Guerra (in)civile in viale Romagna

Ovvero: della Grigna, di veleni nel corpo sociale, di Ninja, pesci lessi e dell'importanza di imparare a essere sinistra gentile.
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goyaMostri
Domenica, giorno da me spesso dedicato alla montagna. Gli amici mi aspettavano a Lecco e me ne stavo andando alla stazione per il solito treno delle otto e venti. Avevo deciso di prendere la bicicletta, perché per settembre non ho fatto l’abbonamento Atm. Sai com’è, con gli ultimi aumenti (inattesi, improvvidi, impopolari, inevitabili, mah) mi sono applicato una specie di autoriduzione, temporanea ed ecologica peraltro: pedalare almeno finché il tempo tiene. Tanto sarebbe stato un bel mese, dicevano le previsioni. Ed effettivamente un settembre così, tiepido e secco come dovrebbe essere ogni settembre che si rispetti, non si vedeva da un pezzo. La meta oggi era di quelle piuttosto tostarelle, la cima della Grignetta. Non tanto per la sua altezza, 2177 mt, quanto per l’asprezza delle sue salite e del suo paesaggio petroso, le vie ferrate, le scale, i camini e soprattutto la mitica Cermenati, lunga discesa spaccaginocchia. Non è un caso che si chiami Grigna la “montagna dei milanesi”: Grigna o Grignetta, settentrionale o meridionale, la radice onomatopeicamente porta sempre in sé quel suono duro grrr! che, non c’è dubbio, è un digrignamento, come il ringhio di un vecchio mastino. Ti avverte la Grrrigna: stai attento, con me non si scherza. Però sono abbastanza allenato, malgrado l’estate poco montana appena trascorsa con le sue mollezze marine, i tiramenti-tardi notturni e le troppe concessioni al buon bere e alla buona cucina. Sono un po’ in ritardo ma vado tranquillo, il traffico è quello di una serena domenica mattina appunto di mezzo settembre e ho calcolato che alla fine arriverò in tempo meglio che in tram.

Ed ecco il fattaccio: per attraversare viale Romagna alla fine di via Beato Angelico bisogna passare sopra le rotaie del 5 che per giunta traversano oblique, di sghembo. E in più c’è il pavé a complicare la vita di noi ostinati ciclisti. Così decido di traversare, salire un attimo sul marciapiede, aspettare il verde e passare il viale sulle strisce pedonali per poi proseguire lungo via Tiepolo. La mia è una bici da mamma, con due grandi portapacchi adatti per fare la spesa e io, l’ho già detto, andavo tranquillo alla stazione, godendomi il frescolino della mattina. Però sullo scivolo accanto al semaforo, quello che serve per le carrozzine e i disabili, c’è un cagnolino al guinzaglio. Faccio dlin dlin col campanellino per avvisare e vedere se per caso si sposta, o se il signore che lo sta portando a passeggio lo tira gentilmente un pochino per farmi spazio. Non l’avessi mai fatto! Il tipo inizia ad abbaiarmi contro (non il cagnolino, che se ne stava sereno, forse in attesa di fare pipì) con una rabbia spropositata: “e suoni anche, che c…o, non lo sai che le biciclette non possono salire sui marciapiedi?”. Forse ho torto, penso, anche se ho sentito di un'ordinanza che dice il contrario. Ma questo è un bifolco e come tale è meglio trattarlo come Virgilio trattava gli ignavi. Però è rosso, devo aspettare ancora qualche secondo e mi vien voglia di dire le mie ragioni: scusi tanto, sto solo cercando di attraversare la strada, gli dico. Niente da fare, parte con una filza di insulti, mi dice che sono un maleducato, uno s…zo, un cafone, che non devo suonare, che c..zo, se lì c’è il suo cane. Mi accorgo che in mano ha una copia del Giornale. Manco a dirlo. In effetti sembra proprio un prototipo: mezza età, ben vestito e sbarbato, lo sguardo chiuso, le labbra leggermente all’indentro, l’espressione rancorosa di chi pensa che il mondo non gli abbia dato quanto dovuto (e forse quel po’ glielo vorrebbero pure portar via i comunisti). Contento lui, buona lettura. Però non dovrebbe insultare, specialmente perché io non ero affatto aggressivo né prepotente e per giunta disposto a scusarmi per il disturbo. Niente, continua come fossi un suo servo e fa perdere le staffe anche a me (lo ammetto e me ne vergogno): “Il c…(omisis) mettit (omissis, omissis!), come fai di solito, brutto burino”, gli dico. Lo so che ho fatto male, malissimo, ma qualcosa dovevo pur dire. Poi il dannato semaforo sarebbe scattato, me ne sarei andato per la mia strada e in qualche secondo me lo sarei dimenticato, questo simpatico probabile seguace del partito dell’amore. Invece, non so se perché si sopravvaluta o sottovaluta me, ha il tempo di dirmi a brutto muso: “vattene vecchio idiota se no ti spezzo le gambe”. O qualcosa del genere.  Eh no, allora no, d’altronde è più giovane di me e a questo punto non mi faccio problemi. Grrr, digrigno come la Grigna: vedrai che con me non si scherza. Scendo, appoggio la bici, mi piazzo a un millimetro dal suo faccino rasato di fresco e mentre il cagnolino guardava la scena perplesso gli chiedo di ripetere quello che ha detto. È incredibile com’è svelto il pensiero: in un attimo considero se sia meglio dargli un cazzotto direttamente nella pancetta, o sollevarlo mettendogli due dita nel naso (come ho visto fare a Luanda, Angola, dagli antisommossa, le tristemente celebri Ninja della guerra civile) o colpirlo con una ginocch… Quello, forse rendendosi conto che non era di fronte alla tele, che non poteva cambiare canale e che aveva davanti un tipo anzianotto sì, ma piuttosto ben messo e dall’aria davvero incacchiata, ha detto con una vocina pietosa: lei non mi può toccare. Ma per carità, stavo solo andando in montagna! Una lucetta mi si è accesa in tempo, insomma, forse proprio per quella faccia da pesce-lesso-sbiancato-di-fifa che aveva assunto, e ho anche sentito chiaramente nella mia zucca alterata la parola fratello.  

Sì certo, fratello. Allora, seppur la vista del suo Giornale mi ha fatto fare un po’ di fatica a scacciare gli echi dei centomila padani armati di mitra, dei comunisti mangiabambini, degli invidiosi dell’altrui fortuna, dei bravi evasori fiscali, dei giudici metastasi, di Pisapia che ruba le macchine, della nipote di Mubarak, degli orango che insultano la Kyenge, dell’IMU tolta ai poveri per dare ai ricchi anche se sfascia il bilancio e dunque ricasca su poveri, del condannato che a reti unificate proclama la sua innocenza, della rinata Repubblica Sociale forzaitaliota, del nero che è bianco e del bianco che come niente diventa nero, della quotidiana dose insomma di veleni sversati dalla destra nel sacro terreno d’Italia, nel suo corpo sociale e nella sua coscienza civile, alla fine ho recuperato la calma e sono riuscito a dire: io volevo solo avvertire, signore, è lei che ha iniziato. Ci crederete? Si è scusato. Così, forse in un eccesso di veltroniano buonismo, mi sono scusato anch’io e ci siamo addirittura dati la mano. Insomma, all’incrocio di viale Romagna in una tranquilla domenica di settembre due mondi si stavano per scontrare, materia e antimateria, nella persone di due signori di mezza età. Se fossimo stati più giovani sarebbe forse corso del sangue? Se eravamo sul ponte di Mostar e non in viale Romagna, sarebbe iniziata una guerra civile? Dev'essere che siamo tutti alterati, angosciati, confusi e nessuno è perfetto, va bene, ma forse oggi ho capito un po’ meglio cosa vuol dire sinistra gentile. Il poverino ha detto anche: bisogna che stiamo attenti, se no ci viene il mal di cuore. Commovente, non è vero? E ha aggiunto perfino che forse ci si poteva vedere per fare due chiacchiere. Beh, è anche lui un mio fratello, come no, e forse sarà anche solo, con quel cagnolino. Però non mi è sembrato il caso di esagerare. Allontanandomi mi sono scusato ancora (perdere il controllo è sempre sbagliato) ma chissà perchè ho immaginato il tipo recuperarsi dallo spavento, lasciare a casa il suo botolo, salire sul Suv e passare rombando a un millimetro da qualche collega ciclista, che magari per evitarlo deve cercare pericolosamente rifugio su un marciapiede. Quante vaccate in pochi minuti. Ma a me sono bastati per perdere il treno (grrr, niente Grigna!) e dovermene tornare a casa con le pive nel sacco. Mi sta bene, in fondo, e quasi quasi giacché ci sono chiedo scusa anche a voi.

Adalberto Belfiore


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Re: Guerra (in)civile in viale Romagna
27/09/2013 Adalberto
Beh, cara Silvia, forse mi è venuto di chiedere scusa al paziente lettore perchè, pur avendo cercato (comme d'habitude peraltro) di buttar lì - tra le tante notizie utili, interessanti e politically correct che contraddistiguono la nostra (e la vostra) rivista - qualcosa di direttamente vissuto che desse un'idea viva e immediata della situazione (dis)umana che stiamo vivendo, non ero pienamente sicuro di esserci riuscito. Ma il suo (il tuo?) commento è un buon corroborante e la (ti?) ringrazio!
AB

Ps: Forse avrei dovuto accettare l'nvito di quell'uomo a fare due chiacchiere: chissà quali abissi avrei potuto esplorare!


Re: Guerra (in)civile in viale Romagna
27/09/2013 silvia rizzi
Piacevole questa cronaca umana di qualche minuto che Le hanno fatto perdere la Grigna!
Ne sarà valso la pena? chissà.
Dice bene verso la fine "però non mi è sembrato il caso di esagerare............ecc. rifugio su un marciapiede".
Secondo me il tipo è più o meno così.
E Lei non ha detto vaccate e non so perchè debba chiederci scusa!
Grazie


 
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