Opinioni di un clown
La proposta di lettura per il mese di aprile, nel ciclo dedicato al tema “Libri d’autore da riscoprire”, è il romanzo di Heinrich Böll.
(Raffaele Santoro)26/03/2025

“...i due mali da cui sono afflitto per natura: malinconia e mal di testa. Da quando Maria è passata ai cattolici (sebbene Maria sia lei stessa cattolica, questa definizione mi pare appropriata), la violenza di questi due mali è aumentata....C'è una medicina di effetto momentaneo: l'alcol. Ci sarebbe una guarigione duratura: Maria. Maria mi ha lasciato. Un clown che comincia a bere perde quota rapidamente, precipita più in fretta di un operaio ubriaco che cade da un tetto”.
C'è in queste poche righe tutta la tristezza di Hans Schnier, del clown Hans Schnier. Una tristezza dolorosa ma anche arrabbiata perché quella tristezza è prodotta da una ferita che ha in sé un'ingiustizia. E l'ingiustizia è che se Hans Schnier è a quel punto lo è solo per il fatto di essere Hans Schnier, di essere come è, di essere come vuole essere.
E pensare che Hans Schnier ha una grande ricchezza interiore, è dotato, talentuoso, intelligente, di un'intelligenza emotiva, prima che intellettuale. Insomma sa andare al cuore delle cose e sa anche leggerle col cuore, un cuore sensibile ma anche lucido, capace come egli è di togliere le maschere alle cose, ma di toglierle pure alle persone se occorre, e questo dà fastidio, può dare molto fastidio. Ma Hans Schnier è un clown e di maschere se ne intende e, in quanto clown, è un artista e “un artista ha la morte sempre con sé, come un bravo prete il suo breviario”, anche questo per natura, come quelle sue afflizioni: “mal di testa e malinconia mi sono familiari come il pensiero della morte”.
E non perché egli sia un nichilista, anzi “per quanto strano possa sembrare, io voglio bene alla specie a cui io stesso appartengo: agli esseri umani” è che quella sua irriducibile autenticità lo porta così dentro alle cose che non riesce a nascondersele, né a trascenderle in qualcos'altro che non sia terreno, men che meno in una qualsiasi dottrina, religiosa o non che essa sia. Di dirci tutto questo Hans non ha alcun pudore, come non ha pudori con gli altri. Si mette a nudo e mette a nudo, con quella sua autenticità inavvertita come quella dei bambini, con i quali per altro si trova molto bene. Spudoratamente e cocciutamente sincero come solo un bambino sa esserlo: “un bambino non ha mai una pausa di riposo dall'essere bambino”.
Ma egli non può fare nulla di diverso da quello che fa, né essere nulla di diverso da quello che è: “un artista non può far altro che fare quello che fa: dipingere quadri, girare da una città all'altra recitando come un clown, cantare canzoni...Un artista è come una donna, non può fare altro che amare...”. E quel sentimento, il sentimento dell'amore Hans Schnier lo ha vissuto intensamente con Maria, l'unica e sola donna della sua vita, tanto da renderlo un perfetto monogamo. E sebbene Maria l'ha lasciato lui la ama ancora, la desidera e la rivorrebbe a tutti costi con sé. Ma Maria “è passata ai cattolici”, da quando quei cattolici l'hanno convinta che era meglio che lei si occupasse della sua anima che di quella di Hans Schnier. Solo che per quei cattolici occuparsi dell'anima significava stare prima di tutto nei principi, nei “principi dell'ordine” e Hans Schnier non stava nei principi, al massimo poteva stare nelle regole, per fare contenta Maria, ma quelli volevano che stesse anche nei principi e anche Maria, la cattolicissima Maria, ormai lo voleva. Stare solo nelle regole, ormai non le bastava.
Quella Maria che “era quasi arrivata a capirmi” e che ha tradito proprio quella comprensione che era stata, all'inizio di quel loro amore, condivisa, lasciando ora nella vita di Hans il vuoto e il nulla, forse lo stesso vuoto e nulla che lei si portava dietro e in cui ora anche lei è finita: “Maria si portava sempre attorno molta letteratura mistica e ricordo che in quelle pagine si trovavano spesso le parole “vuoto” e “nulla””. Ma nonostante l'impotenza nei confronti di quell'abbandono che lo trascina in una caduta la quale, passando per l'ubriachezza, lo ha condotto al fallimento professionale, Hans Schnier non ci sta ed esprimerà con le sue “opinioni” - le uniche e sole armi che gli sono rimaste - tutto il suo rifiuto verso l'immoralità di quella morale che omologa tutto e a cui lui non può e non vuole omologarsi.
La sua diventa la rivolta contro la norma, contro la vocazione alla violenza di una società e di una morale repressiva, dissimulata sotto l'ipocrisia di un conformismo strumentale. Vi è in Hans Schnier l'affermazione di un un bisogno di libertà che passa dal suo essere artista in quanto portatore di un principio creativo che, nel disvelare le assurdità quotidiane, disvela l'assurdità di quella realtà. Ma c'è anche la libertà che gli deriva dall'affermazione di quella sua via dell'interiorità, con la rottura di ogni convenzione sia con il puritanesimo religioso, di cui quello cattolico è la sua manifestazione più stagnante, sia con le logiche affluenti, travestite da ordine civile, della rinascente borghesia tedesca uscita dalla guerra ma ancora profondamente intrisa della stessa cultura che durante la guerra si era respirato. Pubblicato infatti nel 1963, (nel 2023 è stato riedito negli Oscar Mondadori), il libro è ambientato nella Germania dell'immediato dopoguerra.
Il procedere di Hans Schnier è un procedere antipredicativo, laddove la schiera di coloro a cui si rivolge, sperando vanamente in una loro mano tesa, gli propinano solo prediche sulla sua diversità. Accollandosi in tutto e per tutto le conseguenze delle sue scelte, Hans Schnier lotta per difendersi dall'annichilimento dei suoi valori, che sono poi i valori umani fondamentali. In Hans Schnier c'è una materialità senza materialismo, una altezza morale senza moralismo, un senso innato della fedeltà senza il vincolo della fedeltà, una purezza senza purismo, un senso della pietà senza pietismo. Egli ha una istintiva consapevolezza che solo stando in quella sua prospettiva utopica nella quale alla consapevolezza della morte egli oppone l'innocenza del giovane che vive libero senza violentare e senza lasciarsi violentare, può trovare un argine il pensiero della morte.
Se c'è nichilismo in “Opinioni di un clown” è nel mondo che circonda Hans Schnier, portatore, come esso è, di individualismo e di egoismo sociale, laddove è proprio nell'anarchico anticarrierismo e nella libertà interiore di Hans Schnier la prova della vera umanità. Le anime belle che gli dicono cosa deve fare sono solo anime presuntuose intente a preservarsi e così facendo a preservare il mondo così com'è, invece di correggerlo in virtù della vera misericordia. Attraverso quella seduta di autocoscienza narrativa che è “Opinioni” Böll raggiunge uno dei suoi vertici artistici e concettuali: la creazione assolutamente eretica di uno spazio profondamente sacro. Uno spazio che si realizza attraverso una sospensione del tempo e simultaneamente rivolto al qui e ora, all'umanissimo bisogno di fare toccare terra al dolore.
Non riducibile e non relegabile al personaggio del perdente, dell' outsider, dell'asociale o dell'ingenuo sognatore Hans Schnier è un antieroe modernissimo, un antagonista, consapevole che solo nel rifiuto di venire a patti col mondo così com'è vi è una qualche residua possibilità di salvezza da difendere a tutti i costi, anche a prezzo della più assoluta marginalità e solitudine, come unica condizione per affermare di fronte a sé e di fronte al mondo il rispetto di sé come persona e come essere umano. E in un mondo di maschere l'unico costretto a togliersi la maschera ma anche capace di togliersela sarà alla fine proprio Hans Schnier, l'unico che con la sua maschera elevava la finzione a verità. Quella maschera con cui raccontava la vita e che era la sua vita. E quel sacrificio, in sé atroce e disperato, sarà l'unico modo per non diventare il clown di se stesso trasformando la sua arte in follia, per poter restare nel profondo della sua anima sempre e solo un clown, il clown Hans Schnier.
C'è in queste poche righe tutta la tristezza di Hans Schnier, del clown Hans Schnier. Una tristezza dolorosa ma anche arrabbiata perché quella tristezza è prodotta da una ferita che ha in sé un'ingiustizia. E l'ingiustizia è che se Hans Schnier è a quel punto lo è solo per il fatto di essere Hans Schnier, di essere come è, di essere come vuole essere.
E pensare che Hans Schnier ha una grande ricchezza interiore, è dotato, talentuoso, intelligente, di un'intelligenza emotiva, prima che intellettuale. Insomma sa andare al cuore delle cose e sa anche leggerle col cuore, un cuore sensibile ma anche lucido, capace come egli è di togliere le maschere alle cose, ma di toglierle pure alle persone se occorre, e questo dà fastidio, può dare molto fastidio. Ma Hans Schnier è un clown e di maschere se ne intende e, in quanto clown, è un artista e “un artista ha la morte sempre con sé, come un bravo prete il suo breviario”, anche questo per natura, come quelle sue afflizioni: “mal di testa e malinconia mi sono familiari come il pensiero della morte”.
E non perché egli sia un nichilista, anzi “per quanto strano possa sembrare, io voglio bene alla specie a cui io stesso appartengo: agli esseri umani” è che quella sua irriducibile autenticità lo porta così dentro alle cose che non riesce a nascondersele, né a trascenderle in qualcos'altro che non sia terreno, men che meno in una qualsiasi dottrina, religiosa o non che essa sia. Di dirci tutto questo Hans non ha alcun pudore, come non ha pudori con gli altri. Si mette a nudo e mette a nudo, con quella sua autenticità inavvertita come quella dei bambini, con i quali per altro si trova molto bene. Spudoratamente e cocciutamente sincero come solo un bambino sa esserlo: “un bambino non ha mai una pausa di riposo dall'essere bambino”.
Ma egli non può fare nulla di diverso da quello che fa, né essere nulla di diverso da quello che è: “un artista non può far altro che fare quello che fa: dipingere quadri, girare da una città all'altra recitando come un clown, cantare canzoni...Un artista è come una donna, non può fare altro che amare...”. E quel sentimento, il sentimento dell'amore Hans Schnier lo ha vissuto intensamente con Maria, l'unica e sola donna della sua vita, tanto da renderlo un perfetto monogamo. E sebbene Maria l'ha lasciato lui la ama ancora, la desidera e la rivorrebbe a tutti costi con sé. Ma Maria “è passata ai cattolici”, da quando quei cattolici l'hanno convinta che era meglio che lei si occupasse della sua anima che di quella di Hans Schnier. Solo che per quei cattolici occuparsi dell'anima significava stare prima di tutto nei principi, nei “principi dell'ordine” e Hans Schnier non stava nei principi, al massimo poteva stare nelle regole, per fare contenta Maria, ma quelli volevano che stesse anche nei principi e anche Maria, la cattolicissima Maria, ormai lo voleva. Stare solo nelle regole, ormai non le bastava.
Quella Maria che “era quasi arrivata a capirmi” e che ha tradito proprio quella comprensione che era stata, all'inizio di quel loro amore, condivisa, lasciando ora nella vita di Hans il vuoto e il nulla, forse lo stesso vuoto e nulla che lei si portava dietro e in cui ora anche lei è finita: “Maria si portava sempre attorno molta letteratura mistica e ricordo che in quelle pagine si trovavano spesso le parole “vuoto” e “nulla””. Ma nonostante l'impotenza nei confronti di quell'abbandono che lo trascina in una caduta la quale, passando per l'ubriachezza, lo ha condotto al fallimento professionale, Hans Schnier non ci sta ed esprimerà con le sue “opinioni” - le uniche e sole armi che gli sono rimaste - tutto il suo rifiuto verso l'immoralità di quella morale che omologa tutto e a cui lui non può e non vuole omologarsi.
La sua diventa la rivolta contro la norma, contro la vocazione alla violenza di una società e di una morale repressiva, dissimulata sotto l'ipocrisia di un conformismo strumentale. Vi è in Hans Schnier l'affermazione di un un bisogno di libertà che passa dal suo essere artista in quanto portatore di un principio creativo che, nel disvelare le assurdità quotidiane, disvela l'assurdità di quella realtà. Ma c'è anche la libertà che gli deriva dall'affermazione di quella sua via dell'interiorità, con la rottura di ogni convenzione sia con il puritanesimo religioso, di cui quello cattolico è la sua manifestazione più stagnante, sia con le logiche affluenti, travestite da ordine civile, della rinascente borghesia tedesca uscita dalla guerra ma ancora profondamente intrisa della stessa cultura che durante la guerra si era respirato. Pubblicato infatti nel 1963, (nel 2023 è stato riedito negli Oscar Mondadori), il libro è ambientato nella Germania dell'immediato dopoguerra.
Il procedere di Hans Schnier è un procedere antipredicativo, laddove la schiera di coloro a cui si rivolge, sperando vanamente in una loro mano tesa, gli propinano solo prediche sulla sua diversità. Accollandosi in tutto e per tutto le conseguenze delle sue scelte, Hans Schnier lotta per difendersi dall'annichilimento dei suoi valori, che sono poi i valori umani fondamentali. In Hans Schnier c'è una materialità senza materialismo, una altezza morale senza moralismo, un senso innato della fedeltà senza il vincolo della fedeltà, una purezza senza purismo, un senso della pietà senza pietismo. Egli ha una istintiva consapevolezza che solo stando in quella sua prospettiva utopica nella quale alla consapevolezza della morte egli oppone l'innocenza del giovane che vive libero senza violentare e senza lasciarsi violentare, può trovare un argine il pensiero della morte.
Se c'è nichilismo in “Opinioni di un clown” è nel mondo che circonda Hans Schnier, portatore, come esso è, di individualismo e di egoismo sociale, laddove è proprio nell'anarchico anticarrierismo e nella libertà interiore di Hans Schnier la prova della vera umanità. Le anime belle che gli dicono cosa deve fare sono solo anime presuntuose intente a preservarsi e così facendo a preservare il mondo così com'è, invece di correggerlo in virtù della vera misericordia. Attraverso quella seduta di autocoscienza narrativa che è “Opinioni” Böll raggiunge uno dei suoi vertici artistici e concettuali: la creazione assolutamente eretica di uno spazio profondamente sacro. Uno spazio che si realizza attraverso una sospensione del tempo e simultaneamente rivolto al qui e ora, all'umanissimo bisogno di fare toccare terra al dolore.
Non riducibile e non relegabile al personaggio del perdente, dell' outsider, dell'asociale o dell'ingenuo sognatore Hans Schnier è un antieroe modernissimo, un antagonista, consapevole che solo nel rifiuto di venire a patti col mondo così com'è vi è una qualche residua possibilità di salvezza da difendere a tutti i costi, anche a prezzo della più assoluta marginalità e solitudine, come unica condizione per affermare di fronte a sé e di fronte al mondo il rispetto di sé come persona e come essere umano. E in un mondo di maschere l'unico costretto a togliersi la maschera ma anche capace di togliersela sarà alla fine proprio Hans Schnier, l'unico che con la sua maschera elevava la finzione a verità. Quella maschera con cui raccontava la vita e che era la sua vita. E quel sacrificio, in sé atroce e disperato, sarà l'unico modo per non diventare il clown di se stesso trasformando la sua arte in follia, per poter restare nel profondo della sua anima sempre e solo un clown, il clown Hans Schnier.