E’ stata la mano di Dio

Segnalato per la partecipazione agli Oscar, l’ultimo film di Paolo Sorrentino propone un percorso di formazione che lascia qualche dubbio narrativo. ()
mano di dio immagine
Nel luglio del 1984 Diego Armando Maradona diventa re di Napoli, Paolo Sorrentino (classe 1970), alias Fabietto Schisa (Filippo Scotti) se ne innamora e come tutti i napoletani stravede per lui, ripone in lui la volontà di riscatto da tutte le miserie di cui la città è martoriata da sempre.

Intorno a Fabietto c’è una famiglia di varia umanità, protettiva e consolatoria, perfetta per un adolescente che inizia a frequentare il liceo classico. Il padre, funzionario di banca, è reso con grande spessore da Toni Servillo, finalmente sobrio, assolutamente padrone del ruolo senza concedere nulla all’ostentazione interpretativa, di grande rilievo la figura della madre (Teresa Saponangelo) e degli altri parenti e conoscenti a cui danno voce e corpo attori come Massimiliano Gallo, Renato Carpentieri, Cristina Dell’Anna e un bravissimo Lino Musella nel ruolo di un pazzerello rasserenante.

Sullo sfondo la città caotica, ricostruita con dovizia di particolari anche attraverso citazioni omaggio a Eduardo e, soprattutto, a Federico Fellini, come già in altri film di Sorrentino.
Il racconto vira improvvisamente subito dopo la tragica morte accidentale dei genitori, giusto poco dopo che Maradona è diventato per tutti “la mano di Dio”, per via di un gol ingannevolmente realizzato contro l’Inghilterra ai mondiali di calcio del 1986.
Fabietto si ritrova solo, non può avere conforto dal fratello privo di spessore alcuno o dalla sorella che preferisce rifugiarsi nel bagno. Svaniti i parenti prossimi, riceve consolazione da un’anziana vicina di casa (la baronessa Focale interpretata da Betti Pedrazzi)) che si offre di diventare la sua nave scuola per iniziarlo al sesso.
Trova sostegno anche nelle visite alla procace zia Patrizia (Luisa Ranieri) internata in una clinica psichiatrica mentre il suo futuro sembra segnato dall’incontro con il regista Antonio Capuano (giusto ricordare però che il suo primo film significativo è stato “Vito e gli altri” del 1991) che lo invita a seguire con determinazione i suoi sogni di cineasta.

Con una netta difformità tra prima e seconda parte, “E’ stata la mano di Dio” lascia un po’ di amaro in bocca come quando si è di fronte a un’opera incompiuta di cui si sono solo intravisti i contenuti migliori.
Dalla morte dei genitori in poi il film assume un tono autoreferenziale quasi a voler dimostrare quanto sia stata complessa e faticosa la strada di Paolo Sorrentino per diventare quello che è diventato.
Il giovane attore Filippo Scotti sembra però soccombere sotto il peso eccessivo di una storia troppo grande per lui.
Struggente lo zufolio complice dei due genitori. Suggestiva la scena della preparazione della salsa di pomodoro, nella penombra di una grande cucina di campagna.

In programmazione al Cinema Palestrina e all’Arcobaleno Film Center

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