C'era una volta il Bhutan

Un viaggio colorato e spiritoso in un mondo alla fine del mondo, alla ricerca di valori che da noi sembrano ormai scomparsi. ()
Bhutan immagine
Che esista una nazione chiamata Bhutan e dove sia collocata nel variegato fraseggio del continente asiatico non è da tutti sapere.
A parte i colti per formazione, ora anche gli spettatori cinematografici dovrebbero riuscire a collocare questa regione himalayana grazie al nuovo film di Pawo Choyning Dorji dopo il successo del precedente “Luana-Il villaggio alla fine del mondo” che nel 2022 ebbe una candidatura all’Oscar quale miglior film internazionale.

“C’era una volta in Bhutan” racconta a modo suo una vicenda politica, epocale per quel lontano paese.
Nel 2006, il re in carica decide di concedere al suo popolo lo status di democrazia, annunciando le prossime elezioni politiche per eleggere un parlamento costituzionale.
Per far comprendere ai propri concittadini l’importanza di tale atto, le autorità pubbliche organizzano anche nei più sperduti villaggi una tornata di elezioni di prova, accolte per altro con una certa diffidenza dai cittadini stessi, abituati da sempre a essere governati da un sovrano assoluto.
In questo contesto storico, un Lama, che vive in un piccolo monastero arroccato su uno sperone di montagna, incarica il proprio monaco assistente di procurargli due fucili perché, dice, deve mettere le cose a posto. Frase alquanto misteriosa.
Il monaco scende a valle, va da sé che i paesaggi che attraversa sono maestosi e idilliaci, e va alla ricerca delle armi affrontando un lungo cammino.

Una ricerca simile la sta effettuando anche un mercante d’armi americano che, accompagnato da una giovane guida locale, ha individuato in un remoto villaggio l’esistenza di un vecchio e rarissimo fucile risalente al tempo della Guerra di secessione americana.
Il vecchio cimelio appartiene a un anziano contadino che, a corto di denaro, ha deciso di vendere l’arma. Ma sulle tracce del vecchio fucile c’è anche il giovane monaco…
Come vada a finire è tutto da scoprire vedendo questo piccolo film, limpido e fresco come l’acqua di montagna.
Nella vicenda parallela, i funzionari pubblici riescono a organizzare a fatica una simulazione della futura tornata elettorale dalla quale risulta però che ben il 95% della popolazione di quel villaggio risulta ancorato fermamente alla tradizione.
Un’anziana si esprime per tutti: ma perché rovinare lo spirito di comunità per creare, con le elezioni, inutili divisioni ? In quel contesto, come darle torto?
Tra le curiosità si annota che una bibita chiamata “Acqua nera” assomiglia molto alla Coca-Cola, mentre il giovane monaco, aspirante asceta lontano dalle tentazioni del mondo, crede che le elezioni siano una malattia dei maiali e il mercante d’armi americano riceve in dono dal Lama, a conclusione di una purificatoria cerimonia rituale, un enorme fallo scolpito nel legno e colorato di rosso in auspicio di illuminazione e di prosperità.

Il regista Pawo Choyning Dorji descrive con sensibilità un mondo fuori dal mondo dove da poco sono arrivati internet e la televisione che però stanno già prendendo il sopravvento.
“C’era una volta in Bhutan” è un film conciliante ma affatto mieloso, offre una ricca sorsata di inaspettata positività e occasione di riflettere sulla deriva del nostro mondo ammalato.
Resta da dire che, come purtroppo succede dalle nostre parti, sarebbe stato meglio evitare la banalità del titolo imposto traducendo semplicemente il più efficace titolo originale: “The Monk and the Gun”.

In programmazione al Cinema Palestrina

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