I racconti di Pietroburgo

La grande opera di Gogol apre il percorso di lettura a cura di Raffaele Santoro dedicato al tema “Luoghi letterari europei”. ()
racconti di pietroburgo immagine
“I racconti di Pietroburgo” (1842) sono una pietra miliare non solo della letteratura “fantastica”, a cui sono ascrivibili, ma anche per il lascito che essi hanno avuto nella successiva letteratura russa, a partire dall'ormai leggendaria affermazione di Dostoevskij, quando disse: “Siamo tutti usciti dal Cappotto di Gogol'”. I cinque racconti che li compongono e cioè: “La Prospettiva Nevskij”, “Il ritratto”, “Il diario di un pazzo”, “Il naso” e, appunto, “Il cappotto” hanno un elemento che li accomuna in modo immediato e cioè l'ambientazione pietroburghese, laddove la vera protagonista di questi racconti, in ultima analisi, è proprio la stessa Pietroburgo che diventa, agli occhi visionari di Gogol', metafora di quel mondo alla rovescia che egli intendeva rappresentare.
Nelle battute finali de “La Prospettiva Nevskij” - racconto che più di tutti si sofferma sulla città, attraverso la descrizione quanto mai dettagliata e pungente del “Corso Nevskij” e dei suoi frequentatori Gogol' dice: “Oh, non credete alla prospettiva...Qui tutto è inganno, tutto è illusione, tutto è diverso dalle apparenze”. Ad intendere che dietro lo splendore e la grandezza di quel Corso e dell'intera città, divenuta Mito di se stessa, si nascondono dimensioni e realtà altre e diverse. Ed infatti, in questi racconti, il verificarsi di un evento inatteso scardina il corso delle cose e getta i protagonisti in situazioni che diventano, per loro, contrassegnate da un contenuto di follia di cui non riescono a farsene una ragione o a darsene una spiegazione, finendo per diventare essi stessi folli al punto, nei casi più “disperati”, di morirne.
Gogol' colloca storie e personaggi in contesti assolutamente reali e quotidiani, a partire dalle descrizioni degli specifici luoghi all'interno della città dove egli fa muovere i protagonisti. I quali, a loro volta, sono descritti per ciò che essi concretamente sono e fanno. In questo senso è possibile individuare due “tipologie” prevalenti: una è quella dell'artista e in particolare quella del pittore, presente nei primi due racconti, l'altra è quella del funzionario statale, partecipe e al tempo stesso vittima dell'apparato burocratico che troviamo negli altri tre.
La prima delle due “tipologie”, cioè quella dell'artista, consente a Gogol' di mettere a fuoco il tema di come il Male possa penetrare nel Bello, stravolgendolo e sottomettendolo: al demone del danaro, come accade ne “Il ritratto”, oppure, ancor più cinicamente, alla prosaicità dell'esistenza, come accade ne “La Prospettiva Nevskij”. Ancor più realistico è il contesto dell'ambientazione “ministeriale” in cui le logiche della sottomissione e dell'ossequiosità, della mortificazione e dell'umiliazione, dell'apparire e del sembrare, porteranno i protagonisti dei relativi racconti a subire tutte le possibili ripercussioni di quella loro situazione, cercando, con esiti che andranno dal tragico al tragicomico, di trovare una soluzione, un'illusione, un riscatto, senza però riuscire ad essere padroni di quei tentativi. In tutte queste ambientazioni Gogol' “usa” quindi il contesto realistico per poter, con più evidenza e forza, generare, per contrasto, quell'elemento “folle” che interviene a determinare la dimensione “fantastica” con cui ci svela ciò che si cela dietro la “realtà” delle cose.
Ne “La Prospettiva Nevskij” l' irrompere dell'inatteso si materializza quando un giorno - mentre si trova proprio sul Nevskij Prospekt - al pittore Piskarëv appare una bellissima fanciulla, ai suoi occhi pura e celestiale, che incarna il suo ideale di bellezza. Riuscirà ad avvicinarla avendo, peraltro, la stessa fanciulla assecondato Piskarëv in tal senso. Finché, trovatosi a tu per tu con lei, scopre che l'affascinante fanciulla è, in realtà, una comune prostituta, né “pentita”, né tormentata dall'esserlo. Il contrasto, fra l'incanto che quell'apparizione aveva suscitato al pittore e la cruda verità che gli si presenta, introduce nel racconto un elemento di cupa irrealtà, risultando al protagonista quella verità spaventosa e folle, incapace, come egli sarà, di farsene una ragione. Come se un maleficio avesse architettato e generato quello sdoppiamento tra l'apparire e l'essere, svelando la fanciulla una sorta di suo doppio. Il sogno infranto annichilisce Piskarëv che, in balia di se stesso, si toglierà la vita.
Qui Gogol', facendo scontrare rapimento estatico e trivialiatà, nel momento in cui la seconda trionfa, ci mostra come la Bellezza possa essere deturpata da una prosaicità disarmante e cinica, rivelandosi quindi effimera ed ingannatrice.

Anche ne “Il ritratto” Gogol' ci fa vedere come una dimensione materiale: in questo caso quella del danaro, possa invadere un ambito di per sé improntato alla Bellezza quale quello dell'arte inficiando la creazione artistica. Čartkòv, pittore di talento, convintamente votato alla sua realizzazione come artista, ma non ancora affermatosi, un giorno, per caso, acquista da un mercante un vecchio quadro raffigurante il ritratto di un anziano i cui occhi sembrano vivi, che lo impressiona profondamente, quasi soggiogandolo. Senonché, dall'interno della cornice del quadro casca, ai suoi piedi, un rotolo di monete, lì nascosto. Attratto dalle prospettive che quelle monete gli offrono Čartkòv apre uno studio e si mette sul mercato. Sarà travolto da un successo inebriante che lo arricchisce in modo inatteso, ottenuto però con lavori dozzinali estranei a qualsiasi ricerca artistica fino a quando, un giorno, vedendo un'opera sublime di un suo vecchio compagno si accorge di avere ormai perso il suo talento e che non sarà mai più l'artista che avrebbe voluto essere. Sprofonderà in una caduta senza rimedio che lo porterà dalla rabbia ad una cupa follia ed infine ad una nera morte. Il quadro raffigurante il vecchio - che era poi un vecchio usuraio che si era fatto dipingere in modo talmente realistico da poter continuare ad “esistere” anche dopo morto – aveva quindi rilasciato i suoi malefici, facendo pagare duramente a Čartkòv il suo sdoppiamento, avendo egli sostituito alla sua natura di vero artista quella “commerciale” ed effimera nella quale si è fatto intrappolare, vittima del demone del danaro che il vecchio usuraio gli ha instillato.
Passando agli tre racconti l'elemento fantastico assume in essi, in modo marcato, le declinazioni dell'assurdo. Gogol', in questi racconti, fa infatti ricorso a invenzioni narrative a loro modo “gratuite”, dando libero corso all'irrazionale più puro. Il racconto che più accoglie e realizza questa modalità è sicuramente “Il naso”, in cui Gogol' attua un fantastico “spregiudicato” e visionario.
Una mattina infatti “l'assessore di collegio” Kovalèv si sveglia e scopre di non avere più il suo naso. L'evento fantastico irrompe quindi prepotentemente sulla scena e Gogol se ne infischia totalmente di ogni logica perché non solo Kovalèv si ritrova senza naso ma, a sua volta, il naso se ne va inopinatamente e tranquillamente in giro per Pietroburgo in uniforme da alto ufficiale. Il naso quindi assume vita propria e viene fatto muovere da Gogol' attribuendogli il pieno possesso delle facoltà umane.
Kovalèv, si troverà in una posizione che lo farà sentire depauperato del proprio potere e della propria dignità e perciò impossibilitato a frequentare “la società”. Egli cercherà varie “soluzioni” per rientrare in possesso del suo naso ma oltre che grottesche e assurde esse risulteranno vane ed inutili perché Kovalèv resterà, fino alla fine, ostaggio degli eventi, finché un mattino, “Svegliatosi e rivolta senza pensarci un'occhiata allo specchio, che cosa vide? Il naso! L'afferrò con una mano: era proprio il naso!”. Il racconto si conclude quindi tanto misteriosamente quanto esso era iniziato, restando quell'impressione di “gratuità” che Gogol' non dissipa, alimentandola lui stesso. Kovalèv infatti non determinerà in alcun modo lo svolgersi delle cose, venendo tutto dominato da una irrealtà a cui anche gli altri personaggi che appaiono sulla scena si presteranno. Ma di cose così, cioè di cose inverosimili ed inspiegabili - dice Gogol' alla fine del racconto - nel mondo ne succedono e non c'è quindi da sorprendersi dell'inverosimiglianza di tutta questa storia. Siamo insomma dalle parti di un teatro dell'assurdo che esalta l'irrazionalità assoluta della vicenda. Ed è proprio di questa irrazionalità, che è nelle cose, che ci parla Gogol' in questo racconto.
Per il suo contenuto di follia il racconto che più si avvicina a “Il naso” è “Il diario di un pazzo”. Qui Gogol' mette in scena un'alterazione della realtà che si fa essa stessa realtà, attraverso un esplicito protagonismo della follia. Proprìščin il “pazzo” protagonista del racconto è, per la verità, un impiegato ministeriale del quale, dal suo stesso diario – giacché in forma di diario Gogol' svolge il racconto – veniamo a conoscenza del tormentato e insofferente rapporto che egli ha con superiori e colleghi e della solitudine e dell' isolamento nelle quali egli cova la sua follia. Tuttavia, anche in “Diario di un pazzo”, c'è un evento che scatena in modo decisivo la follia di Proprìščin. Vista infatti una mattina, sulla Prospettiva Nevskij, la figlia del suo direttore scendere da una carrozza Proprìščin ne resta ammaliato e se ne innamora perdutamente.
Il contrasto fra l'assurda e assoluta irrealtà in cui sprofonda Proprìščin, nella quale egli coltiva le sue ingenue e folli illusioni e gli spezzoni di realtà opposti a quelle illusioni che egli stesso registra, alimenta l'irrazionalità “fantastica”del racconto. Laddove Proprìščin si creerà sempre di più, dentro la sua mente lacerata, un suo mondo capovolto, finché vittima della sua pazzia verrà rinchiuso e sottoposto a trattamenti la cui brutalità, da lui stesso descritta in modo straziante e delirante, dà al racconto una conclusione cupa e disperata. Conta in tal senso rilevare come la morte, il venire espropriati della propria identità, la disumanità sono presenze tangibili in questi racconti, rivelando ciò la complessa personalità di Gogol' e della sua opera. Satira e compassione, visionarietà e disperazione, tragico e comico convivono infatti stabilmente in Gogol' e questo diventa assolutamente evidente ne “Il cappotto” in cui le istanze proprie della letteratura degli umiliati e offesi sono pienamente compresenti con quelle tipicamente fantastiche ed irrazionali.
Akàkij Akakièvič (A.A.), il protagonista de “Il cappotto”, nell'ufficio ministeriale in cui è impiegato, è abituato a sopportare scherzi e irrisioni di ogni tipo che gli vengono rivolti in modo volutamente offensivo rendendolo una vittima sacrificale. A.A. è quindi un umiliato ma lo è perché egli è un umile che non chiede nulla al mondo, né nulla si aspetta. Copista di documenti A.A. svolge il suo lavoro con indefessa abnegazione, egli è un perfetto travet, chiuso e rinchiuso nel suo mondo e in esso trova la sua ragione di vita. Un innocente quindi, un buono, estraneo al male in ogni sua forma che vive in una sua interiore ed intima armonia. Ma in chi, come A.A., conduce quella vita grigia e sottomessa in cui non accade nulla anche un piccolo avvenimento, che vi fa il suo ingresso, si trasforma inesorabilmente in un evento. Si può quindi comprendere perché farsi un cappotto nuovo, quale quello che scoprirà di doversi fare, assumerà per lui un'importanza straordinaria. Non solo perché dovrà fare fronte a preoccupazioni materiali per potersi “permettere” quel cappotto ma, soprattutto, perché quel cappotto diverrà per lui un simbolo, una ragione di vita, un'occasione di rivalsa e di rinascita. Ciò produrrà in A.A. una sorta di trasfigurazione, una nuova voglia di vivere che si trasmetterà anche all'esterno, finendo per venire ammirato anche da chi l'aveva sempre dileggiato. Un senso di rivincita, un'elevazione, una fiducia, inattese e insperate, mai prima conosciute, si fanno quindi strada in A.A.
Ma come uno di quei disincanti che abbiamo già visto fare il loro ingresso sulla scena anche qui accade un fatto che per A.A. avrà dell'inaudito. Mentre fa rientro a casa di notte, dopo aver festeggiato con colleghi e superiori il suo nuovo cappotto, viene aggredito e derubato del cappotto. Quella perdita si rivelerà per A.A. l'anticamera della perdita della sua vita. Anche perché quello scacco, già di per sé distruttivo, sarà amplificato dalla mancanza di ascolto e di giustizia che egli dovrà patire da parte di coloro a cui si rivolgerà per ricevere aiuto. Definitivamente annientato nel corpo e nello spirito A.A. ne morirà di dolore. La realtà perciò ancora una volta distrugge il sogno, il Male dissipa il Bene e la morte decreta la scomparsa del protagonista. Ma qui, a differenza degli altri racconti, Gogol' introduce un'inversione e, nello stesso tempo, non si esime dall'agire uno sdoppiamento. La soluzione drammatica avrà infatti un suo rovescio, laddove con una “nemesi fantastica” Gogol' farà ritornare in scena, come una sorta di vendicatore di se stesso, A.A., facendolo riapparire nelle vesti di un “fantasma” che deruba i passanti dei loro cappotti. A.A. trasformato in un essere immateriale si comporterà in modo del tutto opposto rispetto a come aveva fatto in vita, rivalendosi dei torti subiti. E quando avrà esercitato la sua ultima e più desiderata vendetta scomparirà per sempre. Un finale assurdo e irrazionale capovolge quindi il racconto mutandolo da realista e filantropico a racconto da humour nero, dove prevalgono la provocazione, l'irrisione, il rovesciamento. Alla fine l'intonazione patetica e compassionevole lascerà il campo a un fantastico liberatorio e sovversivo che ribalta il mondo e le cose. Ma così facendo Gogol' mette più che mai a fuoco le sue due realtà quella tragica e terrena e quella ironica e grottesca del suo immaginario fantastico con cui ci fa percepire l'altra faccia, quella assurda ed irreale, del mondo e della vita.

Commenta

 
 Rispondi a questo messaggio
 Nome:
 Indirizzo email:
 Titolo:
Prevenzione Spam:
Per favore, reinserire il codice riportato nell'immagine.
Questo codice serve a bloccare i tentativi di inserimento automatici.
CAPTCHA - click right for audio Play Captcha