Arte di parte. Il contributo femminile alla tradizione pedagogica milanese

Anche l’insegnamento è un’arte, e fra le più preziose. Incontriamo Elena Marini direttora emerita della Scuola “Paolo e Larissa Pini” di Milano.
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arte parte
Le donne sono venute in eccellenza
D’ogni bell’arte ov’hanno posto cura
(Ariosto)
 
Elena Marini, ottantunenne in jeans, milanese e francese perfetti, perché a Milano c’è nata (è diplomata in disegno all’Accademia di Brera) e in Francia ci ha studiato. A Montpellier, per esempio, dove si è portata anche suo figlio ancora piccolo, perché, mentre lei si specializzava in psicomotricità, qualcuno, a prezzo modico, si prendeva buona cura di lui. I francesi, mi dice Elena, nel nostro fantastico pomeriggio insieme, in queste cose ci sanno fare. I francesi! Molto tempo fa, in epoca napoleonica, Milano, anche grazie all’influenza del governo francese, era una città ricca di opportunità formative, anche per le donne. Accanto alle scuole religiose, si trovavano collegi laici, rivolti tanto al popolo quanto ai ricchi. Il regio collegio per le fanciulle diretto da Madame de Lort, la scuola per maestre d’asilo di Adalgisa Dameno, la scuola di Ostetricia del 1791.
La Milano postunitaria ha visto l’opera pedagogica di Adele Martignoni, Laura Solera Mantegazza e Alessandrina Ravizza, Rebecca Calderini con i suoi corsi presso l’Unione femminile e all’Umanitaria, le due preclare istituzioni della nostra città che molto hanno fatto per il diritto all’istruzione delle donne. E Maria Cleofe Pellegrini, la sua scuola delle madri è del 1897; negli stessi anni in Via Archimede, a Porta Vittoria, c’era una scuola che, dopo quattro anni di frequenza, fra cui l’ultimo di tirocinio, permetteva alle ragazze di essere ammesse nelle fabbriche come operaie e non come semplici apprendiste.

A Milano Aurelia Josz nel 1902 aveva fondato una scuola di pratica agricola che collaborava con le scuole del Trotter e la Rinnovata Pizzigoni, dal nome della maestra Giuseppina (1870 – 1947) anche lei milanese. Erano tutte scuole del Comune di Milano. Fino alla metà degli anni Ottanta dello scorso secolo, infatti, il Comune aveva in gestione realtà scolastiche di elevata qualità, avanzante, nate dalla collaborazione fra istituzioni scientifiche e movimenti per il rinnovamento sociale. Fra le esperienze più significative le Scuole speciali Giulio Tarra per anomali dell’udito e della parola, la Gaetano Negri per motulesi, la Antonio Scarpa per ambliopici e minorati della vista, la Paolo e Larissa Pini per gli epilettici.
Ognuna di queste scuole era dedicata in modo particolare a una tipologia di disagio psicofisico, ma la Pini - diretta dalla nostra Elena Marini all’incirca dal 1968 all’82  - come ci dice lei stessa era, in anni a noi più vicini, la più varia per utenza. Le scuole erano direttamente gestite dalla Ripartizione Sanità ed Educazione del Comune ed erano al centro di una fitta rete di servizi. Per esempio i numerosi autobus, equipaggiati con autisti e docenti accompagnatrici, di cui mi parla Elena, che prelevavano i bambini da tutte le zone della città per accompagnarli nelle scuole che assicuravano un servizio evoluto, mantenuto per lo più da donne attive e preparate. Un patrimonio di professionalità, passione, efficienza, di cui Elena Marini è testimone, un pezzo della grande tradizione pedagogica milanese, territorio prevalentemente femminile.

Una piccola digressione: se volete annusare una di queste vecchie scuole milanesi, sfogliare pagelle e ascoltare le ossequiose petizioni degli studenti e delle studentesse, e persino sedervi fra i banchi per assistere a una lezione, fate visita al museo Martinitt e Stelline, in Corso Magenta 57, aperto dal martedì al sabato, con possibilità di visite guidate. È un museo interattivo e multimediale, inaugurato nel 2009, pieno di trovate dovute alla fantasia di Cristina Cenedella e dello studio N!03, che vi porterà nel cuore della vita di bambini e bambine nell’importante istituzione milanese fra Ottocento e Novecento. Una visita divertente, tenera, istruttiva. Non perdetevi in sala X la cuffietta rosa della benefattrice Giovanna Serbelloni  - ma chi era costei? – è anche grazie al suo impegno, testimoniato dal ritratto, che tante orfani milanesi poterono affacciarsi alla vita con una preparazione che le avviava lungo la difficile strada – ancor’oggi incompiuta - dell’emancipazione.

Elena Marini ha dunque diretto una di queste Scuole speciali della nostra città, la Pini, in continuo contatto con una equipe formata da medici, psicologi, personale docente specializzato per ciascuna patologia e collaboratrici scolastiche particolarmente sensibilizzate e istruite per prendersi cura della parte più fragile e delicata del mondo, i bambini che, per particolari problematiche di salute, hanno necessità di interventi educativi altamente personalizzati e avanzati, di cure attente e sensibili, che Elena e il suo gruppo d’insegnanti è stata in grado di assicurare per anni. La sua scuola era fatta di piccole classi, di un gruppo di maestre e di collaboratrici scolastiche meglio retribuite - tutte donne, a parte un commesso di cui ricorda con un sorriso il nome – e ha rappresentato non solo un luogo di accoglienza per bambine e bambini, ma un’occasione di specializzazione e formazione continua per le donne. Elena Marini, dopo soli 7 anni d’insegnamento e il concorso per diventare dirigente, ha avuto cura di organizzare, infatti, attraverso la frequentazione di congressi di settore, letture e studi, una serie di corsi di formazione per le sue insegnanti, facendo capo a risorse personali, portando a Milano le maggiori personalità nel campo dell’educazione, come la psicomotricista Jolanda Sattler Morini e la psicanalista argentina Nora Weber. Ha tradotto libri di studiosi come Jean Loudes, scritto articoli, diffuso le sue conoscenze anche fra i bambini delle favelas brasiliane, disturbando mogli di ministri e figlie di presidenti pur di scovare i fondi per il materiale d’istruzione e per i viaggi, insistendo perché ai bambini venisse offerto tutto il supporto possibile attraverso metodologie particolari.

Lungi dall’essere roccaforti d’oscurantismo o ghetti da superare a favore delle pratiche d’integrazione - vanto della scuola italiana e salvaguardia di un altissimo capitale sociale attraverso l’inclusione delle diversità - le Scuole speciali che emergono dal racconto di Elena Marini sono state luoghi di esperienze e saperi prevalentemente femminili, la cui tradizione deve essere riscoperta e valorizzata, caratterizzate da continui rimandi fra teoria e pratica e dal riferimento alle più recenti e avanzate metodologie di terapia e di educazione. Hanno provato a dare ai bambini un’istruzione consona alle loro necessità e alle giovani donne una solida formazione professionale. Elena Marini ha infatti dedicato ben undici anni al servizio delle tirocinanti dell’Università cattolica e dopo la pensione ha lavorato come consulente per le Scuole speciali siciliane, conducendo personalmente la formazione in psicomotricità di un piccolo gruppo di insegnanti. Non più di dieci, perché Elena non ha mai badato al profitto ma alla qualità.

Solo di questo sembra veramente addolorarla, nonostante il piglio energico e la contagiosa vivacità: la formazione oggi lascia spesso a desiderare, molti giovani sono lasciati impreparati ad affrontare il contatto con le difficoltà di genitori e bambini, e talvolta i corsi di formazione sono teorici e non all’altezza dell’importanza del compito da svolgere.
Elena Marini è stata in prima persona protagonista del delicato passaggio dalle Scuole speciali – che furono chiuse e dismesse anche in tutto il patrimonio di risorse umane che avevano accumulato -  alle prime esperienze dì integrazione, che lei stessa ha promosso e indirizzato, passando da piccole aule attrezzate in modo particolarmente accorto con pochi casi ben assortiti, a piccole classi di tredici bambini, in cui i cosiddetti normodotati e bambini con bisogni educativi speciali potevano stare insieme, sempre in condizioni di particolare salvaguardia. Il passaggio negli anni Settanta dalle esperienze delle scuole comunali milanesi, con il loro particolare contributo di studio e sperimentazione, alle procedure standardizzate dalla riforma della Scuola nata insieme ai Decreti delegati, ha fatalmente diluito e disperso i caratteri peculiari e il bagaglio di contributi creativi delle donne, che nelle Scuole speciali avevano messo la propria passione e professionalità.

Elena Marini e le sue insegnanti, proprio agli albori di questa nuova esperienza d’integrazione scolastica che metteva insieme diversi bisogni dei bambini nella nuova Scuola dell’infanzia, tutti i mesi tenevano una riunione in cui lei e le maestre avevano l’opportunità di spiegare a tutti i genitori le attività proposte ai bambini, d’illustrare l’andamento didattico - educativo, come si dice in questi casi. Fantastica occasione di socializzazione per tutte le famiglie, ma che fatica! dico io. Nemmeno per sogno, dice lei: era bellissimo. È così quando un lavoro è una passione, si finisce per farlo anche gratis, come si è offerta di fare Elena quando ha proposto a un Ospedale neurologico il proprio servizio di sostegno allo sviluppo dei neonati non vedenti, affidati a madri spesso inizialmente paralizzate dalla situazione che, con il suo aiuto esperto, avrebbero potuto fornire ai propri bambini quel supplemento di attività psico-motoria di base, preziosa per il loro sviluppo futuro. Nessuna risposta, dice, neppure troppo sorpresa.

Se Elena, testimone importante dell’eredità delle scuole milanesi e di una professionalità docente che sperimenta e ricerca, coinvolge e si coinvolge in prima persona, avesse accumulato un simile capitale di conoscenze in un ramo della finanza o avesse lavorato per una compagnia di assicurazione o come promoter d’affari, credete che, anche alla sua età, la sua esperienza non sarebbe giustamente valorizzata? Che i suoi consigli sarebbero tenuti in considerazione e la sua esperienza ritenuta un patrimonio straordinario? La nostra organizzazione scolastica consente a una persona come Elena di continuare a reimpiegare le energie, le risorse e la lunga esperienza accumulata in anni di passione? C’è posto per il suo contributo nelle nostre scuole in carenza cronica di fondi, strutture e personale? È possibile passare ad altri il testimone di così tanti anni di quel servizio agli ultimi e più fragili, che non è carità o filantropia – ma azione dovuta a soggetti di diritto che la Costituzione e le Leggi delle Repubblica difendono e tutelano nella loro dignità di cittadini come gli altri?
Dalla mia conversazione con Elena Marini porto via questo cocente interrogativo, e i ricordi dei bambini, con cui Elena ha punteggiato i suoi racconti. Gli indimenticabili Monia, Oscar e il piccolo, bellissimo Ilan, che striscia lungo le scale fino al piano di sotto, per mettersi felice sotto al pianoforte della maestra, ad ascoltare. Nessun pianista mai potrà vantare un ascoltatore di maggior riguardo.

 

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