Confesso che ho stonato

Omaggio doveroso a Gianni Mura attraverso un suo godibilissimo libretto dedicato alla colonna sonora di una vita. ()
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Di Gianni Mura, uscito definitivamente di scena il 21 marzo scorso, si conoscono ampiamente le doti di scrittore prestato al giornalismo sportivo, di romanziere e persino di espertissimo recensore eno-gastronomico, sulle pagine di “il venerdì” di Repubblica.
Le sue cronache dal Tour de France non sono solo piccoli capolavori di scrittura, ma poliedriche riserve di conoscenze varie che spaziano in numerosi campi dello scibile umano.
Malgrado ciò, verrebbe da dire, la sua scrittura è sempre godibilissima e affascinante, impegnata com’è a descrivere umori e sensazioni, l’umanità delle persone e lo spessore delle piccole e grandi cose della vita quotidiana.

Forse è meno noto che tra i numerosi interessi suoi si collocasse anche la musica d’autore o leggera che dir si voglia di cui sapeva tutto o quasi.
“Confesso che ho stonato” è un veloce compendio di un centinaio di pagine in cui Mura si cimenta nel racconto di una sua originale educazione musicale che ebbe inizio nelle caserme dei carabinieri in cui suo padre (il Maigret della Brianza) esercitava il ruolo di maresciallo.
Scrive:” Sono cresciuto in un mondo di regole da rispettare. In quanto figlio del maresciallo, ero tenuto a dare l’esempio. Non passare sotto le sbarre del passaggio a livello, non rubare la frutta dagli alberi, non dire parolacce”.

L’amore per la musica, nato e corroborato negli anni dell’infanzia, va di pari passo con ciò che natura gli ha messo a disposizione. E anche se Gianni Mura è implacabilmente stonato questo non gli vieta di avere folgoranti frequentazioni con grandi interpreti della nostra canzone.
Belle amicizie, per dire, con Giovanna Marini o Ivan Della Mea, con Ricky Gianco o con Sergio Endrigo a cui è dedicato un intero capitolo del libro.
Per un gioco di parole, di cui Mura era maestro, SERGIO ENDRIGO si tramuta in un partecipato acronimo: Serio-Elegante-Ribelle-Giovane-Intimista-Orgoglioso a cui seguono, per il cognome, Essenziale-Nostalgico-Dolceamaro-Realista-Impegnato- Giramondo-Onesto.
Un modo del tutto originale per attribuire significato a uno dei più grandi interpreti della nostra musica leggera a cui Mura è, a ragione, particolarmente affezionato.
Se un capitolo del libro è dedicato alla musica applicata al mondo del calcio, un altro manifesta un amore profondo per Edith Piaf, le sue canzoni, il suo mondo. Del fatto che Mura ami e conosca perfettamente la terra di Francia ci sono innumerevoli testimonianze.

Dopo un accorato elogio della fisarmonica (“Le voglio bene, non solo per gratitudine”), c’è un capitolo tutto milanese, “I saltimbanchi dell’Asl (Adigrat, Sismondi, Lomellina)”, dedicato a una coppia imprescindibile per la milanesità della musica e della parola. Va da sé che trattasi di Enzo Jannacci e Beppe Viola di cui si ripercorrono le avventure umane e artistiche con grande partecipazione e condivisione. Siamo nei pressi dei livelli più alti. E, se sapesse cantare, Mura dice che avrebbe una certa predilezione per “Ti, tè se no” e “Dona che te durmivet” che di Jannacci sono due canzoni immense.
Dopo un capitolo dedicato alla censura esercitata nei confronti dei testi delle canzoni, tipo “C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones” o “Questo piccolo grande amore”, una riflessione non banale è rivolta al rapporto poesia/canzonette in cui si leggono queste parole:” Credo che la poesia sia un po’ come la Provenza: non sei tu che ci entri, al chilometro tale, al paese tale. E’ lei che ti viene incontro, che s’annuncia con i colori dei campi di lavanda e di girasole, con l’ombra dei platani e quella luce tutta sua che imprigionò Van Gogh, lei che ti accoglie. La poesia è un’altra cosa ma è la stessa cosa. La luce di una parola, il colore di un verso, qualcosa che senti di poter condividere, come un pezzo di pane o un bicchiere di vino. Tutto il resto è letteratura”. Ben detto.

Il libro si chiude con un lungo elenco, giustamente mescolando alto e basso, dedicato a coloro che a Mura hanno regalato emozioni con le loro canzoni. Al di là dei già citati, compaiono, tra gli altri, i nomi di Fausto Amodei, Franco Battiato, Gualtiero Bertelli, Pierangelo Bertoli, Angelo, Anna e Paolo Bissolotti, Georges Brassens, Jacques Brel, Leonard Cohen, Paolo Conte, Fabrizio De Andrè, Francesco De Gregori, Duo di Piadena, Léo Ferré, Francesco Guccini, Woody Guthrie, Victor Jara, Milly, Yves Montand, Gianni Morandi, Natalino Otto, Quartetto Cetra, Stormy Six, Luigi Tenco, Boris Vian e qui ci fermiamo perché l’elenco è ragionevolmente lungo e pienamente condivisibile.
Per chi non lo sapesse, i fratelli Bissolotti, cultori della canzone in dialetto milanese, sono anche i gestori dell’“Osteria del treno” di via San Gregorio, ristorante tra i prediletti del nostro.
Alla fine dell’anno, da molti anni a questa parte, Mura ci aveva piacevolmente abituato sulle pagine di la Repubblica a una valutazione, anche numerica, di nomi, luoghi e fatti che meritavano, nel bene e nel male, una certa attenzione.
Per il 2019, vorremmo ricordare che aveva attribuito “la miglior cena dell’anno” al ristorante “Ai Due Platani” di Parma e aveva indicato come miglior libro “Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio” di Remo Rapino. Da credergli sulla parola.
E se si volesse dedicare una canzone a Mura? Avremmo pensato a “Blowin’In The Wind” di Bob Dylan.
“Sta soffiando nel vento” e che il vento gli sia lieve.


Gianni Mura
Confesso che ho stonato
Skira, pp. 103, € 13,00

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