Triangle of Sadness

Commedia nera all’insegna dello sbeffeggio e della provocazione. Interessante campionario di casi umani. ()
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I Monty Python, con il supporto di Luis Buñuel, sono tornati. I primi per la profusione di sarcasmo e il gusto della provocazione, il secondo per le elucubrazioni contro la borghesia e il capitalismo.
Dirige lo svedese Ruben Östlund che tra il 2014 e il 2022 ha fatto incetta di premi a Cannes a partire da “Forza maggiore”, con, a seguire, “The Square” e quest’ultimo film, entrambi vincitori della Palma d’oro.
Un palmares invidiabile nonché unico.
In “Triangle of Sadness”, dopo il preludio affidato a un noioso bisticcio intorno a un conto di ristorante tra due fidanzati entrambi modelli, la vicenda prende peso e corpo con gli stessi protagonisti che si trovano ospiti su un lussuosissimo yacht frequentato da coppie per lo più anziane tanto danarose quanto spocchiose.
A bordo il modello legge “Ulisse” di Joyce in attesa che una tempesta marina sconvolga la bella e ricca compagnia.
E mentre non si contano i malori e i conati di vomito, si assiste a una sfida etilica tra un magnate della merda, come definisce se stesso un oligarca russo produttore di fertilizzanti, e il capitano della nave che si professa marxista, cita Lenin e diffonde dalla sua cabina l’Internazionale.
Placata la tempesta, la nave viene attaccata da una banda di pirati che ne provoca il naufragio.
Nella terza parte, alcuni superstiti si ritrovano su una spiaggia di un’isola dove una donna delle pulizie, scampata al naufragio grazie a una imbarcazione di salvataggio, assume il comando dei sopravvissuti, sovvertendo il ruolo che la società le aveva fin qui assegnato.
Mentre stendiamo velo sul finale di un film che fa molta fatica ad arrivare alla conclusione (150 minuti di proiezione), si prende atto della provocazione, a tratti goliardica, del regista che mescola e rimesta politica e ideologie, lotta di classe e ruoli sessuali, consumismo e anarchia.
Nel micro/macrocosmo di Östlund non si salva nessuno, la presunta lotta di classe degenera in vendetta mentre il capitalismo mostra tutto il suo orrendo patrimonio genetico.
A tratti si ride per via di alcune grevi assurdità di cui i Monty Python erano geniali inventori, un po’ ci si annoia e per il resto del tempo si cerca di capire il senso del “triangolo della tristezza”.
Della serie si è visto di meglio ma anche di peggio, la bizzarria iconoclasta del regista offre a tratti momenti di riflessione sul senso della vita, se ci è concessa la citazione.

In programmazione al Cinema Beltrade.

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