Fire of love

Un film che racconta senza enfasi una passione travolgente per i vulcani e le loro estreme manifestazioni. ()
Love
Inizia in una bufera di neve e finisce nel fuoco il bellissimo documentario Fire of love di Sara Dosa che ricostruisce la passione e la vita di Katia e Maurice Krafft, scienziati che hanno dedicato tutta la loro vita allo studio dei vulcani. Conosciutisi nel ’66 ai tempi dell’università, lui geologo lei geochimica, si sono ritrovati totalmente coinvolti e sopraffatti dal fascino di queste montagne viventi. Chiunque abbia provato a passare qualche giorno vicino ad un vulcano non può aver resistito alla salita verso le bocche di fuoco, non averne subito la carica ipnotica che esercitano le sue luci, i tuoni e le scintille, i fumi come messaggi. I vulcani sono pericolosi (Ercolano e Pompei a imperitura memoria) eppure la gente continua a vivere sotto i loro crateri.
Katia e Maurice si sono uniti in questa travolgente ossessione e per due decenni hanno continuato a filmare e fotografare eruzioni e colate laviche di almeno 175 vulcani sparsi in tutto il mondo. Avvicinandosi ai limiti dell’incoscienza, hanno raccolto una impressionante documentazione fatta di migliaia di foto e di ore di riprese in 16mm. Tra gli anni ‘70/80 ancora non esistevano i droni che oggi permettono riprese audaci con rischi limitati. L’intento dei Krafft era quello di studiare il meccanismo, “scoprire la combinazione che scatena un’eruzione” in modo da suggerire procedure di evacuazione. “Ci sono vulcani rossi e vulcani grigi, quelli rossi sono buoni e prevedibili, quelli grigi sono cattivi e pericolosi.”
Le immagini sono spettacolari e non c’è nulla di tragico anche sapendo dall’inizio quale sarebbe stata la loro fine, il 3 giugno 1991. Dosa ha preso quel patrimonio di immagini e recuperato appunti e lettere della coppia, montate con un ammirevole montaggio da Erin Casper e Jocelyne Chaput.
Anche per Herzog che nel 2016 aveva usato alcune delle loro riprese per il suo Into the inferno (disponibile su Netflix) i Krafft avevano osato troppo. E se lo dice uno come Herzog…
Katia e Maurice sono sempre sorridenti ed estasiati sia nelle riprese sia nelle interviste in programmi televisivi di repertorio. Qualche cosa di infantile aleggia nel loro coinvolgimento come quando Maurice pagaia su un canotto di seconda mano sul più grande lago di acido solforico del mondo in cui le attrezzature di rilevamento si sciolgono appena immerse.
Eppure progetta di navigare su un fiume di lava con una canoa dallo scafo rinforzato con titanio e amianto. Non ha fatto in tempo. Katya è più accorta ma non meno spericolata. Sono consapevoli di poter morire ma non si fermano. Li fermerà il vulcano Unzen sull’isola di Kyushu, in Giappone, che li sorprese e seppellì insieme ad altre 41 persone tra scienziati, giornalisti e vigili del fuoco, con una colata piroclastica, un insieme di gas, rocce e ceneri infuocate. Sono morti di imprevedibilità.
“Un vulcano è più potente dell’uomo, perciò abbiamo trovato ciò che ci serviva. E’ qualcosa al di là dell’umana comprensione.”
Incandescente.


In programmazione al Cinema Palestrina

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