Mutilazione genitali femminili. Una collana di perline, un simbolo, una lotta.

È l'Africa il continente in cui il fenomeno ha ancora maggiore diffusione.
Giovedì 9 maggio 2014, alla Casa delle Donne di Milano, Nice Nailantei Leng’ete, 23 anni, di etnia masai (Kenya), ha raccontato la sua storia di coraggio e di perseveranza nel combattere il rito della infibulazione.
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masai
Sarà grazie a persone come lei se tradizioni di efferata crudeltà contro le donne verranno eliminate a favore di progressi sanitari e culturali. Mentre parla, la narrazione si accompagna alla proiezione del video di IoDonna che ripercorre le fasi dell’attività di Nice in Africa. Forse perché il fermo immagine ha spesso indugiato in quel punto, il video si inceppa sulla foto di due mani femminili protese, contenenti alcune lamette. Un colpo allo stomaco. Con quelle lamette vengono tagliati i genitali delle BAMBINE in un rito di passaggio cruento e barbaro. Qui la narrazione cessa di essere racconto verbale e diventa scombussolamento delle viscere. Con sguardi incatenati alla figura composta e autorevole di Nice ascoltiamo quanto Flaminia di Amref traduce dall’inglese.

Nei villaggi africani in cui è praticata, la circoncisione si fa di gruppo, non singolarmente, perché è una cerimonia costosa che comporta l’offerta di animali. Questo rito di passaggio segna il momento in cui si diventa donne e subito dopo ci si sposa. Tutto ciò avviene indipendentemente dall’età. Quando il corpo femminile comincia a formarsi e a crescere, è destinato al “sacrificio”. Perché di sacrificio si tratta, esercitato su bambine dai 6 anni in su. Le mutilazioni genitali implicano l’incisione o l’asportazione del prepuzio clitorideo e/o la rimozione totale o parziale delle grandi e delle piccole labbra per mezzo di coltelli, lamette, cocci e altri oggetti taglienti, spesso sporchi, in genere senza anestesia.

La stragrande maggioranza delle vittime vive nell’Africa occidentale e nord-orientale dove, secondo le regioni, fino al 90% delle donne e bambine ha subito la pratica. Anche il Medio Oriente conosce le mutilazioni genitali femminili e, attraverso i flussi migratori, la terribile tradizione si è diffusa pressoché ovunque. È facile immaginare le conseguenze di rimanere incinte quando la zona pelvica infantile ha ancora un’ossatura fragile e durante il parto subisce lesioni, spesso mortali. Per non parlare del dolore provocato dai rapporti sessuali, vere e proprie violenze massacranti.

A 8 anni Nice disse al nonno che non voleva sottostare al rito, non sposarsi ma studiare. Il nonno era insegnante e capiva l’importanza dell’istruzione. Ma è difficile opporsi a norme ataviche vigenti nel proprio ambiente. Così Nice dovette scappare due volte con la sorella. La prima volta si rifugiarono presso una zia, che tuttavia le riportò indietro. Dopo la seconda fuga la sorella rinunciò a ribellarsi, convinta che a nulla servisse, e accettò la mutilazione.

Nel frattempo nel villaggio giunsero gli operatori di Amref, principale organizzazione sanitaria non profit in Africa e promotrice della campagna “Stand Up for African Mothers” finalizzata nel formare 15mila nuove ostetriche per ridurre del 25 per cento la mortalità materna nell’Africa subsahariana, dove 5 donne su mille, cioè il 56% del totale mondiale, muore ogni anno per mancanza di cure in gravidanza e al parto.

Chiedevano agli anziani la disponibilità di un ragazzo e di una ragazza per farne dei peer educators, ma servivano persone che avessero studiato. Così Nice ebbe la sua occasione. Prima  emarginata per aver rifiutato le regole, poté dedicarsi all’educazione sanitaria, che rappresentava anche e soprattutto una nuova visione culturale. Le donne non avevano diritto di parola ed era vietato creare gruppi misti di anziani, radicati nelle antiche tradizioni.
Quanto ai giovani “morani”, guerrieri incaricati di proteggere villaggi e animali, perché mai avrebbero dovuto rinunciare al loro diritto di godere di liberi rapporti sessuali a piacere?

La mission di Nice comprendeva argomenti come l’uso dei preservativi e i rischi di malattie.
Gli anziani posero il veto, ma siccome chi la dura la vince, dopo un anno e mezzo Nice si sentì dire: “ok, just to get rid of you”. Volevano liberarsi di lei e la battaglia fu vinta per sfinimento delle forze avverse! Inizialmente la “lezione” si limitava a un approccio generale, ciononostante dopo pochi minuti la “classe” diminuiva di numero e  passò molto tempo prima di formare dei gruppi. Intanto in ospedale procedeva il lavoro con le levatrici in materia di parto e di sanità infantile. E lentamente, sovvertendo la cultura ancestrale, l’intera comunità comprese il pericolo per la salute legato alla mutilazione e alle gravidanze precoci.

Rimaneva da decidere il da farsi: la considerazione finale fu che una donna istruita porta sviluppo, altro che ricevere qualche vacca cedendo la figlia in sposa! Si trattò allora di scegliere un rito di passaggio alternativo alla mutilazione. Si optò per una cerimonia di 3 giorni: i primi 2 dedicati a tematiche di diritto, di sensibilizzazione e di formazione con la presenza di funzionari, il terzo giorno dedicato alla festa.
Del vecchio cerimoniale sono rimasti gli abiti, i monili, gli aspetti gioiosi e belli.
Nel passato il padre consegnava una collana alla figlia per darle la forza di non piangere, di non agitare il corpo durante la mutilazione, perché ciò avrebbe disonorato la famiglia e impedito lo svolgersi della festa: tutto il cibo pronto sarebbe andato sprecato. Il padre regala ancora la collana, ma limitandosi al monito di essere forte nella vita. Il messaggio è: realizza i tuoi sogni, studia, diventa ciò che vuoi. La donna che eseguiva le amputazioni ora poggia la mano all’interno della coscia della ragazza per trasferirle la forza e gli anziani incoraggiano a studiare e benedicono libri e penne. Dalla propria comunità Nice ha ricevuto il bastone del comando, consentendole il potere di parlare con tutti e persino di zittire gli anziani. Il progetto con Amref prosegue, ma l’intento non è di imporlo: decideranno le singole comunità.
A tutt’oggi Nice ha salvato 2673 bambine.

Sul tavolo a cui siede insieme a Flaminia e a Stella Okungbowa (una delle tre presidenti della Casa delle Donne) incuriosiva un gran numero di collane di perline. La loro destinazione è apparsa chiara al momento del commiato. Le collane, simili a quelle offerte dai padri alle figlie durante il rito di passaggio dalla pubertà all’età matura, erano un dono alle donne presenti, infilate dalla stessa Nice, una a una, in un rito di grande commozione.
E infine, "last but not least", la foto collettiva con i cartelli “BRING BACK OUR GIRLS”, in adesione alla campagna mondiale per la liberazione delle 230 liceali rapite nella loro scuola di Chibok, in Nigeria, dai ribelli islamici di Boko Haram.
Anche questo ci riguarda, come tutto ciò che lede la libertà, il corpo, l’integrità personale delle donne deve riguardarci.


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