Intervista ad Emilio Fioravanti

Il grafico che per decenni ha curato l’immagine della Scala e del Piccolo Teatro vive e lavora in zona Lambrate. ()
emilio.fioravanti

Emilio Fioravanti, milanese, classe 1945, ha curato l’immagine grafica del Piccolo Teatro per quasi sessant’anni e quella del Teatro alla Scala per cinquanta. E’ uno Zona 3 D.O.C., dato che vive in Via Iommelli e ha lo studio in Via della Sila, una traversa di via Pacini, dove l’abbiamo incontrato.

Ci racconta come è nata la sua prestigiosa carriera?

Tra il 1961 e il ’64 ho studiato alla scuola di design dell'Umanitaria, un corso sperimentale di grafica con insegnanti di livello, come Bob Noorda, Giancarlo Iliprandi, Albe Steiner, Max Huber e Massimo Vignelli. Subito dopo ho iniziato a lavorare alla Unimark International come assistente di Vignelli che, tra i suoi committenti, aveva anche il Piccolo Teatro. In quel periodo mi è capitato spesso di andare a presentare i lavori a Paolo Grassi, che dirigeva il Piccolo assieme a Giorgio Strehler. Quando poi, nel 1968, Vignelli ha deciso di trasferirsi in America, Grassi mi ha proposto di continuare da titolare il lavoro per il Piccolo. Così, nel 1969 ho fondato lo studio G&R Associati con mio fratello Giorgio e altri. Eravamo cinque soci e, oltre al Piccolo, che seguivo in particolare io, abbiamo avuto importanti committenze da aziende come Arflex, Artemide, Bilumen, iGuzzini, Olivari, la testata Vogue. E il Teatro alla Scala da quando, nel 1972, Grassi ne è diventato sovrintendente. In studio ci dividevamo i compiti ma, per la mostra del Bicentenario della Scala a Palazzo Reale, nel 1978, ci siamo mobilitati tutti insieme. Contando gli assistenti, siamo arrivati ad essere in venti nello studio, che allora era in Via Zenale, vicino a Corso Magenta.

Anche se Grassi era andato alla Scala, avete continuato ad occuparvi del Piccolo Teatro…

Sì certo, lavorando a più stretto contatto con Giorgio Strehler che, nel frattempo, era diventato direttore unico. Col tempo l’immagine grafica del Piccolo era già andata modificandosi, ma si era trattato di innovare senza perdere la continuità, la riconoscibilità: c’era stato un graduale inserimento dei colori, ad esempio le scritte in rosso accanto a quelle in nero. Poi con Strehler ci fu un sempre maggior uso delle immagini degli spettacoli per manifesti, volantini, programmi di sala. E un’impaginazione più fantasiosa. Tra fine anni Settanta e primi anni Ottanta realizzammo manifesti di importanti spettacoli come “La Tempesta”, “El nost Milan”, “Il temporale”. E poi “Elvira”, in cui Strehler recitava, che nel 1986 inaugurò il Teatro Studio.

All’epoca ancora non si usava il computer?

No, gli esecutivi si facevano a mano, incollando le patinate con i testi su un cartone. E sopra si metteva una carta da lucido trasparente, in modo che le correzioni venissero fatte dal committente su quella, per non compromettere il lavoro sottostante. Altrimenti bisognava rifare tutto daccapo, come è capitato qualche volta con Grassi. Strehler poi, se era scontento, poteva anche strappare tutto. In ogni caso, i rapporti erano ottimi, direi quasi di amicizia. Poi il bozzetto veniva fotografato, si creavano delle pellicole, quindi il fotolitista andava a “bucare” le foto, ecc... Un lavoro complesso, con tempi di preparazione piuttosto lunghi che, quando si è cominciato ad usare il PC, si sono accorciati molto. Però questo ha comportato che, nella mente del committente, nascesse l’idea che ogni intervento potesse essere istantaneo. La Scala, ad esempio, è capitato che ci chiedesse il venerdi pomeriggio di impaginare una pubblicità per il Corriere della Sera che doveva uscire il sabato…

La collaborazione con il Piccolo è proseguita anche per tutto il periodo di direzione di Roberto Escobar, ma si è interrotta un paio d’anni fa ...

Il nuovo direttore Claudio Longhi aveva l’esigenza di cambiamento, anche dei fornitori. Mi è stato comunque chiesto di occuparmi della grafica per le manifestazioni dedicate ai 100 anni dalla nascita di Strehler, tenutesi nel 2021 e 2022. Però ora il mio rapporto con il Piccolo si è concluso. Peraltro, il Teatro ha ridotto moltissimo l’uso dei materiali cartacei. Ad esempio non ci sono più programmi degli spettacoli stampati: all’ingresso delle proprie sale (il Teatro Grassi, lo Strehler e lo Studio) il Piccolo fornisce un QR Code per scaricarli sul cellulare.

Come è terminato invece il rapporto con il Teatro alla Scala?

Gli enti pubblici ogni tanto devono indire dei concorsi, per assegnare ai fornitori i servizi di cui necessitano. Così nel 2014 la Scala (sovrintendente era Alexander Pereira) mise a gara la grafica e la pubblicità. Noi abbiamo partecipato solo alla prima, e l’abbiamo vinta. Così abbiamo continuato a collaborare fino all’inizio di quest’anno, quando Dominique Meyer, attuale sovrintendente, ha indetto una sola gara per tutta la comunicazione della Scala, aggiungendo alla grafica anche il sito web e i canali social, con lo scopo di attribuire l’incarico ad un’unica agenzia. Noi non abbiamo partecipato perché riteniamo di nostra competenza solo la parte grafica e così è terminata la nostra collaborazione. Come ultimo contributo, quest’anno ho curato il progetto grafico della mostra “Zeffirelli. Gli anni alla Scala”, che è ora in corso al Museo Teatrale della Scala, e del suo catalogo.

C’è qualche altro suo lavoro che le fa piacere ricordare?

Per circa un ventennio, a partire dagli anni Novanta, ho curato la grafica delle stagioni musicali della Società del Quartetto. Per il Comune di Milano ho curato l’impaginazione della guida “I Musei di Milano” e suoi successivi aggiornamenti, di cui l’ultimo nel 2018: anche in questo caso, l’attuale scelta del committente è quella di limitarsi ad una versione web, provvedendo in proprio agli aggiornamenti e alla pubblicazione sul proprio sito. E poi voglio ricordare la collaborazione con Giorgio Gaber. Ai tempi dei suoi spettacoli al Teatro Lirico organizzati dal Piccolo Teatro, avevo realizzato tutti i manifesti e le locandine. Così in seguito Gaber mi chiese di realizzare le copertine di alcuni suoi dischi, tra cui quella di “Polli di allevamento”, per la quale mi procurai un timbro col disegno dell’animale che utilizzai su tutta la superficie disponibile. Inoltre, dopo la sua morte, la Fondazione Gaber nel 2012 mi chiese il progetto grafico di un cofanetto di CD con 50 reinterpretazioni di suoi brani fatte da altrettanti nomi famosi della musica italiana.

Ed ora, dobbiamo considerare Fioravanti in pensione?

In parte sì, ho 77 anni per cui largo alle nuove generazioni! In questo studio sono rimasto io solo, però mi riservo di fare ancora qualche lavoro grafico a titolo personale. Vedremo…



Commenta

 
 Rispondi a questo messaggio
 Nome:
 Indirizzo email:
 Titolo:
Prevenzione Spam:
Per favore, reinserire il codice riportato nell'immagine.
Questo codice serve a bloccare i tentativi di inserimento automatici.
CAPTCHA - click right for audio Play Captcha