Elvis

Il suo vero nome era Andreas Cornnelis
van Kuijk. Viveva destreggiandosi come imbonitore tra le fiere di
paese e nel ramo il talento non gli mancava. Con la stessa destrezza
si impossessa del giovane Elvis Presley intuendone non tanto il
talento quanto la macchina da soldi. Il film rischia di proporlo come
un simpatico furfante che strappò il cantante alla casa discografica
Sun Records per manipolarlo e gestirlo senza scrupoli come un
fenomeno da baraccone, arrivando a intascare una commissione del 50%
sugli incassi. Dal canto suo Elvis voleva solo cantare e, tranne
blandi tentativi di cambiamento, si era reso succube del suo
carceriere. Per tutti i 20anni (dal 1955 al ’77) di “sodalizio”
nonostante le richieste da tutto il mondo, Parker eluse e impedì
qualsiasi tour all’estero dove forse aveva qualche cosa da
nascondere. Nel film ci sono tutti i passaggi della vita di Elvis da
quando ragazzino, trasferitosi a Memphis a 13 anni, fu stregato dalla
musica gospel nella chiesa del quartiere nero dove era cresciuto. C’è
il rapporto con la madre e il padre, con la moglie Priscilla e la
figlia Lisa Marie. Ci sono brevemente i due anni di servizio militare
in Germania che Parker impose per ripulire l’immagine di quel
giovane dalla sensualità travolgente. Non viene trascurato il
capitolo Hollywood, una carriera cinematografica di film non
memorabili ma utili agli utili di Parker che lo costringeva anche a
partecipazioni televisive di bassa qualità tipo cantare una canzone
natalizia indossando un orrido maglione con le renne. Molto bella ma
troppo breve la scena in cui Elvis distribuisce attacchi musicali
all’orchestra, in quegli attimi sembra di scoprire il vero Elvis.
Ma è un attimo.
Sulla sua vita scorrono le immagini della storia di un’America che in quegli anni vide gli omicidi di Martin Luther King, Bob Kennedy, Sharon Tate.
Elvis Presley aveva saputo coniugare gospel, country, blues, soul e rock stravolgendo non solo i gusti musicali ma anche i movimenti giovanili che già stavano cambiando in tutto il mondo. La prima apparizione di Elvis in completo rosa, davanti ad un pubblico che non sa ancora cosa aspettarsi, scatena e sconvolge in pochi secondi il pubblico femminile che Baz Luhramnn sottolinea inquadrando alternativamente ed eccessivamente i pantaloni rosa a livello bacino. Austin Butler presta anche la sua voce per alcune canzoni dei primi anni e ha momenti di notevole somiglianza con il mitico.
Tom Hanks è totalmente nascosto da un pesante trucco prostatico che annulla il senso del lavoro dell’attore.
La vita di un mito immortale è dispiegata in 2ore e 40 frastornanti, con un montaggio frenetico che non lascia prender fiato e con la stessa velocità ci fa riascoltare successi indimenticabili da Hound Dog, Can’t Help Falling In Love a Suspicious Mind, da If I can dream a Unchained Melody.
Nella frenesia di attraversare le tappe il film non approfondisce il rapporto Presley-Parker che risulta sfocato.
Che cosa sarebbe stato Elvis Presley senza Tom Parker purtroppo non lo sapremo mai. Non sapremo mai se avrebbe potuto essere più mito del mito o si sarebbe diluito nella folla rock nata in quegli anni.
Vedendo il vero Elvis gonfio e stremato nell’ultimo concerto all’ International Hotel di Las Vegas, la gabbia dorata in cui Parker l’aveva confinato, possiamo pensare che forse sarebbe vissuto più a lungo.
Di Tom Parker conosceremo il suo destino solo dalle didascalie poste alla fine del film.
Irrisolto.
In programmazione all’Arcobaleno Film Center e al cinema Plinius.