La metamorfosi

Il capolavoro di Franz Kafka è il primo appuntamento del 2019 con il percorso di lettura “Quella ‘fantastica’ letteratura. La letteratura del fantastico tra ‘800 e ‘900” a cura di Raffaele Santoro. ()
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“La metamorfosi” scritto da Kafka nel 1912 e pubblicato nel 1915 è un testo estremamente polimorfico perché si offre a differenti chiavi di lettura, così come le varie interpretazioni che ne sono state date evidenziano. Da quella che lo ha letto in chiave edipica per gli evidenti riferimenti al noto conflitto fra Franz Kafka e suo padre Hermann che avrà poi, nella famosa “Lettera al padre”, indirizzata da Kafka a suo padre, la sua esplicita e drammatica confessione. A chi ha visto ne “La metamorfosi” un'allegoria del tema della discriminazione degli ebrei. A chi ha rilevato - nella condizione a cui si troverà assoggettato il protagonista de “La metamorfosi” - il riferimento al tema dell'alienazione e della spersonalizzazione dell'individuo nella società volendo, altresì, rappresentare Kafka, l'emarginazione alla quale il "diverso" viene tragicamente condannato dalla società.

Ma se queste collocazioni del testo kafkiano, solo per citare le più note e ricorrenti, sono tutte legittime e fondate, “La metamorfosi” è, in realtà, prima di tutto - per quanto in esso è narrato e per come è narrato - un testo dominato da una ben precisa dimensione che lo connota in modo esplicito, e cioè la dimensione del fantastico tale da renderlo a pieno titolo ascrivibile a quel tipo di letteratura. Proprio perché l'inaudito, il non naturale, l'impensabile, l'impossibile che sono i tipici elementi fondativi e identificativi della letteratura del fantastico trovano ne “La metamorfosi” una presenza e una rilevanza evidente ed assoluta. Anzi è proprio in questa dimensione che, sin dall'incipit con cui si apre “La metamorfosi”, Kafka ci getta, costringendo prima di tutto noi lettori ad accettarla come un dato di fatto non controvertibile e non spiegabile e così per tutto il racconto.

Si tratta - così come lo ha definito Francesco Orlando nel suo saggio su “La metamorfosi” contenuto ne “Il soprannaturale letterario. Storia, logica e forme”, che raccoglie i suoi studi sulla letteratura del fantastico, di un vero e proprio pugno sul tavolo. Dice infatti Orlando: “L'inizio è come un pugno sul tavolo: il soprannaturale è gettato davanti al lettore, subito e tutto, con tale violenza e nella sua integralità. E il lettore deve accettarlo, perché se rifiutasse il patto dovrebbe interrompere la lettura.”

Ma anche altri autorevoli studiosi di Kafka convengono sul contenuto espressamente fantastico, prima ancora che simbolico e metaforico, de “La metamorfosi”. Per esempio Luigi Forte quando afferma: “Della Metamorfosi di Franz Kafka tutto si può dimenticare, ma non l'inizio, uno degli incipit che ha fatto il giro della letteratura del Novecento. Ormai quasi un luogo comune per raffigurare il mostruoso come ovvio. Non una metafora né una connotazione simbolica”.
E anche Cesare Segre inquadra esplicitamente “La metamorfosi” in quello che egli definisce un “mondo fantastico”: “L'inizio del racconto, memorabile, è anche decisivo: “Destandosi un mattino da sogni inquieti, Gregor Samsa si trovò tramutato, nel suo letto, in un enorme insetto”. Il risveglio è spesso, in Kafka, il passaggio a un mondo fantastico.”

“La metamorfosi”, come peraltro il suo stesso titolo ci comunica, è quindi la storia di una trasformazione tanto inverosimile quanto mostruosa e misteriosa, determinandosi narrativamente una mutazione di stato: dal mondo reale a un mondo immaginario. Il passaggio cioè dall'umano al non umano e, ancor più orribilmente, ad una delle possibili forme del non umano che più ispirano ribrezzo nel nostro immaginario quella di un insetto per la precisione di uno scarafaggio. Di cui il commesso viaggiatore Gregor Samsa un mattino, al suo risveglio, nella casa in cui vive con i suoi genitori e sua sorella, assume le fattezze e le manifestazioni fisico corporee. Ma non, per così dire, la “coscienza”, mantenendo la sua di coscienza cioè quella umana tale e quale a quella che preesisteva in lui prima della mutazione.

In Gregor Samsa si determina quindi una frattura fra anima e corpo, fra un interno che continua ad essere sensibile e, come tale, a provare tutta la gamma dei sentimenti e delle sensazioni umane ed un esterno che si presenta, si muove e si manifesta in tutta la grevità e la penosità che esistere, avendo il corpo di uno scarafaggio, comporta. Vi è quindi uno sdoppiamento nell'unità, cioè il mantenersi nello stesso soggetto di una doppia natura: quella di Gregor Samsa uomo e, al tempo stesso, quella di Gregor Samsa scarafaggio. E ciò in una modalità irreversibile, senza cioè che Gregor Samsa ritorni mai, nel corso del racconto, ad essere pienamente uomo, né diventi del tutto ed esclusivamente uno scarafaggio.

Il dramma di Gregor Samsa è perciò che egli è sempre se stesso pur essendosi trasformato in uno scarafaggio e quindi vive e percepisce tutta la disperazione che questo determina e comporta, divenendo il suo un vero e proprio incubo. Vi è quindi un evidente elemento claustrofobico dovuto al fatto che Gregor Samsa è costretto a vivere in quel corpo che lo imprigiona e lo opprime, di cui non si può liberare e non si libererà. Ed è questo il primo dramma che Kafka mette in scena ne “La metamorfosi”: la perdita della libertà, l'impossibilità di emanciparsi dalla costrizione e doversi così rassegnare a subire lo scacco, disumano e devastante, di essere prigionieri di se stessi. Fino al limite estremo della morte che diventa, di fatto, l'unica possibile liberazione: “Della necessità che dovesse scomparire era forse ancora più convinto della sorella”, dice Kafka di Gregor.

Perché, come in una sorta di sequenza si susseguono, ne “La metamorfosi”, stadi, differenti e progressivi, che rinchiudono e limitano lo spazio vitale di Gregor Samsa, sia in senso fisico che esistenziale, fino a ridurlo ad una condizione di cattività, accentuando e amplificando ciò la dimensione claustrofobica del racconto. Quando il padre di Gregor Samsa lo scaccia nella sua stanza dopo che da essa egli è faticosamente e spaventosamente, per chi lo osserva, fuoriuscito, allontanandolo definitivamente da sé e dal resto della famiglia, è proprio quella riduzione alla cattività che si realizza, intesa come l'essere buttati fuori dal mondo.

Intorno a Gregor Samsa si farà infatti progressivamente e crudelmente il vuoto. Lo si relegherà in quella sua condizione, condannandolo spietatamente a quel suo destino, senza darsi e senza dargli alcuna speranza. Gregor Samsa si troverà quindi ad essere due volte vittima. Vittima impotente di se stesso e vittima dell'incomprensione e del rifiuto altrui, sia per ciò che riguarda il contesto pubblico che quello privato. Intendendosi i suoi datori di lavoro da una parte e la sua famiglia dall'altra che alimentano, rinforzandolo, quel senso di esclusione.

Gregor Samsa subisce quindi l'umiliazione e l'offesa degli altri laddove, ovviamente, quella paterna e familiare è la più terribile. Le quali sono rese ancor più laceranti e dolorose in quanto si manifestano come conseguenza di un intento e di un atteggiamento colpevolizzante. Su Gregor viene infatti gettata l'ombra implacabile di una colpa per quella trasformazione che avrebbe messo in atto. Non solo perché così facendo non è più in grado di essere quella fonte di reddito necessaria al mantenimento della sua famiglia che egli aveva sin lì rappresentato ma perché l'unilateralità di quella trasformazione rompe e trasgredisce il patto di subordinazione ed accettazione delle norme sociali e familiari a cui Gregor si era sin lì assoggettato. Quindi egli, mutandosi in scarafaggio - intendendosi implicitamente che è egli stesso ad averlo fatto e voluto – diventa colpevole di insubordinazione e di infedeltà al patto e ai vincoli che lo legano al lavoro e alla famiglia. E la colpevolizzazione coinciderà con la sua negazione: non essendo più il suo comportamento adeguato egli viene letteralmente condannato.

Non vi è, perciò, non solo nessuna pietà per il suo dramma, ma neanche la presa d'atto di ciò che è accaduto. Cioè l'inverosimile, nel momento in cui viene derubricato ad essere “solo” insopportabile ed inaccettabile - così come lo può essere una disgrazia, essendo in questo modo che, a un certo punto, viene definita la metamorfosi: “...una disgrazia come nessun'altra in tutta la cerchia dei parenti e dei conoscenti” - ebbene quell'inverosimile diventa, paradossalmente, ancor più fantastico, sfociando il tutto nei paraggi della follia.

Tentare di “salvare” Gregor Samsa avrebbe infatti reso il racconto “solo” grottesco, perché avrebbe evidenziato la possibilità di una verità e introdotto un elemento di realismo, più o meno tragicomico. Invece rimuovendo l'evidenza dell'abnorme e continuando a porsi come se Gregor avesse in tutto ciò un suo disegno e una sua volontà, per i quali viene additato come colpevole, si finisce per portare ancor più nel racconto quella dimensione dell'inaudito, dell'impensabile e dell'impossibile che non sono più determinate solo da quanto accaduto ed accade a Gregor ma anche da come, chi gli sta intorno, si pone di fronte a lui e all'evento.

Albert Camus ha bene espresso questa caratteristica della scrittura di Kafka quando ha scritto che: “non ci si meraviglierà mai abbastanza di questa mancanza di ogni meraviglia”. Quello che in sostanza sconcerta è che tutto si svolge e si svolgerà, nel corso del racconto, come se tutto e tutti fossero comunque e sempre dentro il mondo “umano” esprimendosi e comportandosi secondo le sue logiche e le sue dinamiche e quindi riproducendo tutta l'umanità (che trasmette Gregor) e tutta la disumanità (che trasmettono gli altri nei confronti di Gregor) propria degli esseri umani

E la conseguenza di questa “normalizzazione del soprannaturale” sarà, per l'uomo-insetto Gregor Samsa, essere sospinto nella più assoluta solitudine, difficilmente in questo senso si può riuscire ad immaginare una solitudine più “sola” di quella di Gregor Samsa il quale non avrà più alcuna possibilità di comunicare col mondo finendo per trasformarsi la sua vita in un'assoluta mancanza di rapporti con la vita. Il che mette a nudo il dato più feroce e disumano de “La metamorfosi” quello dell'intima violenza che lo pervade e lo connota. La sottomissione al soprannaturale assunto come un dato di fatto inspiegabile e, come tale, accettato e metabolizzato dagli attori determina e produce l'instaurarsi della violenza assunta anch'essa come un dato di fatto. In quanto ad essa non si sottrae Gregor che non agisce alcuna fuga né alcuna ribellione da quella violenza, “rifugiandovisi” e adattandovisi e, in tal modo, ammettendo e accettando implicitamente la colpa, anch'essa divenuta così un dato di fatto. La quale violenza viene, a sua volta, perpetrata e continuata su di lui dagli altri senza remore.

Dando vita a un asse che, senza soluzione di continuità, scorre lungo un continuum che parte dall'apparizione del soprannaturale - accettato acriticamente - il quale viene sancito come colpa e, infine, viene assoggettato alla punizione tramite la violenza agita su Gregor. Determinandosi una sorta di terribile complicità tra vittima e carnefici e tra questi al loro interno, pur nella diversa gradazione dei loro atteggiamenti e del loro porsi: la violenza del padre; la relativa carità, finché dura della sorella; l'atteggiamento addolorato ma in sostanza un po' distratto e sotto sotto egoistico della madre; gli insulti della domestica.

E in questo quadro, il pensiero di Gregor ormai moribondo e privo di qualsiasi residua volontà di vivere rivolto, nonostante tutto, alla sua famiglia: “Alla sua famiglia ripensò con commozione e amore”, dà la misura di quanto, in quella sua solitudine mortale, egli si aggrapperà in modo struggente all'unica cosa a cui umanamente poteva aggrapparsi per non morire solo. Un modo, l'unico modo, per morire pensandosi non scarafaggio ma essere umano.

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