Le figure del silenzio: elogio dell’abilità
Serata intensa allo Spazio Oberdan dove Elisabetta Sgarbi presenta il suo ultimo film “Sono rimasto senza parole”, nell’ambito della rassegna “Sguardi altrove”. Con lei, Antonio Stagnoli e Pino Roveredo che ne sono gli interpreti.
(Massimo Cecconi)07/03/2012
Antonio Stagnoli è un’artista novantenne di candida tenacia, sordo da tenerissima età ma non muto. Pino Roveredo, figlio di sordi, è lo scrittore che lo racconta con partecipata complicità.
Nella rigorosa scenografia dello studio del pittore, Roveredo lo aiuta a ricordare l’infanzia e i troppi anni (quasi quaranta) trascorsi in un collegio per sordi, riscattato dal totale isolamento (termine che ricorre spesso nel tenero eloquio di Stagnoli) dalla sua straordinaria capacità di disegnare, di dipingere, di incidere. Mentre lo scrittore lo interroga e, a sua volta, ricorda, l’artista lavora alla definizione del suo ritratto, muovendo sapientemente le mani, con gesti netti e armoniosi.
Stagnoli costruisce intorno a sé e per sé mondi fantastici popolati da figure policrome, anche nelle ombre del bianco e nero. Ricostruisce una vita dedicata all’arte come salvezza dalla tristezza e dall’esclusione, appagato da una serenità conquistata a fatica che lo rende partecipe alla costruzione del suo mondo.
A Stagnoli, Elisabetta Sgarbi aveva già dedicato, qualche anno fa, il documentario “Fantasmi di voce”, ora ritorna sull’argomento con una regia di grazia lieve che volutamente e saggiamente non disturba la perfetta sintonia creatasi tra i due artisti, anzi la accompagna con ferma delicatezza.
La trama del racconto è elegante e commossa, la fotografia di nitido spessore, le musiche sono di avvolgente barocco.
In sala gli amici di Elisabetta applaudo, tra loro Gillo Dorfles, Umberto Eco, Ornella Vanoni, Antonio Scurati, Mario Andreose e il fratello Vittorio.
Un ottimo lavoro, fuori dagli stilemi stilistici a cui la regista ci aveva abituato, anche se con un paio di minuti di troppo.
Sono rimasto senza parole
di Elisabetta Sgarbi
con Antonio Stagnoli e Pino Roveredo
Italia, 2011
Nella rigorosa scenografia dello studio del pittore, Roveredo lo aiuta a ricordare l’infanzia e i troppi anni (quasi quaranta) trascorsi in un collegio per sordi, riscattato dal totale isolamento (termine che ricorre spesso nel tenero eloquio di Stagnoli) dalla sua straordinaria capacità di disegnare, di dipingere, di incidere. Mentre lo scrittore lo interroga e, a sua volta, ricorda, l’artista lavora alla definizione del suo ritratto, muovendo sapientemente le mani, con gesti netti e armoniosi.
Stagnoli costruisce intorno a sé e per sé mondi fantastici popolati da figure policrome, anche nelle ombre del bianco e nero. Ricostruisce una vita dedicata all’arte come salvezza dalla tristezza e dall’esclusione, appagato da una serenità conquistata a fatica che lo rende partecipe alla costruzione del suo mondo.
A Stagnoli, Elisabetta Sgarbi aveva già dedicato, qualche anno fa, il documentario “Fantasmi di voce”, ora ritorna sull’argomento con una regia di grazia lieve che volutamente e saggiamente non disturba la perfetta sintonia creatasi tra i due artisti, anzi la accompagna con ferma delicatezza.
La trama del racconto è elegante e commossa, la fotografia di nitido spessore, le musiche sono di avvolgente barocco.
In sala gli amici di Elisabetta applaudo, tra loro Gillo Dorfles, Umberto Eco, Ornella Vanoni, Antonio Scurati, Mario Andreose e il fratello Vittorio.
Un ottimo lavoro, fuori dagli stilemi stilistici a cui la regista ci aveva abituato, anche se con un paio di minuti di troppo.
Sono rimasto senza parole
di Elisabetta Sgarbi
con Antonio Stagnoli e Pino Roveredo
Italia, 2011