A proposito di Franco Battiato

Ci sono incontri che lasciano il segno e che provocano una scia di ricordi profonda e policroma tra “un oceano di silenzio” e “una luce che illumina”. ()
la rosa di Battiato
Dopo la scomparsa di Battiato stampa, televisione e rete hanno dedicato grande spazio alla sua opera con testimonianze importanti di persone che con l’artista hanno condiviso momenti della sua vita personale e spettacolare. Va da sé che ubi maior minor cessat, per cui mi colloco decisamente tra i minori per ricordare una personalità straordinaria con cui ho avuto la fortuna di condividere alcuni momenti del mio lavoro.
Mi era già accaduto, a metà degli anni ’80 del secolo che fu, di incontrare Franco Battiato in una allora famosa trattoria di viale Argonne in compagnia di Alberto Radius il cui studio di registrazione era poco distante in via Campolongo. Ma era stato solo un caso.
Qualche anno più tardi invece, mi pare fosse il 1992, ebbero inizio le vere frequentazioni grazie a Mohamed Challouf, un operatore culturale tunisino che aveva collaborato con Battiato e che aveva in mente di realizzare con lui un progetto sulla tradizione culturale araba per la manifestazione “Le ultime carovane”, promossa dalla Provincia di Milano per conto di cui io seguivo l’iniziativa.
Ci incontrammo in una trattoria in via Plinio, che ora non c’è più, e dev’essere destino che con Battiato ci sia sempre di mezzo un luogo di ristoro. Con noi a pranzo c’era una fascinosissima signora che scoprii solo successivamente essere Elsa De Giorgi, attrice molto famosa negli anni ’30, scrittrice che aveva avuto una lunga storia con Italo Calvino, e che aveva lavorato in teatro anche con Giorgio Strehler e nel cinema, alla fine della sua carriera, con Pier Paolo Pasolini in “La ricotta” e “Salò o le 120 giornate di Sodoma”.
Il pranzo di lavoro divenne così un’occasione per me illuminante per discutere con Battiato e Challouf di progetti che, come spesso accadde, non ebbero seguito, soprattutto per gli impegni di lavoro dell’artista.
Nel luglio del 1993, ci ritrovammo ancora una volta insieme a Tunisi, in occasione del Festival del cinema di Cartagine dove veniva presentato il documentario “Italiani dell’altra riva” di Mahmoud Ben Mahmoud, prodotto da Challouf e dalla Provincia di Milano, che raccontava le storie della colonia italiana di Tunisi di cui fecero parte, tra gli altri, Claudia Cardinale e Maurizio Valenzi che sarebbe poi diventato sindaco di Napoli.
Tra gli invitati del Festival c’era anche Battiato con cui ebbi modo di trascorrere tre giorni in sua compagnia visitando Tunisi e un paio di località marine (con relativo pranzo vista mare). Con lui, che poi si sarebbe esibito in un applauditissimo concerto nell’anfiteatro di Cartagine, c’erano, tra gli altri, Giusto Pio e Antonio Ballista.

Ci si vide poi in altre occasioni a Milano dove Battiato abitava ormai abitualmente, sino al 2000 quando, per idea di Elisabetta Sgarbi su mandato della Provincia di Milano, prese avvio “La Milanesiana”, manifestazione culturale polifonica, nel senso che aveva e ha l’ambizione di rappresentare al meglio più voci della cultura dalla letteratura al cinema, dalla musica, al teatro, all’arte.
Giusto per avere dimensione di quella prima edizione, che si tenne nel cortile di Palazzo Isimbardi allestito con le scenografie visuali di Luca Volpatti, amico personale di Battiato, erano in programma, tra gli altri, interventi di : Paolo Poli, Antonio Ballista, Hanif Kureishi, Arto Lindsay, Franco Loi, Tahar Bel Jelloun, Antonio Rezza, Amos Gitai, Michel Houellebecq, Carmelo Bene, Emilio Tadini e Riccardo Muti.
Si esibì anche Franco Battiato con Manlio Sgalambro, la sera di venerdì 7 luglio, con un successo enorme come del resto ebbero successo enorme tutte le serate dell’insolito (allora) programma.
A Battiato si deve anche la paternità dell’ immagine della rosa, particolare del suo dipinto Fleur(s), che poi è divenuta il simbolo visivo della Milanesiana che, quest’anno, è giunta alla sua ventiduesima edizione.
Da allora, per alcuni anni a seguire, la Milanesiana era l’occasione di incontro almeno sino al 2015 quando Battiato tenne un concerto presso il Teatro Dal Verme e, in quell’anno, venne anche allestita una mostra di suoi ritratti presso l’Università Iulm.
Sin qui la cronaca, sostenuta nel corso degli anni, dall’ascolto delle sue canzoni e dalla visione dei suoi spiazzanti film, anch’essi presentati alla Milanesiana in più occasioni.
Certo è stata una frequentazione superficiale che non è mai sfociata in una vera e propria amicizia, però a me è servita per capire l’importanza del suo lavoro artistico, della sua ricerca a tutto tondo nel campo della musica e del pensiero occidentale/orientale, fiero della sua sicilianità aperta alle cose del mondo.
Personalmente era cortese e generoso, per nulla spocchioso sia pur conscio della propria fama e dell’ enorme fascino che esercitava presso il pubblico. Mi capitò in un’occasione di accompagnarlo all’Università Bicocca per un’iniziativa poco pubblicizzata e, con mio grande stupore, la presenza di Battiato aveva calamitato centinaia di giovani a gremire l’aula magna.
Franco Battiato amava raccontare storie non solo in musica, anche piccole storie buffe, spesso surreali, mai banali. Alternava la parola a rumorosi silenzi, sul palco sapeva come catturare attenzione e, persino, soggezione. Aveva l’enorme capacità di cogliere e interpretare i valori della cultura alta e i colori e i sapori della cultura popolare.
Sul filo del ricordo, una cena in un locale di Tunisi dove con lui ci siamo messi tutti a battere le mani per accompagnare le movenze sinuose di una danzatrice del ventre.

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