Il passeggero segreto

Il racconto di Joseph Conrad è la proposta di lettura per il mese di maggio del ciclo “Racconti d’autore fra Otto e Novecento”. ()
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“Il passeggero segreto” è uno dei racconti più famosi di Joseph Conrad e fa parte del classico solco conradiano dei cosiddetti “racconti di mare”. “Il passeggero segreto” - scritto da Conrad nel 1909 e pubblicato per la prima volta nel 1911 - ha per protagonista uno dei personaggi/io-narranti, ricorrenti in Conrad cioè il “capitano” il cui profilo è sintetizzabile nella definizione datane da Virginia Woolf: ”...quel suo capitano di mare, semplice, freddo, oscuro”.
E, coerentemente al profilo del suo protagonista, ne “Il passeggero segreto” domina infatti il tema della solitudine interiore e del dover fare tormentosamente i conti con l’altro da sé, quel “passeggero segreto” che non solo “il capitano” si sentirà in dovere di celare agli altri, ma che gli si configurerà come un suo vero e proprio doppio.
“Il capitano” nasconderà a bordo, anzi nella sua stessa cabina, un ufficiale di un’altra nave, ormeggiata vicino alla sua che, issatosi di nascosto sulla sua nave, vi aveva trovato rifugio.
Come confesserà al “capitano” egli fuggiva in quanto macchiatosi, se pur contro le sue intenzioni, dell’uccisione di un marinaio sulla nave in cui era imbarcato.
Ma il vero soggetto di questo racconto è il sottile e via via sempre più avvolgente conflitto interiore che avvilupperà “il capitano” il quale, nel diventare, di fatto, complice del fuggiasco, proteggendolo, svilupperà un progressivo processo di identificazione, quasi che anche egli avesse in sé una colpa oscura e inconfessata di cui l’altro da sé, il fuggiasco, con la sua apparizione, ne fosse diventato la materializzazione.“Il capitano” non assumerà mai atteggiamenti ostili verso “il passeggero segreto” e meno che mai penserà di denunciarne la presenza a bordo, ma farà in modo - ingegnandosi in una pericolosa manovra sotto costa, “inventata” a bella posta tra lo sconcerto dei suoi secondi - di farlo sbarcare di nascosto, di fatto salvandolo o comunque dandogli una chance per salvarsi e, al tempo stesso, dandogli la possibilità di un destino di libertà.
Ora l’idea del doppio se stesso è esplicitata da Conrad quando fa dire al “capitano”: “E io ebbi paura che mi chiedesse a bruciapelo notizie di quell’altro me stesso”. Non si saprà, fino alla fine, che cosa abbia mai commesso “il capitano”, ma la sua paura rivela un sentimento di colpa, una trasgressione che è avvenuta.
Egli sarà, per tutto il racconto, solo con se stesso, “condannato” e “autocondannato” alla solitudine interiore, in preda a quel complesso di colpa ancor più acuito dall’evidente trasgressione che sta compiendo. E solo quando, fatto sbarcare il clandestino, potrà riprendere il largo si sentirà sollevato. Laddove il mare, contrapposto alla terraferma, sarà per lui un ritorno alla libertà, quasi che solo sul mare e nel mare la libertà sia possibile.
In tal senso come ha scritto Piero Jahier: “L’uomo conradiano…Non può farsi illusioni, può solo tentare di vivere una solitaria vita eroica che lo costringa ad affrontare sempre di nuovo la paura dell’ignoto e dell’altro se stesso. La fuga sul mare è così un atto romantico: sciogliere le vele, puntare al largo la polena corrisponde al solo possibile tentativo di redenzione”. Perché, come ebbe a dire lo stesso Conrad: “Il mare non è mai stato amico dell’uomo. Al massimo complice della sua irrequietezza”.

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