La scuola cattolica

I limiti della trasposizione cinematografica di una vicenda di aberrazione umana e culturale. ()
la scuola cattolica immagine
Per chi all’epoca aveva almeno l’età della ragione, il “delitto del Circeo” è rimasto indelebilmente impresso nella memoria come uno dei fatti più aberranti ed efferati della cronaca. Era la fine di settembre del 1975 e nel bagagliaio di un’auto vennero rinvenute due ragazze massacrate e violentate. Una, Rosaria Lopez era morta, l’altra Donatella Colasanti si era finta morta, per questo era riuscita a salvarsi battendo sul cofano e attirando l’attenzione di un passante. Il film di Stefano Mordini si basa sul libro di Edoardo Albinati (premio Strega nel 2016) che aveva frequentato la stessa scuola cattolica insieme agli assassini. Si parla di ragazzi della Roma bene, figli della migliore borghesia che pensa di proteggerli pagando scuole come quella cattolica, ma che sembra più un espediente per sollevarsi e scaricare la responsabilità di un’educazione per loro troppo impegnativa e faticosa, un’educazione cattolica. Una scuola maschile, le donne stanno solo all’esterno e sono terreno di conquista.
Ci si interroga un po’ su cosa voglia veramente comunicare il film che come il romanzo di Albinati è più vicino ad un’analisi antropologica e psicologica di quei ragazzi che arrivarono a compiere il massacro con sprezzo e indifferenza del corpo femminile. La loro posizione sociale e la loro educazione li fa sentire padroni di tutto.
“Abbiamo lavorato su ciò che sapevamo. Quello che non abbiamo visto non lo abbiamo voluto ricreare. Una forma di rispetto per quello che è avvenuto. La famosa distanza con la macchina da presa riguarda in questo caso il rispetto del dolore. Non volevamo spettacolarizzare” dice Stefano Mordini. Ma il film non restituisce tutto il dolore e l’orrore di quella storia. Donatella Colasanti è morta nel 2005 senza mai avere potuto dimenticare.
Silente.

In programmazione al Cinema Plinius.

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