Le due zittelle
Il romanzo di Tommaso Landolfi è, secondo Eugenio Montale’ “uno dei maggiori “incubi” psicologici e morali della moderna letteratura europea”.
(La Redazione)
(Raffaele Santoro)08/12/2014“E la cosa orribile ebbe principio.
Tombo s'accostò con decisione al ciborio e l'aprì bruscamente,
sbatacchiando il portello. Restato un attimo a guardare dentro di
traverso, come una gallina, vi affondò il braccio e ne trasse per
due volte una manciata di ostie consacrate che rapidamente divorò.”
In questo passo è fulmineamente fissata con grottesca drammaticità
quella profanazione la cui constatazione attesterà
inequivocabilmente che era proprio Tombo a introdursi in quella
cappella, salire su quell'altare e compiere quell'inimmaginabile
sacrilegio. Ma si dà il caso che Tombo è una scimmia, anzi una
“scimia”, come per tutto il racconto egli sarà definito, così
come “per compenso”, dice Landolfi, “mi venne l'altra di
“zittella” quasi “zittella” potesse essere diminutivo di
“zitta”.
Queste invenzioni verbali e le “diversità” in esse
contenute sono emblematiche del “mondo” creato da Landolfi in
questo comicissimo e al tempo stesso crudelissimo racconto.
Un
“mondo” fatto di capovolgimenti spiazzanti nel quale, con una
leggerezza e una eleganza dissacranti, egli vi instaura quella
dimensione fantastica che sarà tipica di gran parte della sua opera.
Non a caso Montale, all'uscita di questo racconto, avvenuta nel '46,
lo definì uno dei “maggiori “incubi” psicologici e morali
della moderna letteratura europea”. E infatti quello che qui
avvince è quel sarcasmo beffardo e dirompente con cui Landolfi
ottiene e veicola quell'effetto di sovvertimento della ragione e di
follia che aleggia in tutto il racconto, quel senso di favola
dell'orrore e dell'assurdo che lo contraddistingue.
Acuito, per
altro, da una prosa particolarissima, apparentemente retorica che fa
in realtà il verso e beffeggia il ridicolo e il retorico contenuto
in questa storia che, ella stessa, mette a nudo e smaschera.
La scena
è, da subito, imperniata su una situazione di “ingabbiamento”
che è il tema di fondo del racconto e le prime ad apparire sulla
scena e in quel ruolo di “ingabbiate” sono proprio le due
“zittelle” che sono per davvero due zitelle, le “bacchettonesche”
ed “estremamente divote” sorelle Lilla e Nena che vivono “colla
vecchia madre” - la cui descrizione suscita punte di ilarità
assolute - che impone loro la sua presenza e della quale sono
totalmente succubi. Ma la penosa convivenza con la dispotica vecchia
in quella casa-prigione un bel giorno finisce con la di lei
dipartita. E qui per le due sorelle ha inizio un nuovo incubo assai
più drammatico e fatale perchè del tutto inatteso e inaudito e che
avrà come conseguenza di trasformarle in spietate carnefici,
mettendo a nudo tutta l'angustia delle loro fasulle esistenze. A
suscitare quel nuovo incubo sarà la scimia Tombo, portata a suo
tempo in quella casa da un loro fratello prematuramente defunto e
sulla quale hanno riversato il loro affetto prima concentrato sul
fratello. E siccome “è costume degli uomini tenere se possibile in
gabbia l'oggetto del proprio amore...una grossa gabbia era la dimora
abituale della scimia” Ma all' “ingabbiato” Tombo quella gabbia
sta stretta. Così si scopre che Tombo nottetempo, con impensabile
abilità, aperta la sua gabbia usa fare incursioni nell' “attiguo
monastero” dove si dà a licenziosi festini a base di ostie e di
sacro vino sull'altare della locale cappella. Sbigottite e smarrite
le due zittelle all'inizio si rifiutano di credervi finché Nena, la
più ostinata e imperterrita delle due, appostatasi nella cappella,
non solo assisterà allibita al banchetto di Tombo sull'altare,
descritto in apertura ma, inorridendo, vedrà Tombo simulare
grottescamente il sacro rito della messa e compiere, infine, un
supremo gesto di bestialità che dà alla scena un apice massimamente
blasfemo e diabolico: Tombo “scompisciò l'altare”. Per Nena il
destino di Tombo è segnato: “deve morire”.
Il povero Tombo nei
suoi irriverenti comportamenti sacrileghi in realtà non fa altro che
rispondere alle sue più istintuali pulsioni e la sua immoralità è
ovviamente un falso problema. Ma per le due ottuse zittelle e, in
modo particolare per Nena, “c'è caso [che] non tanto stesse a
cuore tener freno materialmente la scimia, quanto farsi un'idea
adeguata della sua moralità” osserva Landolfi. Incapaci di
suscitare la vita in se stesse e spaventate nel vederla pulsare di
fronte a sé esse si barricano in quella loro morale che è la loro
gabbia e alla quale condannano, suo malgrado, anche lo sventurato
Tombo, Il quale, al pari di animali “nocivi e pericolosi”, per le
represse e repressive sorelle va definitivamente soppresso. E ciò
soprattutto per Nena perchè Lilla, che in lui ci vede pur sempre “il
loro fratello morto”, tenta di intercedere e ottiene che si
consulti un “qualche santuomo di comune fiducia”. Ne nascerà una
disputa a sfondo teologico tanto farsesca e surreale nel suo
svolgersi quanto caustica e tagliente nei suoi contenuti fra
Monsignor Tostini, il “santuomo” chiamato dalle due zittelle, e
il giovane padre Alessio, capitato lì per caso, i quali insceneranno
un vero e proprio processo a Tombo assumendo il primo le vesti
dell'accusa e il secondo quelle della difesa. Ne scaturirà quella
che Montale definì “la grande scena madre del racconto”, in un
crescendo vorticoso e via via sempre più alterato, essendo Tostini
appartenente alla più “declamatoria e retriva genia” degli
uomini di fede e padre Alessio invece seguace di un Dio estraneo alle
“complicate partite di dare e avere“ degli uomini.
Con toni e
argomentazioni irricevibili per il Tostini ma, soprattutto, per le
due zittelle, inorridite dagli estremi di blasfemia che il giovane
prete, ai loro occhi, propugna padre Alessio approderà, in modo
sempre più infervorato, a un j'accuse sprezzante rivolto alle due
sorelle: “So bene che l'ammazzerete, questo che a voi appare
deforme e immondo essere, questo che è essere santo e divino al pari
di Dio, di cui è parte; che l'ammazzerete per un orrendo misfatto
che è invece un naturale suo moto”. E non contento si scaglierà
contro la stessa Nena rinfacciandole quella sua esistenza inaridita e
priva d'amore. Ma così facendo padre Alessio sarà per Tombo
l'opposto di quello che avrebbe voluto essere giacchè “Peggior
avvocato non poteva trovare” e così quella sua sprezzante
predizione avrà irrimediabilmente e ferocemente luogo, lasciando le
due zittelle sottomesse a quell'inesistenza del vivere di cui Tombo
sarà l'incolpevole vittima.
Tommaso Landolfi
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