta nel 1960, è una raccolta di racconti della scrittrice brasiliana Clarice Lispector (1920 - 1977). In questi racconti - anche leggendo quella sorta di postfazione che è “Superflue spiegazioni” con cui termina “Legami familiari”, nella quale la Lispector accenna alle “fonti” che hanno ispirato i singoli racconti - si ha l’impressione che la Lispector, nella sua scrittura e nella sua immaginazione, sia dominata da impulsi profondi e sotterranei da cui sembra venire inconsciamente guidata. Ciò pur nell’assoluto controllo e nell’assoluta padronanza del “gesto” narrativo intendendo il possesso di una capacità di scrittura notevolissima, originale, fluente e spiazzante. E’ come se il suo sguardo penetri inesorabile dentro tracce mnestiche che si porta dentro e ne sveli la loro natura recondita, oscura e inquietante, in un certo senso persino spaventosa, come lei stessa ammette quando parlando del racconto “Il bufalo” dice: “Un giorno l’ho riletto e ho provato malessere e spavento”.
Questi racconti della Lispector sono visivamente degli scavi. E’come se la Lispector aprisse uno scavo e ci facesse vedere che cosa si nasconde dentro questo scavo. Non ha nessun rilievo la “storia” dello scavo, né tanto meno il “futuro” dello scavo. E’guardare dentro lo scavo che interessa alla Lispector ed è là dentro che porta anche noi. Non sono resti archeologici quelli che troviamo in questi scavi, bensì essi ci appaiono come luoghi tombali di cui mantengono la gelida freddezza marmorea. Ma dietro la levigata, tersa, immacolata superficie della lastra nascondono un brulicare feroce e talora terribile di vita e di vite che vorrebbero uscire da quella tomba, vorrebbero liberarsi e liberare quelli e soprattutto quelle (perché la Lispector in questi racconti appare una scrittrice molto femminile: per la sensibilità, per i personaggi, per lo stile) a cui appartengono. Ma questo non accade. Queste vite restano nello scavo in un ribollire muto e anestetizzato, in attesa del prossimo tentativo di riemersione.
Il modo di gestire la “forma” racconto della Lispector è esemplare. Perché, di norma, un racconto non deve avere un prima e un dopo, bensì deve impressionare sulla pagina un fotogramma, deve essere la visione di una cosa, magari minore, banale, quotidiana, ma di quella sola cosa. Ed è questo che la Lispector fa. Ma da “quella sola cosa”, il più delle volte minore, banale, quotidiana, la Lispector ricava e suscita mondi che si aprono su scenari di esistenza e di esistenze assai più vasti di “quella sola cosa” di cui si sta parlando e ciò soprattutto per le implicazioni interiori, profonde, umane e disumane che essi hanno. Il titolo “Legami familiari” di questa raccolta non è casuale e, al di là di essere anche il titolo di uno dei racconti è, in realtà, quanto mai appropiato nel rendere l’insieme della tematica comune a questi tredici racconti.
In tal senso l’originale in portoghese “Laços de família” che, tradotto in modo meno linguisticamente appropiato, ma più crudamente letterale starebbe per “lacci familiari”, rende ancor meglio l’intenzionalità comune a questi racconti. Perché il tema ricorrente sono quelle cose misteriose e, al contempo, sordamente oscure, opache, per non dire crudeli che sono appunto i “legami familiari”, dove legami, qui, è tutt’altro che foriero di tenerezza. Al contrario è un nodo scorsoio al quale si rischia di restare impiccati, se non lo si è già impiccati senza essersene neanche accorti. Le famiglie della Lispector sono delle prigioni micidiali, dove ognuno è solo con se stesso. Nelle quali e dalle quali non ci si slega neanche a morire, salvo buttarsi a capofitto nelle profondità della propria anima per cercarvi rifugio e spiegazioni ma dove, per contrasto, osservandosi spietatamente, si avverte ancora di più la desolazione e l’orrore della propria situazione.
E da questo punto di vista è da ammirare questa scrittrice perché la Lispector è lontana anni luce dall’abusata retorica della “solarità” dei personaggi e delle famiglie che abitano tanta letteratura sudamericana e brasiliana in particolare, pur ambientando luoghi, personaggi ed eventi in quel mondo nel quale ella era cresciuta e visse. E, nel fare queste considerazioni, non si può non tener conto che Clarice Lispector nacque in Ucraina da una famiglia ebrea (in casa sua crebbe parlando yddish) e pur essendosi trasferita in tenerissima età in Brasile queste sue origini qualcosa sicuramente vogliono dire. E perciò ha ragione chi ha detto che nella letteratura brasiliana bisogna parlare di un’era prima della Lispector e di un’era dopo la Lispector e, non a caso, Antonio Tabucchi la definì “forse la maggiore scrittrice portoghese di questo secolo” (intendendo ovviamente il ‘900).
Venendo nel merito dei singoli racconti, ve ne sono alcuni che sono di una bellezza spietata e carichi di un humor “nero” divertentissimo e, al contempo, raffinato, elegante, letterariamente squisito e, intellettualmente, di notevole spessore. In questo senso mi riferisco in particolare a “La donna più piccola del mondo” e a “Buon compleanno”. Ma è delizioso, pur nella sua iperbrevità, anche “Una gallina”, di cui, per riprendere il concetto di come la Lispector si accorga “dopo” degli impatti dei suoi scritti, dice: “Una gallina è stato scritto in circa mezz’ora. Mi avevano chiesto un pezzo…e ho finito per non consegnarlo; finché un giorno ho capito che quella era una storia interamente compiuta e ho capito con quale amore l’avevo scritta. Mi sono inoltre persuasa di avere scritto un racconto”. Più introspettivi sono gli altri racconti, nei quali si “sentono” sia nei profili dei personaggi sia nello stile certi rimandi alla Woolf.
Verrebbe da chiedersi se c’è un segnale che emerga da questi racconti a cui ci possiamo appoggiare. Pochi se guardiamo al mondo degli uomini, tanti se guardiamo al mondo degli animali. Parlando di come le era nata l’ispirazione de “La donna più piccola del mondo” la Lispector dice: “…è come se io sentissi che gli animali sono una delle cose tuttora vicine a Dio, materia che non ha inventato se stessa, che è ancora calda dalla nascita, e nello stesso tempo, cosa che si mette immediatamente in piedi, viva fino in fondo, e che vive ogni istante per intero, mai poco alla volta, senza mai risparmiarsi, senza mai consumarsi”.
E questi animali li troviamo amorevoli, simpatici, autorevoli in molti racconti: da “Una gallina” a “Il bufalo” a “Il delitto del professore di matematica”, nel quale la crudeltà di avere abbandonato un cane fa provare al professore un’umiliazione così forte, rispetto a cui, per contrasto, il cane abbandonato, così come descritto dalla Lispector, ha un’ ”umanità” che nessun essere umano riuscirà mai ad avere. Laddove la “disumanità” oggettiva del professore assurge a “colpa originaria”, a condanna muta e atavica, comune a tutti gli esseri umani. Perché dietro il desiderio di amore e di amare, dietro la ricerca della felicità si annidano le parti più oscure di noi:”E riflettè sulla crudele necessità di amare. Riflettè sulla malignità del nostro desiderio di essere felici. Riflettè sulla ferocia con la quale desideriamo giocare. E sul numero di volte in cui uccidiamo per amore.”

Commenta

 
 Rispondi a questo messaggio
 Nome:
 Indirizzo email:
 Titolo:
Prevenzione Spam:
Per favore, reinserire il codice riportato nell'immagine.
Questo codice serve a bloccare i tentativi di inserimento automatici.
CAPTCHA - click right for audio Play Captcha