Da femmina a maschio

Una condizione difficile da comprendere per i genitori e per la società. Una mamma, ora impegnata in Agedo, racconta come ha accompagnato il figlio in un percorso faticosissimo, sostenendolo con la consapevolezza di essere sempre stato amato. ()
articolo agedo
Nello studio dello psichiatra, in quella clinica spagnola mai vista prima, mi sembrava di vivere in un incubo. “Si prepari a dire addio a sua figlia e ad accogliere suo figlio”, mi disse freddamente il dottore, accompagnandoci alla porta. Non avevo mai sentito parlare prima di un’assurdità del genere: cambiare sesso, diventare da donna a uomo.

A quel tempo mia figlia aveva 23 anni, e io sentivo da almeno 20 anni che non era felice nel suo corpo di femmina e che avrebbe preferito essere un maschio, ma che cosa potevo fare?
Da piccola le lasciavo indossare solo tute da ginnastica e magliette da maschio, come voleva lei. Le facevo mettere il cappello con la visiera al contrario, anche se mi innervosiva. La iscrivevo a calcio e supplicavo parenti e amici che non le regalassero bambole e vestiti rosa o “da femmina”.

Oltre a fare questo, secondo me non c’era che aspettare e sperare… magari con l’adolescenza avrebbe iniziato ad accettare il suo corpo, chissà. Pensavo che sarebbe certamente diventata una ragazza insolita, mascolina, ma speravo avrebbe trovato il suo posto nel mondo, come già nel corso della storia avevano fatto altre persone simili a lei.

E invece era arrivata quella tremenda crisi di pianto alla comparsa delle prime mestruazioni, l’infelicità nel vedersi crescere il seno, e poi l’isolamento progressivo dalle amiche che avevano i primi fidanzati, e quell’adolescenza solitaria e triste. E i continui litigi in famiglia, le bugie assurde su fidanzati inesistenti, le crisi di nervi e di infelicità.
Nessuno della serie di psicologi e psichiatri con cui l’avevamo costretta a parlare fin da bambina del resto aveva mai espresso un parere se non banalità del tipo “gelosia per il fratello”, “scarsa autostima”.

Poi la partenza, appena finito il liceo, per l’università all’estero. Una liberazione per lei, e francamente anche per noi. Quattro anni in cui ci era sembrata più serena. Forse era davvero la famiglia a darle angoscia, forse davvero il confronto continuo con un fratello troppo bravo in tutto l’aveva condizionata, forse noi genitori avevamo sbagliato a starle troppo addosso con le nostre ansie.
Quattro anni di università quasi sereni, conclusi con quella bellissima festa di laurea. Felicità pura per noi. Si era persino fatta crescere i capelli qualche centimetro più del solito ed era bionda e bellissima nella sua toga nera – era la prima volta in cui indossava qualcosa di simile a una gonna – e noi tre (mamma papà e fratello) eravamo così orgogliosi di lei!

“Però scordati che io mi tenga i capelli lunghi”, aveva soltanto detto, ma a me non era sembrata una grande minaccia.
E invece da lì era iniziato il suo “percorso”. Ci vedevamo ogni due mesi circa, e la trovavo sempre più mascolina, con capelli sempre più corti. Fin da piccola aveva sempre nuotato e fatto esercizio per avere spalle robuste, ma ora aveva esagerato con i pesi, sviluppando bicipiti enormi. Restava sempre vestita in

spiaggia anche con il caldo per non mostrare a noi il corpo non depilato, su cui si era fatta tatuaggi degni di uno scaricatore di porto.
“Perché non ci dici che sei lesbica? Per noi non ci sono problemi, ti vogliamo bene” le dicevo. “Forse sì ma non lo so… oppure sì ma c’è qualcosa di più, che va ‘oltre’ essere lesbica”.
Oltre?! Cosa voleva dire? Non capivo, non sapevo, non conoscevo la possibilità per una femmina di diventare maschio: il maschio che nella sua testa già era, che era sempre stato.
Aspettavo il chiarimento, aspettavo l’esplosione, ma nonostante ciò mi trovai impreparata quando arrivò quella telefonata da un parente, come una bomba: “Vostra figlia è impazzita, dice che vuole tagliarsi il seno, prendere ormoni, farsi crescere la barba, diventare un uomo”.

Le chiesi di tornare a casa per qualche giorno. Parlavamo fino ad addormentarci esausti, ripetevamo sempre le stesse domande, ascoltavamo sempre le stesse risposte. Non cedeva di un millimetro.
Nel frattempo io mi informavo, leggevo, cercavo su internet, compravo libri, andavo a convegni, chiedevo informazioni ad amici e a medici.

Soprattutto frequentavo un gruppo di famiglie che avevo trovato in Spagna e che mi era di grande aiuto: mi evitava di sentirmi il solo genitore al mondo a cui era capitata questa esperienza. Da qui deriva il mio impegno attuale con Agedo, l’associazione italiana di genitori che aiuta chi sta vivendo un’esperienza simile a quella che qui racconto.
Dalla mia ricerca di informazioni trovai conferma a quello che diceva: esistevano transessuali non solo “transitati” da uomini a donne - come già sapevo dalle storie di cronaca nera di prostituzione, oltre che dai miei amati film di Almodovar - ma anche da donne a uomini! Di questi ultimi però in precedenza non conoscevo l’esistenza, rappresentavano l’ignoto.

Poi arrivò l’accettazione, o meglio la rassegnazione: in famiglia capimmo che non avremmo potuto fare niente per opporci a quello che lei, anzi lui, intendeva fare. La scelta era solo se accompagnarla nel percorso oppure abbandonarla. E naturalmente non pensammo nemmeno per un istante di abbandonarla.
Così iniziò la trafila di visite mediche. Gli ormoni, il cambio di voce, i peli che crescevano sul viso e sul corpo, i vestiti ormai decisamente e indiscutibilmente maschili. Le operazioni aspettate e vissute come una festa di liberazione, il dolore sopportato come l’uscita da un tunnel, quel corpo nuovo che a me faceva male e che a lui (ormai non si poteva più chiamare altro che “lui”) dava soltanto gioia.
C’era anche da seguire l’infinito iter legale, ed ecco infine arrivare i documenti con il nuovo nome, e anche l’atto di nascita veniva di conseguenza modificato.

Io intanto stavo lentamente cercando di capire, di emergere, di riuscire a parlarne con gli altri… ma che fatica. Mi feriva ed esasperava vedere la sua euforia, il suo entusiasmo nel gridare al mondo tramite i social media quello che stava facendo: avrei voluto un po’ di riservatezza!
Comprendevo che era la strada giusta perché lui stesse bene, che non poteva fare diversamente, ma nello stesso tempo soffrivo nel vedere un corpo così martoriato, soffrivo nel pensare che avrebbe potuto essere felice nel corpo da femmina che le avevo fatto io, quel corpo cui aveva rinunciato e che aveva mutilato buttando via seno, utero, ovaie.

Nel frattempo vedevo decisamente i progressi di una nuova persona. Vedevo la sua fiducia in sé stesso, la sicurezza che non aveva mai avuto prima.
Vedevo la serenità e la grinta con cui affrontava le sfide del lavoro e della nuova situazione, la tranquillità con cui spiegava al mondo le sue ragioni. Vedevo una persona diversa, finalmente sicura di sé, delle sue scelte, felice di come si vedeva allo specchio.

Credo di essere cambiata molto anch’io in questi anni. Ritengo di essere sempre stata una persona con una visione molto aperta, ma ho dovuto affrontare un’esperienza che è andata oltre l’ordinario: accompagnare un figlio in un percorso che nemmeno immaginavo esistesse. Ne è valsa la pena, per vederlo essere la persona positiva e serena che è diventato, contornato dagli amici che non aveva mai avuto.
Certo rimangono le mie paure: per la sua salute, per il mondo che lo circonda, per i pregiudizi contro le persone come lui, per la difficoltà di trovare una partner, per i pericoli in agguato…
Più forte di tutto è però la soddisfazione di essere riuscita ad aiutarlo e a stargli vicino, e ora sentire con forza la sua vicinanza e la sua gratitudine, la sua consapevolezza di essere sempre stato amato.

Ed è per questa ragione che mi attivo in Agedo per ascoltare i genitori che si trovano di fronte a questa mia stessa esperienza e cercare di aiutarli.
A differenza di sette anni fa, ora si parla moltissimo della “transizione” e non penso ci sia nessuno che non conosca storie simili a quella che ho raccontato.
I genitori che sempre più numerosi si rivolgono ad Agedo hanno figli adolescenti, poco più che bambini. Si trovano quindi anche a doverli orientare, sostenere, difendere, farli accettare nella scuola e nella società come si sentono di essere, proteggerli da episodi di bullismo per quanto possibile. Molt* ragazz* non si sentono né maschi né femmine e solo così riescono e trovare il loro equilibrio: una condizione ancora più inedita e difficile da comprendere per i genitori e per la società. Eppure si tratta di qualcosa che è sempre esistito nella storia e in tutto il mondo, ma che solo ora esce allo scoperto, tolto il velo di ipocrisia e pregiudizi che impediva di parlarne.

Tutti questi genitori di bambini e di adolescenti si trovano di fronte ad un compito ancora più difficile di quello di fronte a cui mi sono trovata io con un figlio già adulto.
La mia fatica, nell’ascoltare dai genitori le stesse difficoltà e dolore che ho provato anch’io, è compensata alla soddisfazione di vedere la loro progressiva comprensione nei confronti dei figli/figlie e il loro amore incondizionato nel volerli sostenere in un difficile ma liberatorio percorso.


AGEDO MILANO ha aderito alla campagna per richiedere a Regione Lombardia di discutere la Proposta di Legge Nanni "NORME CONTRO LA DISCRIMINAZIONE DETERMINATA DALL'ORIENTAMENTO SESSUALE E DALLA IDENTITÀ DI GENERE".

Qui potete leggere in sintesi i contenuti della proposta.

www.agedomilano.it
e-mail: agedomilano@gmail.com
FB: Agedo Milano Tel: 02 54122211


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