Lunana - Il villaggio alla fine del mondo

Una garbata riconciliazione con valori fondamentali come la natura, l’amicizia e la solidarietà. Una boccata d’aria fresca. ()
lunana immagine
Poiché l’ignoranza è una malattia molto diffusa, ci sta che non siano in tantissimi a sapere dove accidenti si trovi nelle mappe il Bhutan.
E forse è ancora più sorprendente che un film prodotto e realizzato in quel paese nel 2019 approdi sui nostri schermi e attiri l’attenzione di più persone, anche grazie a una nomination agli Oscar nella categoria Miglior film internazionale.

“Lunana- Il villaggio alla fine del mondo” racconta una storia esemplare che viene da quel “finis terrae” e lo fa con grazia e candore.
La vicenda, per quanto esile, rimanda a un patrimonio consolidato della letteratura ma anche del cinema: il viaggio alla scoperta di un nuovo mondo che è soprattutto un viaggio alla ricerca di se stessi.
Ugyen è un giovane un po’ svogliato che vive nei conforti della capitale del paese (m. 2200 s.l.m.) e che coltiva l’enorme sogno di emigrare in Australia per intraprendere la carriera di musicista.
Ma poiché è inquadrato come insegnante elementare viene spedito (“Così impara”, verrebbe da dire) in un villaggio distante otto giorni di marcia dall’ultimo paese che possiede una strada percorribile da automezzi.

Accolto da due accompagnatori che hanno il compito di condurlo a Lunana (m. 4800 s.l.m.), si sfianca per raggiungere il villaggio della sua meta finale, dopo aver attraversato foreste e torrenti, passi montani e sentieri impervi.
Lì, fuori dal mondo così detto civile, viene calorosamente accolto dai 56 abitanti del fantastico luogo, adagiato in una conca in mezzo alle altissime montagne della catena dell’Himalaya.
A contatto con quelle persone e quei panorami sontuosi, Ugyen ritrova il senso della vita. E non spoileriamo oltre.

Racconto semplice, quasi elementare che fa proprio della semplicità la sua principale chiave di lettura così come semplici sono i valori primari, dall’amicizia allo stupore dei bambini, dalla ritualità delle stagioni alla contemplazione del mondo circostante.
Al didascalico titolo della versione italiana, è certamente preferibile quello originale che suona “Lunana: uno yak in classe), dove per yak si intende un grosso bovino tibetano, simbolo di ricchezza e di saggezza.
Dalla parte del film c’è anche una giusta dose di buonismo, senza mai degenerare nel melenso, che con gli orrendi tempi che corrono non guasta. Va da sé che la fotografia riempie gli occhi.

In programmazione al cinema Palestrina.

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