Siccità

Il Tevere in secca è come una ferita metaforica che taglia in due una Roma disperata, prostrata dalla siccità e dai malesseri esistenziali. Una commedia virata nei toni del dramma. ()
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Troppa carne al fuoco, in parte bruciacchiata, in parte cruda, in parte à point.
In una Roma disperatamente prossima ventura invasa dalle blatte e prostrata dalla siccità, si incrociano le storie di vari personaggi probabili/improbabili che pretendono di restituire una complessità/credibilità certamente non facile da esplicitare.
Mentre il Tevere è un’arteria secca da cui affiorano antiche vestigia del passato e probabilissimi rifiuti urbani, c’è un autista tossico e visionario (Valerio Mastandrea) che parla con i morti mentre guida in una città che si sforza di essere normale, c’è l’evaso suo malgrado dal carcere (Silvio Orlando) che affronta angosciato il mondo di fuori pur di rivedere la figlia di cui aveva ucciso la madre, c’è la dottoressa disillusa (Claudia Pandolfi) che combatte senza crederci la sua battaglia professionale contro una possibile epidemia.
Ci sono i poliziotti a presidiare le fontane per evitare che vengano prosciugate dai cittadini e le autobotti di acqua proveniente dalla Valtellina con le persone in fila per approvvigionarsi.
E poi lo scienziato esperto di fenomeni idrici, l’attrice al tramonto (Monica Bellucci) che esercita comunque il suo fascino, il coatto senza arte e senza parte privo di moralità alcuna, il musicista e il poveraccio che vive campeggiato in una vecchia automobile (Max Tortora), l’attore compiaciuto di se stesso (Tommaso Ragno) e la moglie che vive per sopravvivere una doppia vita (Elena Lietti). E molti altri ancora, testimoni di umanità varia alle prese con la fatica di vivere.
E poi i più giovani, quelli irrisolti e quelli che sembrano avere il giusto approccio per diventare grandi senza accampare alibi o scuse.
Tra le cose meglio riuscite l’apparizione accorata dei genitori dell’autista (Gianni Di Gregorio e Paola Tiziana Cruciani) e del politico che ha fallito clamorosamente il suo mandato (Andrea Renzi).
Tantissimi personaggi dunque che intrecciano le loro problematiche esistenze ma che non riescono a rendere quella coralità che il film sembrerebbe promettere.
Nel finale, compare persino il Papa che miracolosamente favorisce l’atteso ritorno della pioggia. Liberatoria?
Il cast è sontuoso (su tutti va da sé Mastandrea e Orlando) e sopperisce in parte ai limiti del film che paga il debito di una riflessione irrisolta/superficiale sui nostri anni amari, sconvolti dalla pandemia e dalla guerra, quelle vere.
Regia distopica di Paolo Virzì coadiuvato alla scrittura da Francesca Archibugi, Francesco Piccolo e Paolo Giordano. Fotografia di Luca Bigazzi e montaggio di Jacopo Quadri. Come dire, il meglio del cinema italiano…

In programmazione all’Arcobaleno Film Center e cinema Plinius.

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