Alessandro Verdi “Erranza in forma di limite”

L’artista bergamasco in mostra alla Fondazione Mudima dal 2 maggio al 7 giugno. ()
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Alessandro Verdi presenta alla Fondazione Mudima, in via Tadino, il suo più recente lavoro, sviluppato attraverso un percorso che per la prima volta, dopo le mostre personali del 2001, 2012 e 2017, coinvolge il pubblico grazie ad un progetto che si incentra sul rapporto tra spazio, architettura ed opera con un’estensione finora inedita per l’artista. La mostra Erranza in forma di limite, a cura di Gianluca Ranzi, è alla Fondazione Mudima dal 2 maggio al 7 giugno prossimi.

Alessandro Verdi (Bergamo, 1960), portato all’attenzione del grande pubblico da Giovanni Testori verso la fine degli anni Ottanta, ha esposto in diverse istituzioni pubbliche e gallerie in Italia e all’estero, tra cui la Fondazione Mudima nel 2001, 2012 e 2017, la Halle Am Wasser di Berlino, il Museo MACRO Testaccio di Roma nel 2017 e l’Evento Collaterale dell’Esposizione Internazionale d’ Arte – La Biennale di Venezia nel 2009 a cura di Achille Bonito Oliva. Di lui hanno scritto e si sono occupati critici d’ arte e curatori internazionali come, tra gli altri, Giovanni Testori, Achille Bonito Oliva, Maurizio Calvesi, Lorand Hegyi, Philippe Daverio, Marco Goldin, Stefano Crespi, Frederik Foert.

Le opere in mostra, per la maggior parte ideate appositamente per questa occasione, compongono infatti un progetto espositivo che dalle pareti si estende allo spazio tridimensionale senza soluzione di continuità. La fluidità è data anche dalla presenza di installazioni ambientali, tra cui quella presentata alla personale al MACRO a Roma nel 2017 e mai più esposta, di alcuni tavoli che metteranno in relazione l’iter progettuale e creativo con le opere compiute, e di un’evoluzione sul tema dei “libri dipinti”, che negli ultimi esempi ancora del tutto inediti si sviluppano dalla parete fino a invadere e contaminare lo spazio espositivo. La dimensione coestesa dalla superficie al volume, caratteristica di quest’ultimo progetto, trova nel più recente lavoro di Alessandro Verdi la sua origine e la sua più naturale evoluzione.

Le opere in mostra infatti evidenziano l’attenzione verso un orizzonte mobile della pittura, che in questo caso può ben definirsi allargata, in cui l’interesse dell’artista si sposta, come quello di un perenne viandante, dal mondo naturale alla contemplazione dell’orizzonte umano e del suo ruolo nel mondo, dalla biologia alla psiche, dalla più profonda vitalità dell’essere alle stratificazioni e contaminazioni della storia della cultura, dal vuoto della forma al dialogo con l’oggetto e la sua materialità.

La pittura va quindi oltre, si mette in viaggio, simbolicamente all’interno dell’opera e materialmente attraverso lo spazio; dall’artista che l’ha creata l’opera si dirige verso il pubblico, accompagnandolo e svelandosi un poco alla volta. Lo spazio, interno ed esterno, ne risulta smarginato, aperto, attraversato e rigenerato dalle tracce di un processo creativo a tutto tondo che coinvolge l’io, la vita e la morte, e di questo amalgama trova la possibilità d’espressione attraverso la forma: ibridi sinuosi tra l’animale e l’umano, pagine di libri che diventano tentacoli che sondano il terreno e diventano radici, tavoli anatomici dove il vivente si scopre interrelato e metamorfico: in parte pianta, in parte animale, in parte umano e in parte materia inorganica.

Le opere in mostra si muovono quindi ribellandosi all’idea di confine, oltre la rigidità di una forma chiusa che invece qui si apre ad integrare l’atmosfera e l’ambiente. Oltre lo psichismo individuale la figura del viandante, dell’uomo che cammina, tipica della produzione passata di Verdi, qui si scopre sempre più mobile: pronta a recepire gli stimoli del mondo e le sue infinite possibilità, creature fantastiche della trasformazione, metamorfosi di corpi che sfuggono alla norma ed alla classificazione.


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