Tre anni

Un racconto di Cechov apre nel 2023 le proposte di lettura del ciclo “Racconti d’autore fra Otto e Novecento”. ()
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È noto che l'opera narrativa di Anton Čechov si basa su quella straordinaria messe di racconti che la compongono che, nel loro insieme, ammontano a diverse centinaia. I nuclei tematici presenti nei racconti di Čechov sono diversi tra loro ma, tra tali nuclei, ve ne è, in particolare, uno che si ritrova in vari racconti: quello dei rapporti coniugali. Cioè di situazioni di coppia nelle quali si manifesta una lacerante quanto dolorosa incapacità di comunicare e l'aspirazione a realizzare l'amore e, con esso la felicità, si infrange lasciando i personaggi nella constatazione della propria solitudine.
Il tema dell'incapacità di comunicare e quindi dell'impossibilità di entrare realmente in relazione con l'altro è, in generale, un tema che ricorre in Čechov, sia nella sua opera narrativa che in quella teatrale, configurandosi, tale incapacità, come una condizione a cui l'uomo è destinato. Ed è in questo quadro che si inserisce il contesto specifico della vita coniugale che diventa per Čechov un luogo di osservazione privilegiato in quanto le manifestazioni che l'incomunicabilità vi assume e l'intensità e l'evidenza di tali manifestazioni ne mettono ancora più in luce la sua impietosità.
In tal senso la grandezza e la modernità di Čechov sta proprio nell'essersi fatto interprete, con grandissima sensibilità premonitrice, dei drammi sottili e privati che intervengono nelle vicende umane, che, nelle sue opere, trovano la loro manifestazione in quel senso di struggimento che accompagna i personaggi e convive nelle loro esistenze e che nasce dal contrasto tra la tensione istintiva e pulsionale verso l'altro e l'impossibilità di incontrarlo realmente. E questa dinamica ha, tra i racconti di Čechov, una sua piena e precisa traduzione in uno dei suoi racconti più belli: “Tre anni”,pubblicato nel 1895, in cui l'impossibilità dell'amore, all'interno di un' unione coniugale, segnerà le vite dei due protagonisti Aleksiej Fiodorovic Laptiev e Giulia Sierghejevna.
Aleksiej conosciuta Giulia se ne innamora, nonostante che quel suo amore sia, a suo modo, impossibile perché Aleksiej sapeva di non essere bello. Ma, soprattutto, egli viveva quella sua scarsa attrattività in modo sofferto e negativo, rendendolo ciò fragile, laddove l'essere buono, intelligente e serio, quale egli era, non compensava quel suo apparire un debole, prima di tutto a se stesso e, di conseguenza, anche agli altri. Eppure il desiderio che Aleksiej prova per Giulia sarà così forte che, quasi senza sapere come, egli le rivelerà l'amore che nutre per lei e le chiederà di sposarlo. Ma quella dichiarazione, del tutto inattesa per Giulia, la getterà in uno stato di confusione e di smarrimento e la sua prima e istintiva reazione sarà il diniego.
Giulia infatti non prova nulla del sentimento che Aleksiej prova per lei, non lo ama eppure è tormentata da paure e dubbi in merito al suo futuro e, sola con se stessa, si interroga se poi, in fondo, non sia uno sbaglio limitarsi a reagire alla proposta di Laptiev solo in base ai sentimenti. All'irrazionalità dell'amore che agisce in Laptiev, Giulia oppone quindi un'altra irrazionalità: quella delle sue paure che nascono dal timore di un futuro di solitudine e di isolamento. Ed è su queste basi che matura in lei la decisione di accettare la proposta di Laptiev e di sposarlo pur non amandolo. E, presa quella decisione, gliela comunica in modo laconico ed asettico, senza motivarla in alcun modo, contenendo ciò il primo apparire della mancanza, tra loro, di comunicazione.
Laptiev, sensibile qual è, capisce subito che in quella decisione di Giulia a mancare è proprio l'amore, ma egli di fronte alla prospettiva di poterla avere con sé accetta l'umiliazione di quella dichiarazione priva d'amore. E il sospetto che Giulia, nel decidere di sposarlo, avesse fatto un calcolo, magari non del tutto cosciente - dato che egli era figlio di un ricco commerciante moscovita - si fa strada nella mente e nell'animo di Laptiev, ampliando, tale sospetto, quella lacerazione che la mancanza d'amore e di intimità tra di loro già di per sé produceva. Celebrato il matrimonio, da subito, si genererà e si instaurerà tra loro una sostanziale estraneità, rendendo quanto mai fosco il vissuto di entrambi. Giulia per reazione all'insofferenza che prova per quella situazione assume nei confronti di Aleksiej un'indifferenza che rasenta talvolta l'ostilità e, per non condividerne la presenza, comincia a frequentare gli amici di Aleksiej, preferendo le “distrazioni” che gli procura l'allegra vita notturna della città. Di fatto finiscono entrambi per rinchiudersi in due mondi separati, segnati dall'incomunicabilità. E quindi, per paradosso, se della vita non ne condividono la felicità, tuttavia ne condividono entrambi l'infelicità. Aleksiej è tanto più tormentato da quelle lacerazioni perché comprende che esse risiedono nell' “incompatibilità affettiva” che è alla base di quell'unione, riconoscendo la fondamentale onestà di Giulia. Ciò non toglie tuttavia che l'oggettivo “scambio” insito in quel matrimonio lo rendeva, di fatto, soggetto ad apparire una merce. E quel pensiero è per Aleksiej ancor più doloroso in quanto sa che Giulia ha un animo limpido e, per questo, quella situazione lo avvilisce ancor più.
Nel racconto di questa impossibilità di vivere e provare amore reciproco tra due persone che in realtà hanno entrambe una natura e uno spirito semplice e puro e quindi affine, Čechov rivela quanto imponderabile e sfuggente sia il sentimento dell'amore e quanto la sua forza possa essere aleatoria. “Tre anni” diventa così anche un racconto sull'amarezza e sulla disillusione nei confronti dell'amore e della sua possibilità di essere vissuto pienamente, restando le sue dinamiche imperscrutabili. Così, a fronte della “necessità” che quel sentimento ha per gli uomini, la sua espressione e la sua realizzazione si rivelano assai precarie, come Čechov ci mostra e come farà dire a uno degli amici di Laptiev: “...vivere senza amore si vive male...Noi siamo capaci di parlare e di leggere intorno all'amore, ma il male sta nel fatto che, in realtà, amiamo poco”.
Di fatto quindi la vita fra Aleksiej Fiodorovic e Giulia Sierghejevna si svolge, per entrambi, come in un prigione senza sbarre, in un crescendo di tensione e di malessere che giorno dopo giorno si accumula e che sfocerà in un drammatico faccia a faccia nel quale mettendo a nudo il loro dolore, daranno finalmente voce a quel non detto tenuto, da sempre, taciuto. Quel momento di “dialogo” non schiuderà però tra loro una nuova era basata su una comune e reciproca passione capace di far vivere loro la pienezza dell'amore. Né sarà, per contro, l'inizio di una definitiva ed irreversibile lacerazione. Esso sarà invece l'inizio di una nuova fase della loro relazione segnata da una accettazione delle cose divenuta, per così dire, “inevitabile”, marcata, cioè, dal sentirsi parte di un legame che ormai, per tanti motivi, è tale, e che troverà, tra tali motivi, quello indiscutibilmente più importante, nella nascita di una bimba, Ola, a cui Giulia destinerà quell'affetto e quell'amore che fino ad allora non aveva mai realmente provato. E rispondendo ad uno degli amici di Aleksiej che, un giorno, le chiede: “...quale sentimento vi lega a vostro marito se, come dite, non lo amate?” Ella dirà: “- Non so... Forse per abitudine. Lo stimo, mi annoio quando sta lontano per molto tempo, ma questo non è amore. Trovo che egli è un uomo intelligente ed onesto e ciò basta per la mia felicità. Egli è anche molto buono, semplice...”.
In queste pacate ma malinconiche e rassegnate parole di Giulia vi è un acquietarsi dell'anima ma anche della passione. Una consapevolezza e, al tempo stesso, un disincanto. Un'accettazione del fatto che non vi sarà altro sbocco possibile e che questa, e non più di questa, può essere la felicità concessa. Le cose in Čechov si trasformano quindi inesorabilmente in nostalgia di se stesse, e anche quell' unica felicità raggiunta, rappresentata da Ola, svanirà giacché la bambina, ammalatasi, morrà e quindi non solo l'amore ma anche ogni speranza di vita nuova, di gioia possibile che si schiude, appare destinata a perire.
E anche da Laptiev il definitivo disincanto per ogni possibile futura felicità sarà affermato come una inesorabile certezza: “In ogni modo bisogna abbandonare ogni speranza di felicità. Essa non esiste. Per me non è mai esistita e probabilmente non esiste per nessuno.” Ma pur nel distacco di quell'esistenza segnata da un amore mai realizzatosi e adesso svanito pure per Laptiev, tuttavia un legame umanissimo si è generato nonostante tutto tra loro. Un legame che può riscaldare il gelo di quelle loro sofferte esistenze, salvandoli dal grigiore, dalla finzione, dalla volgarità. E così, al termine del racconto, pure la voglia di parlarsi e di raccontarsi farà la sua apparizione, sciogliendo tenerezze e slanci inattesi e lasciando aperta una porta al fluire imprevedibile della vita: “Ella si alzò e gli passò la mano sui capelli guardando con curiosità il suo viso, le sue spalle e il suo cappello. - Lo sai, io ti amo! - proseguì arrossendo. Tu mi sei tanto caro. Non ti saprei dire quanto sono felice... che io ti possa vedere. Su parliamo. Raccontami qualche cosa. Aleksiej Fjodorovic ascoltò questa inattesa dichiarazione d'amore di sua moglie con indifferenza, perché aveva la sensazione di essere sposato con lei da almeno una decina anni...pensò. Quanti cambiamenti sono avvenuti in questi tre anni...Ma forse avremo ancora da vivere tredici oppure trent'anni...e nessuno può sapere che cosa ci attende nell'avvenire. Se vivremo, sapremo...”

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