Alberto Croce, artista appartato

Mila Vajani rievoca la figura e l’opera di un artista che ha vissuto a lungo nella nostra zona. ()
Croce Rana immagine
Via Francesco Redi. Al numero 31 di questa strada tranquilla, al primo piano di una casa liberty, ha vissuto per quaranta anni Alberto Croce, un artista appartato e poco incline alle correnti e alle mode, ma non per questo meno artista. Era nato il 18 aprile del 1933. Il padre, medaglia d’oro della Resistenza, morto quando Alberto aveva undici anni, aveva tentato un’estrema difesa dall’invasore nazista ed era stato catturato e torturato a morte. Questa vicenda, la clandestinità, le fughe con la famiglia, l’avevano segnato profondamente e avevano influenzato il suo mondo interiore e la sua produzione di pittore. Il mondo artistico mila­nese degli anni Cinquanta, sensibile all’esistenzialismo, e l’Accademia di Brera sono gli ambienti in cui inizia il suo percorso artistico. I temi del suo lavoro sono da sempre poco “graziosi”. Del resto non lo erano neppure Otto Dix, né Ensor né Francis Bacon. La funzione dell’arte, a cui si è dedicato in modo esclusivo, incurante delle fortune e del mercato, era espressione e indagine del mistero della vita e della morte. Lo faceva con la sua storia personale, con i miti letterari che la sua profonda e sofisticata cultura aveva assimilati, con i materiali vivi dei soggiorni in Medio Oriente e in Africa. Individui solitari, figure ieratiche di re, donne, combattenti feriti o uccisi, animali magici, sospesi in una atmosfera surreale, assumono una carica insolita, piena di suspence.

Alcune mostre e l’apprezzamento di critici non cambiano la sua vita isolata, protetta dalla compagna Nadia Ancona anche lei pittrice di talento ma, come spesso capitava alle mogli, più dedita al bene del compagno che al suo. Alberto Croce, Crobert per gli amici, spesso giovani che frequentava quotidianamente affascinati dai suoi racconti, viveva attraverso di loro la contemporaneità, ma il suo lavoro, dal 1970 quasi unicamente scultura, è sempre più legato al mito. Lavora con tronchi cercati e trovati sui monti della Liguria: tronchi di ciliegio, di ulivo, che devono essere tagliati in una certa stagione, con una data luna, altrimenti non sono più adatti allo scalpello e al mazzuolo. Croce opera infatti in modo tradizionale studiando poi le patine più opportune. È il momento di due grandi opere, due gruppi scultorei in ulivo composti da più figure che si fondono, pur mantenendo l’individualità: una Triade e una Minerva. Mentre sta lavorando ad un terzo enorme ceppo di ulivo, si ammala gravemente e quasi miracolosamente sopravvive, ma non avrà più la forza di scolpire.
Ma artisti si nasce e la menomazione fa nascere una nuova fioritura. Un ciclo di quaranta impegnativi e minuziosi disegni in cui la rana, suo animale totemico, diventa l’alter ego di figure emblematiche dell’immaginario dell’artista. Da Socrate, Platone e Ovidio fino a Einstein, Pasternak e Ungaretti. La rana è una specie di “fanciullino” che rappresenta con curiosità e innocenza il doppio di personaggi della storia e della letteratura. Queste rane, oltre che alla Biblioteca Sormani, hanno avuto la fortuna di gracidare alla 54esima Biennale d’arte di Venezia. Il curatore di quell’anno, Vittorio Sgarbi, capitato per caso in via Redi 31 per visitare un amico, si era trovato davanti sulle scale due sculture in pietra di Croce e colpito aveva voluto conoscere lo scultore. Avrebbe voluto esporle a Venezia, ma dato che per regolamento le opere scelte devono essere recenti, aveva ripiegato sulle rane. Opere di Alberto Croce, morto nel 2014, sono oggi in musei e collezioni private, ma il suo carattere e quasi la gelosia del suo lavoro l’hanno spinto a custodirne molte nei locali di via Redi 31.

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