La Zona 3 ai tempi del COVID-19

Intervista ad un medico di base della nostra zona per capire cosa stia succedendo e come stiano operando i medici di medicina generale. ()
anni azzurri
In assenza di dati specifici per quartiere che ci facciano meglio capire quanto siamo toccati dalla realtà della diffusione del virus COVID-19, abbiamo intervistato un medico di base che opera nella nostra zona per capire meglio numeri e modus operandi.

Per tua esperienza, tenendo conto del fatto che gli asintomatici e con sintomi lievi sono almeno il 50% dei contagiati assoluti, su che percentuale siamo in zona di contagi?
Ho 1500 pazienti e di questi 2 sono ufficialmente contaminati e ricoverati in terapia intensiva. Ho inoltre una trentina di casi con chiari sintomi di contagio, ma a cui non è stato fatto il tampone. Poi sicuramente ce ne sono altri asintomatici o con sintomi lievissimi confondibili con una normale influenza che neanche si mettono in contatto con il medico. Quindi penso che il rapporto di 1 a 10 dei contagiati sia plausibile, ma con esattezza non si può sapere. Percentuali ancora molto lontane da un'immunità di gregge (ndr: l'OMS ha detto che la soglia per l'immunità di gregge per la COVID-19 possa essere almeno del 60%). Comunque i numeri reali potranno emergere solo quando verrà rilasciata ufficialmente un'analisi sierologica affidabile, effettuata su numeri significativi della popolazione.

Come intervieni quando un paziente ti contatta per sospetta COVID-19?
È fondamentale raccogliere informazioni relative ai sintomi, ai fattori di rischio e alla situazione clinica cronica (su questo siamo in vantaggio, sono i nostri pazienti, di cui conosciamo la storia) e alla situazione socio-abitativa. Fondamentale far sì che abbiano a disposizione un saturimetro.
Mi faccio contattare quotidianamente al telefono o via mail per valutare l'evolversi della situazione e identificare così quali pazienti inviare in ospedale e quali gestire al domicilio, talora anche iniziando una terapia farmacologica che va però valutata caso per caso. I farmaci di cui si parla sui giornali quali idrossiclorochina, eparina, antibiotici non possono essere certo terapie auto-prescritte e non esistono ad oggi protocolli definiti. Inoltre, l'accaparramento di idrossiclorochina ha portato a carenza del farmaco per malati che lo assumono in cronico e questo non deve succedere. Si sta cercando, grazie al contatto quotidiano con esperti e al confronto con i colleghi, di trovare strategie di cura sul territorio che possano ridurre le probabilità di viraggio a forme gravi, così come in ospedale si stanno cercando di ottimizzare le cure, per accompagnare il paziente a superare le varie fasi dell'infezione.

Hai notizie dirette o indirette delle RSA?
Le notizie sono quelle uscite sui giornali grazie a parenti e operatori sanitari. Purtroppo la mancanza di protocolli di isolamento dei casi, la tardiva risposta delle direzioni sanitarie sia di RSA, ma anche di cliniche private, e la paura di generare panico, hanno provocato in alcuni casi vere e proprie ecatombe di anziani e personale di servizio. La denuncia di casi come quello del Pio Albergo Trivulzio o, nella nostra zona, quello di Anni Azzurri (23 morti in pochi giorni), non sono isolati. Ho sentito anche di altri casi in cui hanno proibito ai medici e personale di dotarsi di mascherine per non spaventare gli ospiti. Per quanto riguarda la mia esperienza personale, posso dire che un mio ex-paziente, ospite di una RSA di zona, è deceduto e una mia paziente, operatore in una RSA, è stata contagiata in forma lieve, ma a sua volta ha contagiato il marito che ora è in gravi condizioni. È ovvio che in situazioni di promiscuità come quelle di una RSA è facile che, in presenza anche di un solo caso, questo funga da miccia e che il virus si propaghi velocemente.

Percepisci molta apprensione? E se sì, limitata a persone di età avanzata?
La paura è stata tanta all'inizio. Ciò mi ha portato a tenere sempre acceso il cellulare per poter rispondere alle varie chiamate. I primi giorni sono stati difficili, anche perché sono emersi subito i casi più complessi su cui intervenire, poi la situazione si è calmata, anche perché ormai l'informazione dei media era tanta, per cui c'era una maggiore consapevolezza.
Per assurdo ho percepito più paura da parte dei giovani che degli anziani, tra i quali ho anche riscontrato a volte imprudenza.

Come medico, ti senti tutelata e protetta dai vari decreti e direttive regionali? Hai paura?
Premessa: vediamo tutti i giorni, e lo dicono anche gli esperti, che questa malattia è ancora da studiare e conoscere nei suoi vari aspetti. Inoltre si comporta in maniera imprevedibile e quindi ciò genera apprensione tra chi se ne deve occupare.
La Regione Lombardia ha sempre più gestito la sanità in modo ospedalo-centrico, riconoscendo sempre meno l'importanza, quale presidio sul territorio, dei medici di medicina generale. Siamo stati mandati allo sbaraglio a fronteggiare la situazione. Questa malattia è stata affrontata dalla Regione come un'emergenza da trattare solo in reparti specifici (le terapie intensive) e non come un problema di 'salute pubblica', e poco è stato fatto nel guidare i medici di medicina generale a un protocollo per la gestione del paziente a domicilio, ove possibile, e per l’inquadramento del paziente da inviare eventualmente in ospedale.
Solo il fatto che da subito, per nostra diretta e autonoma iniziativa, ci siamo messi in rete per informarci e capire come agire, ci ha in qualche maniera supportato. Basti pensare che le email giunte da ATS in cui ci chiedevano di aumentare la ricettività telefonica e di stabilire un calendario di chiamate per i pazienti fragili, sono arrivate settimane dopo che già avevamo spontaneamente intrapreso queste pratiche (ndr: su questo c'è una lettera dei medici di medicina generale).
Altra questione è il fatto che siamo poco ascoltati: non abbiamo ad oggi la possibilità di effettuare tamponi a pazienti che molto probabilmente sono stati infettati, perché i tamponi sono eseguiti solo a pazienti con sintomi di una certa gravità valutati in sede ospedaliera (oppure ai calciatori, al personale della Regione, etc.), il che si traduce anche nell’impossibilità di intervenire sulla diffusione della malattia: noi non siamo in grado di dire se un paziente con sintomi sospetti gestito al domicilio sia poi realmente guarito o meno, e quindi questo stesso paziente potrebbe ritornare a lavorare, magari in un supermercato, ancora infetto.

Puoi dirci qualcosa anche sulla questione dei DPI, le famose mascherine?
Infine sui dispositivi di protezione individuale, abbiamo acquistato di nostra iniziativa quello che siamo riusciti a trovare sul mercato. ATS ci ha distribuito solo poche mascherine chirurgiche (ndr: quindi con scarsissima protezione personale, utili solo a proteggere gli altri e non l’operatore) e guanti con il contagocce (prima 10, poi 20), e siamo oltretutto dovuti andare personalmente a ritirarle tutti nella stessa sede facendo code anche lunghe. Mascherine FFP2 (ndr: quelle con protezione sia attiva che passiva, quindi anche verso gli operatori sanitari che le portano) ne sono state distribuite 5 da parte del Comune di Milano, oltre a 50 chirurgiche. 100 mascherine chirurgiche per la distribuzione ai pazienti fragili sono state invece consegnate dalla Protezione civile direttamente allo studio. I DPI oltre che inadeguati sono oltretutto arrivati tardi, tanti medici si sono ammalati in particolare nella prima fase dell’epidemia e la maggior parte di quelli deceduti erano medici di medicina generale, proprio perché si andava a visitare pazienti infetti senza protezioni sufficienti. I DPI non sono solo le mascherine, invece niente camici usa e getta, e niente visiere. Anche i saturimetri sono nostri. Insomma, pochissima attenzione da parte delle istituzioni.

Qual è il tuo giudizio, personale, sugli interventi della Regione? E sulla lettera di Spata e i 7 punti della Federazione Regionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Lombardia
I 7 punti segnalati sono tutti assolutamente condivisibili e confermano la mancata tutela e la scarsa considerazione dei medici di medicina generale da parte della Regione Lombardia. Anche nell'impossibilità di fare a tappeto tamponi a tutto il personale medico, sarebbe stato auspicabile almeno che fosse fatto a coloro i quali, come nel mio caso, sono entrati in contatto diretto con malati COVID-19. Io ho dovuto mettermi in quarantena e sono poi tornata a lavorare, senza poter sapere se fossi o meno positiva e forse potenzialmente ancora contagiosa.
Altra conseguenza di questa epidemia è la paura a rivolgersi agli ospedali per altre patologie, anche in casi gravi. Ci è capitata una paziente giunta in ritardo in ospedale per la paura di ricorrere alle cure ospedaliere. Purtroppo i numeri ci dicono che in Lombardia c'è un incremento importante della mortalità causato dal Coronavirus direttamente, ma anche indirettamente, per patologie diverse.

Cosa ne pensi del nuovo padiglione di terapia intensiva presso la Fiera di Milano?
Innanzitutto la creazione di posti di terapia intensiva staccati da un ospedale generalista è un costo alto e con pochissimo ritorno, una scelta poco funzionale (ndr: dimostrazione è il fatto che ad oggi solo 3 pazienti siano ricoverati in quel padiglione). Poteva essere più utile allestire lì un ospedale di primo accesso o di ricovero per la quarantena, un po' come fatto dal Comune presso l'Hotel Michelangelo.

E dei provvedimenti governativi?
Il lockdown è sicuramente partito in ritardo e in maniera timida.

Quale ritieni sia la strada migliore per uscire dal lockdown?
Non ho un ricetta definita, certamente la fase 2 dovrà avvenire in maniera graduale e idealmente potendo testare la popolazione attiva con tamponi, pur con tutti i limiti di accessibilità, costi e attendibilità, e test sierologici, attualmente in fase di sperimentazione. Fondamentale per un certo periodo sarà continuare a mantenere una distanza sociale nei luoghi di lavoro e di aggregazione.

Come madre di una ragazza che deve fare quest’anno la maturità, pensi che le disposizioni siano state adeguate?
In classe di mia figlia sono state attivate le lezioni a distanza, così come in gran parte di quelle delle scuole di zona. Certo il problema è per quelle famiglie in cui la presenza di più ragazzi in età scolare e una situazione economica disagiata, impediscono di avere più device e una connettività sufficiente. (ndr: vedi anche l'appello di Sant'Egidio per le famiglie ROM).

Come vive la maturità dimezzata tua figlia?
È una cosa che rimarrà per sempre nella sua vita: essere una maturanda del 2020 con una maturità dimezzata! E anche il dispiacere di non aver saputo che molto probabilmente il 22 febbraio sia stato il suo ultimo giorno di scuola.

Un messaggio finale: oggi affacciandomi ho visto molta più gente per strada. Questo non va bene! RESTIAMO A CASA!
Speriamo che l’esperienza che stiamo vivendo ci insegni tanto! E per quanto riguarda la sanità nello specifico che ci sia una visione più organica e si pensi maggiormente alla sanità pubblica, riconoscendo anche l’importanza della medicina territoriale.

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