La guardia bianca
Con il romanzo di Michail Bulgakov inizia il nuovo ciclo di proposte di lettura sul tema “Libri d’autore da riscoprire”.
(Raffaele Santoro)24/09/2024
Se il nome di Michail Bulgakov è comunemente associato a quello che è il suo romanzo più famoso e più importante: “Il Maestro e Margherita”, vi è, all'interno della sua opera, un altro grandissimo romanzo: “La guardia bianca” la cui pubblicazione era iniziata nel 1924 sulla rivista “Rossija” e proseguita, sulla stessa rivista, l'anno successivo. “La guardia bianca” è un romanzo attraversato da un insieme di lacerazioni dirompenti che, a partire da quelle che si verificano come conseguenza delle violenze prodotte dalla Storia, investono e invadono le vite dei protagonisti determinando esiti la cui intensità e vastità li travolgerà. Su tutto ciò che vi è narrato incombe infatti una condizione di sovvertimento generale delle cose tale da creare un senso dilagante di rovina di cui saranno vittime, prima di tutto, i fratelli Turbin: Aleksej, il primogenito, di ventotto anni; la sorella Elena di ventiquattro anni e il fratello minore, Nikolaj, di diciassette anni che, del romanzo, ne sono i protagonisti principali.
Il ruolo dei Turbin, all'interno del romanzo, è fondamentale per più aspetti.
E in questa “metafisica” insita nel testo che trascende il reale e ne svela la sua natura effimera, piena di inutile dolore, è attratta Kiev che è luogo fisico, puntualmente e meticolosamente descritto da Bulgakov, ma anche luogo avvolto in un alone mitico ed irreale, Su Kiev incombe infatti un “mondo” che sta per invaderla, un “mondo” che proviene dalle lande e dalle foreste che la circondano, abitate da gente minacciosa e, più oltre, nelle “misteriose lontananze”, si apre la strada di un altro “mondo” che incombe anch'esso su di lei, la strada che conduce laddove “ era stesa la misteriosa Mosca”, il mondo dei bolscevichi.
Il “momento” storico che fa da innesco delle vicende narrate si colloca tra il dicembre 1918 e il febbraio 1919, allorquando Kiev diventa oggetto del contendere di entità politico-militari tra loro in lotta per il dominio sulla città e sull'intera Ucraina, determinando lo sprofondare del Paese in una situazione di guerra civile. Tra la fine del '18 e l'inizio del '19 si era determinato infatti un vuoto di potere perché a novembre del '18 la Germania dichiarata la propria sconfitta nell'ambito della Prima guerra mondiale si ritira dall'Ucraina che era sotto la sua protezione. I tedeschi nel febbraio del '18 infatti avevano occupato l' Ucraina, instaurando un regime fantoccio a capo del quale avevano messo Pavlo Skoropadskij, un aristocratico ucraino, di fatto un dittatore militare nazionalista. Quando il romanzo comincia siamo all'inizio di dicembre del '18 e Skoropadskij sta scappando dalla Città e dal Paese insieme ai tedeschi. Ma, oltre a lui, era fuggito, segretamente, tutto il suo Stato Maggiore lasciando di fatto Kiev sguarnita. In tal modo Kiev e, in generale, l'Ucraina finirono completamente fuori controllo diffondendosi fra la popolazione un disarmante senso di abbandono e di tradimento.
I bolscevichi in quel momento sono lontani e chi li teme, per ora, li considera una minaccia di là da venire. Perché prima dei bolscevichi c'è una minaccia già presente e, per molti aspetti, peggiore che incombe su Kiev ed è quella di Simon Petljura. Costui era il leader del partito socialdemocratico ucraino, in realtà era un avventuriero che aveva saputo trovare credito presso i contadini ucraini, cioè quel “mondo” delle lande e delle foreste prima descritto, il quale proponeva uno stato indipendente di contadini-possidenti, dal quale fossero banditi gli ebrei, i bolscevichi, i moscoviti e la vecchia nobiltà terriera. Gli uomini di Petljura non si battono per un ideale, li animano l'avidità e un odio feroce contro i proprietari terrieri che essi vogliono soppiantare nel possesso della ricchezza diventando, da sfruttati, a loro volta sfruttatori.
Nel frattempo, a Kiev, si erano andate formando milizie volontarie destinate a combattere contro Petljura e, a più lunga scadenza, contro i bolscevichi. Ma tutto ormai si svolge in un caos tanto drammatico quanto grottesco. Tradito e abbandonato dall' esercito regolare chi si è posto volontariamente a difesa della Città nulla potrà e Petljura, con il suo vasto e spietato esercito di contadini ucraini - di gente che aspirava alla “roba” - il 14 dicembre 1918 entrerà a Kiev. Il trionfo di Petljura sarà, però, un trionfo effimero, non durerà a lungo: il 5 febbraio 1919 l' Armata Rossa entrerà a sua volta a Kiev e la occuperà. E' quindi all'interno di questo arco di tempo e di avvenimenti che si svolge “La guardia bianca”. E, al centro di tale arco, si colloca, narrativamente, l'evento capitale, cioè quell'impadronirsi della città da parte dei petljurani che, come una sorta di orda barbarica proveniente da un mondo estraneo si abbatterà brutalmente su uomini e cose, incutendo terrore e orrore, e lasciando dietro di sé una scia di sangue.
Ma nel mettere a nudo la brama di possesso priva di umanità dei petljurani, così come nel descrivere in modo corrosivo la penosa fuga di Skoropadskij, Bulgakov crea una fondamentale distinzione che costituisce uno spartiacque tra i personaggi e cioè tra coloro che - come i Petljura e gli Skoropadskij - sono mossi da interessi, ambizioni, calcoli, brama di potere, rivelandosi privi di qualsiasi ideale e di qualsiasi senso morale, e coloro, invece, che - come i Turbin ma anche come altri personaggi appartenenti a sponde ideali opposte alla loro, per esempio soldati dell' armata rossa che soccomberanno sul campo - possiedono una loro fede, degli ideali, una onestà interiore, in altre parole una loro morale che li guida. La lealtà e l'onore - che contraddistingueranno i personaggi portatori di quell'onestà interiore - saranno le manifestazioni e il tramite della loro umanità. E di questa umanità, intesa come parte integrante delle proprie origini, elemento morale ed etico della propria esistenza, sono espressione, in modo particolare, i Turbin.
I Turbin sono monarchici perché, più o meno consciamente, identificano il ritorno della situazione politica anteriore alla rivoluzione con il ritorno alla loro infanzia, con l'integrità della loro casa. Da qui la loro scelta, il loro essere “guardie bianche”, il loro credere, assurdamente, nella restaurazione. Ciò li porterà a partecipare all'azione delle milizie volontarie che, peraltro, non erano neanche filozariste, nella speranza di poter ricostruire il passato, non per mantenere ricchezze e privilegi: i Turbin non sono attaccati alla “roba”, ma per la conservazione dei propri valori. Perché per Bulgakov la questione non era essere pro o contro la rivoluzione. La questione era riuscire a far sopravvivere alla violenza della storia il cuore vivo, pulsante dell'essere umano, riaffermare, in altre parole, il diritto ai sentimenti e alla vita e il loro valore. E, in questo senso, i Turbin incarneranno questi vissuti che si manifestano nella loro sensibilità, nella loro moralità, nel loro altruismo e, soprattutto, nel loro modo di vivere la sofferenza e le sofferenze derivanti dalle vicende che, sul piano umano e personale, li coinvolgeranno.
E saranno gesti pietosi e atti d'amore a far sopravvivere l’umano in una realtà dominata da morte, violenza, odio e tradimenti. Gesti e atti che salvano vite o permettono di dare un po’ di rispetto ai morti. Come il “sacrificio” che, come su un ideale altare, compirà Elena che “uccide” dentro di sé il marito, - il seducente capitano Sergej Tal'berg, rimasto, in realtà, sempre estraneo ai Turbin sia per le sue origini baltiche, sia per i suoi atteggiamenti, fuggito anche lui senza dignità su un convoglio tedesco - rinunciando, nelle sue preghiere, alla sua salvezza, in cambio della salvezza dell'amato fratello Aleksej che ferito agonizzerà per giorni, e solo dopo le convulse preghiere della sorella, come per miracolo, ritornerà alla vita. O come nel caso di Nikolaj Turbin, il fratello adolescente, che combatte con eroismo e mette a repentaglio la sua vita a fianco del suo colonnello, il Colonnello Naj-Turs - comandante delle scuola militare di Kiev, di cui Nikolaj era allievo - caduto eroicamente per salvare i suoi allievi dalle cariche dei soldati di Petljura, e del quale Nikolaj recupererà il corpo, in quella “infernale” discesa all'obitorio, insieme alla sorella di Naj-Turs, restituendolo alla sua famiglia. O ancora come la bella e misteriosa Julija Rejss, creatura romantica con un' aura di “fatalità” che salva Aleksej Turbin, ferito, nascondendolo in casa e curandolo.
“La guardia bianca” è un romanzo di grandissimo fascino e di assoluta originalità e Bulgakov riesce ad alimentare tale fascino e originalità attraverso un'incredibile varietà di soluzioni stilistiche. Ma quello che “lega” tali soluzioni è il tono narrativo che attraversa e percorre tutto il romanzo. Un tono che trasmette un che di febbricitante, di concitato, di iperteso. Perché, in modo palpabile, si avverte, costante, un senso di tensione e ciò per la capacità di Bulgakov di mantenerlo sempre vivo in quanto effetto della paura, del pericolo, dell'indeterminatezza, dell' arbitrio in cui tutto si svolge.
Il romanzo si conclude sull'interrogativo del futuro che è prima di tutto un interrogativo per i Turbin, la cui storia resta come sospesa. Come “guardie bianche” la Storia li ha già condannati. A fronte di ciò essi troveranno conforto negli affetti. Forse solo delle nuove “tane”, ma d'altronde necessarie per “sopravvivere”. Elena avrà l'amore che nutre per lei Servinskij uno dei loro amici che frequentavano la loro casa. Aleksej troverà una ragione di vita con Julija Reis che lo ha salvato. Anche Nikolaj troverà un compenso al crollo del suo mondo nella simpatia per la sorella del colonnello Naj-Turs.
Ma, alla fine di tutto, Bulgakov ci lascia un terribile monito la cui verità risuona assordante allora come oggi:
”Pagherà qualcuno per il sangue? No. Nessuno. Semplicemente la neve si scioglierà, spunterà la verde erba ucraina, coprirà la terra...germineranno le biade rigogliose...tremolerà l'aria torrida sui campi e del sangue non resterà traccia. Costa poco il sangue sui campi vermigli, e nessuno lo riscatterà. Nessuno.”
Il ruolo dei Turbin, all'interno del romanzo, è fondamentale per più aspetti.
In primo luogo perché è dal loro punto di vista che Bulgakov racconta le vicende così come esse si svolgono. Ed è un punto di vista ben preciso in quanto corrisponde a quello di coloro che, alla fine, risulteranno i vinti sulla scena della Storia, condannati ad una inesorabile decadenza, ma che, non necessariamente, come vedremo, risulteranno vinti sul piano morale. Laddove l'essere i perdenti non significherà per i Turbin incarnare figure negative. Ma il loro ruolo è altresì rilevante perché essi impersonano quella che è la lacerazione di fondo che sta alla base del romanzo che è storica ma è anche valoriale, nonché umana ed esistenziale e cioè quella fra un mondo con i suoi valori etici e culturali, le sue convenzioni e convinzioni, il suo modo di stare al mondo, considerati quasi come fossero intrinseci alla stessa natura umana, di cui i Turbin sono espressione, e un mondo completamente nuovo che travolgerà quello precedente, in quanto conseguenza di un ben preciso “momento” storico.
Questo contrasto tra passato e futuro assume nel romanzo una simbolica declinazione. Esso diventa contrasto tra l'immobile armonia del dentro che resiste ormai solo all'interno delle pareti domestiche, quali quelle dei Turbin, e la violenta disarmonia di un fuori che è il caos, la violenza, l'indeterminatezza degli avvenimenti nei quali è piombato il luogo dell'azione. Quella Kiev (città natale di Bulgakov), che diventa, ne “La guardia bianca”, un tragico proscenio a causa dell'estrema confusione di quel “momento” storico. Del quale Bulgakov ne fisserà l'atmosfera proiettandola però in una dimensione più ampia e universale. E' infatti questo il nucleo essenziale di ciò che Bulgakov rappresenta e cioè come il sovvertimento di ogni ordine assuma i caratteri della follia e come, tale follia, diventi l'autentica misura del reale. In tal senso la trama, l'intreccio non fanno altro che dilatare continuamente quel senso di assurdo che pervade le cose e ne diventa la sua tragica e grottesca sostanza. E così mentre al lettore sembra di essere messo di fronte a una lotta che si svolge tutta dentro la Storia, Bulgakov, in realtà, si spinge e ci spinge nei territori dell'irrazionalità e dell'insensatezza della vita umana, mostrandocene gli assurdi destini.
Questo contrasto tra passato e futuro assume nel romanzo una simbolica declinazione. Esso diventa contrasto tra l'immobile armonia del dentro che resiste ormai solo all'interno delle pareti domestiche, quali quelle dei Turbin, e la violenta disarmonia di un fuori che è il caos, la violenza, l'indeterminatezza degli avvenimenti nei quali è piombato il luogo dell'azione. Quella Kiev (città natale di Bulgakov), che diventa, ne “La guardia bianca”, un tragico proscenio a causa dell'estrema confusione di quel “momento” storico. Del quale Bulgakov ne fisserà l'atmosfera proiettandola però in una dimensione più ampia e universale. E' infatti questo il nucleo essenziale di ciò che Bulgakov rappresenta e cioè come il sovvertimento di ogni ordine assuma i caratteri della follia e come, tale follia, diventi l'autentica misura del reale. In tal senso la trama, l'intreccio non fanno altro che dilatare continuamente quel senso di assurdo che pervade le cose e ne diventa la sua tragica e grottesca sostanza. E così mentre al lettore sembra di essere messo di fronte a una lotta che si svolge tutta dentro la Storia, Bulgakov, in realtà, si spinge e ci spinge nei territori dell'irrazionalità e dell'insensatezza della vita umana, mostrandocene gli assurdi destini.
E in questa “metafisica” insita nel testo che trascende il reale e ne svela la sua natura effimera, piena di inutile dolore, è attratta Kiev che è luogo fisico, puntualmente e meticolosamente descritto da Bulgakov, ma anche luogo avvolto in un alone mitico ed irreale, Su Kiev incombe infatti un “mondo” che sta per invaderla, un “mondo” che proviene dalle lande e dalle foreste che la circondano, abitate da gente minacciosa e, più oltre, nelle “misteriose lontananze”, si apre la strada di un altro “mondo” che incombe anch'esso su di lei, la strada che conduce laddove “ era stesa la misteriosa Mosca”, il mondo dei bolscevichi.
Il “momento” storico che fa da innesco delle vicende narrate si colloca tra il dicembre 1918 e il febbraio 1919, allorquando Kiev diventa oggetto del contendere di entità politico-militari tra loro in lotta per il dominio sulla città e sull'intera Ucraina, determinando lo sprofondare del Paese in una situazione di guerra civile. Tra la fine del '18 e l'inizio del '19 si era determinato infatti un vuoto di potere perché a novembre del '18 la Germania dichiarata la propria sconfitta nell'ambito della Prima guerra mondiale si ritira dall'Ucraina che era sotto la sua protezione. I tedeschi nel febbraio del '18 infatti avevano occupato l' Ucraina, instaurando un regime fantoccio a capo del quale avevano messo Pavlo Skoropadskij, un aristocratico ucraino, di fatto un dittatore militare nazionalista. Quando il romanzo comincia siamo all'inizio di dicembre del '18 e Skoropadskij sta scappando dalla Città e dal Paese insieme ai tedeschi. Ma, oltre a lui, era fuggito, segretamente, tutto il suo Stato Maggiore lasciando di fatto Kiev sguarnita. In tal modo Kiev e, in generale, l'Ucraina finirono completamente fuori controllo diffondendosi fra la popolazione un disarmante senso di abbandono e di tradimento.
I bolscevichi in quel momento sono lontani e chi li teme, per ora, li considera una minaccia di là da venire. Perché prima dei bolscevichi c'è una minaccia già presente e, per molti aspetti, peggiore che incombe su Kiev ed è quella di Simon Petljura. Costui era il leader del partito socialdemocratico ucraino, in realtà era un avventuriero che aveva saputo trovare credito presso i contadini ucraini, cioè quel “mondo” delle lande e delle foreste prima descritto, il quale proponeva uno stato indipendente di contadini-possidenti, dal quale fossero banditi gli ebrei, i bolscevichi, i moscoviti e la vecchia nobiltà terriera. Gli uomini di Petljura non si battono per un ideale, li animano l'avidità e un odio feroce contro i proprietari terrieri che essi vogliono soppiantare nel possesso della ricchezza diventando, da sfruttati, a loro volta sfruttatori.
Nel frattempo, a Kiev, si erano andate formando milizie volontarie destinate a combattere contro Petljura e, a più lunga scadenza, contro i bolscevichi. Ma tutto ormai si svolge in un caos tanto drammatico quanto grottesco. Tradito e abbandonato dall' esercito regolare chi si è posto volontariamente a difesa della Città nulla potrà e Petljura, con il suo vasto e spietato esercito di contadini ucraini - di gente che aspirava alla “roba” - il 14 dicembre 1918 entrerà a Kiev. Il trionfo di Petljura sarà, però, un trionfo effimero, non durerà a lungo: il 5 febbraio 1919 l' Armata Rossa entrerà a sua volta a Kiev e la occuperà. E' quindi all'interno di questo arco di tempo e di avvenimenti che si svolge “La guardia bianca”. E, al centro di tale arco, si colloca, narrativamente, l'evento capitale, cioè quell'impadronirsi della città da parte dei petljurani che, come una sorta di orda barbarica proveniente da un mondo estraneo si abbatterà brutalmente su uomini e cose, incutendo terrore e orrore, e lasciando dietro di sé una scia di sangue.
Ma nel mettere a nudo la brama di possesso priva di umanità dei petljurani, così come nel descrivere in modo corrosivo la penosa fuga di Skoropadskij, Bulgakov crea una fondamentale distinzione che costituisce uno spartiacque tra i personaggi e cioè tra coloro che - come i Petljura e gli Skoropadskij - sono mossi da interessi, ambizioni, calcoli, brama di potere, rivelandosi privi di qualsiasi ideale e di qualsiasi senso morale, e coloro, invece, che - come i Turbin ma anche come altri personaggi appartenenti a sponde ideali opposte alla loro, per esempio soldati dell' armata rossa che soccomberanno sul campo - possiedono una loro fede, degli ideali, una onestà interiore, in altre parole una loro morale che li guida. La lealtà e l'onore - che contraddistingueranno i personaggi portatori di quell'onestà interiore - saranno le manifestazioni e il tramite della loro umanità. E di questa umanità, intesa come parte integrante delle proprie origini, elemento morale ed etico della propria esistenza, sono espressione, in modo particolare, i Turbin.
I Turbin sono monarchici perché, più o meno consciamente, identificano il ritorno della situazione politica anteriore alla rivoluzione con il ritorno alla loro infanzia, con l'integrità della loro casa. Da qui la loro scelta, il loro essere “guardie bianche”, il loro credere, assurdamente, nella restaurazione. Ciò li porterà a partecipare all'azione delle milizie volontarie che, peraltro, non erano neanche filozariste, nella speranza di poter ricostruire il passato, non per mantenere ricchezze e privilegi: i Turbin non sono attaccati alla “roba”, ma per la conservazione dei propri valori. Perché per Bulgakov la questione non era essere pro o contro la rivoluzione. La questione era riuscire a far sopravvivere alla violenza della storia il cuore vivo, pulsante dell'essere umano, riaffermare, in altre parole, il diritto ai sentimenti e alla vita e il loro valore. E, in questo senso, i Turbin incarneranno questi vissuti che si manifestano nella loro sensibilità, nella loro moralità, nel loro altruismo e, soprattutto, nel loro modo di vivere la sofferenza e le sofferenze derivanti dalle vicende che, sul piano umano e personale, li coinvolgeranno.
E saranno gesti pietosi e atti d'amore a far sopravvivere l’umano in una realtà dominata da morte, violenza, odio e tradimenti. Gesti e atti che salvano vite o permettono di dare un po’ di rispetto ai morti. Come il “sacrificio” che, come su un ideale altare, compirà Elena che “uccide” dentro di sé il marito, - il seducente capitano Sergej Tal'berg, rimasto, in realtà, sempre estraneo ai Turbin sia per le sue origini baltiche, sia per i suoi atteggiamenti, fuggito anche lui senza dignità su un convoglio tedesco - rinunciando, nelle sue preghiere, alla sua salvezza, in cambio della salvezza dell'amato fratello Aleksej che ferito agonizzerà per giorni, e solo dopo le convulse preghiere della sorella, come per miracolo, ritornerà alla vita. O come nel caso di Nikolaj Turbin, il fratello adolescente, che combatte con eroismo e mette a repentaglio la sua vita a fianco del suo colonnello, il Colonnello Naj-Turs - comandante delle scuola militare di Kiev, di cui Nikolaj era allievo - caduto eroicamente per salvare i suoi allievi dalle cariche dei soldati di Petljura, e del quale Nikolaj recupererà il corpo, in quella “infernale” discesa all'obitorio, insieme alla sorella di Naj-Turs, restituendolo alla sua famiglia. O ancora come la bella e misteriosa Julija Rejss, creatura romantica con un' aura di “fatalità” che salva Aleksej Turbin, ferito, nascondendolo in casa e curandolo.
“La guardia bianca” è un romanzo di grandissimo fascino e di assoluta originalità e Bulgakov riesce ad alimentare tale fascino e originalità attraverso un'incredibile varietà di soluzioni stilistiche. Ma quello che “lega” tali soluzioni è il tono narrativo che attraversa e percorre tutto il romanzo. Un tono che trasmette un che di febbricitante, di concitato, di iperteso. Perché, in modo palpabile, si avverte, costante, un senso di tensione e ciò per la capacità di Bulgakov di mantenerlo sempre vivo in quanto effetto della paura, del pericolo, dell'indeterminatezza, dell' arbitrio in cui tutto si svolge.
Il romanzo si conclude sull'interrogativo del futuro che è prima di tutto un interrogativo per i Turbin, la cui storia resta come sospesa. Come “guardie bianche” la Storia li ha già condannati. A fronte di ciò essi troveranno conforto negli affetti. Forse solo delle nuove “tane”, ma d'altronde necessarie per “sopravvivere”. Elena avrà l'amore che nutre per lei Servinskij uno dei loro amici che frequentavano la loro casa. Aleksej troverà una ragione di vita con Julija Reis che lo ha salvato. Anche Nikolaj troverà un compenso al crollo del suo mondo nella simpatia per la sorella del colonnello Naj-Turs.
Ma, alla fine di tutto, Bulgakov ci lascia un terribile monito la cui verità risuona assordante allora come oggi:
”Pagherà qualcuno per il sangue? No. Nessuno. Semplicemente la neve si scioglierà, spunterà la verde erba ucraina, coprirà la terra...germineranno le biade rigogliose...tremolerà l'aria torrida sui campi e del sangue non resterà traccia. Costa poco il sangue sui campi vermigli, e nessuno lo riscatterà. Nessuno.”