Ma cosa c'entra il formaggio con la poesia?
(Giovanni Bonoldi)26/04/2017
Spesso il cibo di cui si nutre l’organismo umano è talmente manipolato che finisce col provocare gravi danni alla salute. Sono arcinoti gli effetti deleteri del cibo offerto dalle grandi catene fast food: obesità, diabete... Esistono tuttavia pericoli meno appariscenti e più insidiosi anche in tipi di cibo che costituiscono la base stessa dell’alimentazione: per esempio nel latte, oggetto di normalizzazioni e manipolazioni che consentono alla grande industria casearia di produrre formaggi tipici (mettiamo il gorgonzola) con latte proveniente da chissà dove (non certo da Gorgonzola), e pastorizzato al punto che ogni sua particolarità organolettica è stata completamente annullata.
Incredibile a dirsi, questa situazione è strutturalmente analoga a chi adopera il linguaggio (parlando, leggendo, ascoltando etc.) Quanto sono oggi gli “utenti” linguistici che possano vantare una pur minima consapevolezza dei processi di “produzione del significato”?
I disastri causati dall’industria lattiero-caseraia nel settore dell’alimentazione materiale, l’industria mediatica li causa nel campo dell’alimentazione culturale.
La manipolazione del linguaggio consente, oltretutto, la copertura e la veicolazione del prodotto alimentare. Basta pensare all’uso improprio di termini qualificanti come genuino, nostrano, fresco, naturale... che nella realtà non hanno nulla a che fare con il loro valore semantico, quando non rimandano addirittura al contrario di quel che annunciano, promettono, declamano etc.
Il latte non manipolato è costretto a chiamarsi crudo (che ha connotazione negativa), in maniera da riservare il termine fresco a dei tipi di latte che in realtà sono tutt’altro che freschi. L’unica cosa vera è che si possono consumare a distanza di mesi (latte di lunga conservazione, Parmalat, nei supermercati di tutto il mondo), senza sapere il danno che procurano all’organismo umano le sostanze usate per “allungare” la vita del latte.
Sia per il latte sia per il linguaggio si deve parlare di impoverimento e di riduzione effettiva di opportunità di scelta da parte di chi li utilizza. La standardizzazione (e l’appiattimento) del latte (e derivati) e del linguaggio sono davanti agli occhi di tutti. Gli stessi ingredienti manipolati e ricombinati danno l’illusione di una gamma infinita di scelte. In realtà, davanti a centinaia di etichette che promettono individualità, i prodotti sono tristemente simili per struttura e stile (prefabbricati) e l’acquirente non è più un individuo capace di attingere a pieno diritto alla propria consapevolezza ma un semplice consumatore stordito che, negli stessi scaffali, si trova a “scegliere” latticini (e romanzi) di pessima e pericolosa qualità.
Anche la letteratura diventa stupidamente e lietamente succube degli stessi condizionamenti: pochi ingredienti ricombinati producono un romanzo di successo. Sono centinaia i romanzi di successo, cioè costruiti sulla base
di una formula ridotta ai minimi termini e sempre uguale.
Nel linguaggio del consumo alimentare dunque, così come nell’uso della lingua parlata e scritta, il fruitore, apparentemente svincolato dalla rigidità delle strutture di un tempo (i pasti “strutturati” e cadenzati non meno dei
rigidi registri linguistici) in realtà attinge a schemi e modelli precostituiti e riproduce moduli sanzionati da autorità (linguistiche e alimentari) assolutamente inattendibili, irresponsabili e, nel “migliore dei casi” inconsapevoli. Convinti che il riscontro di una comune matrice dei fenomeni di impoverimento e omologazione consenta una comprensione più profonda dei processi in atto e fornisca strumenti per una più efficace “resistenza”, una maggiore autonomia e pienezza dei modi di vita, studiosi e operatori
di varia estrazione, attenti ai valori di specificità e diversità, del cibo come del linguaggio (scrittori, linguisti, filosofi, pastori, etnografi, antropologi, produttori alimentari, sociologi, economisti, psicanalisti, docenti di storia antica etc.) hanno avviato a Milano presso la Biblioteca Chiesa Rossa un discorso che mira alla formazione di una consapevolezza critica dei processi paralleli che interessano la produzione e il consumo di latte (e si potrebbe estendere al cibo in generale) e linguaggio.
Luigi Ballerini
Michele Corti, discendente da latée (piccoli imprenditori caseari di origine orobica), stanziati da secoli nell'area a S-E di Milano, è nato in questa città nel 1956. Docente di Zootecnia di montagna presso l'Università degli Studi di Milano (sede di Edolo "Università della montagna"). Dedica l'attività di studio alla conoscenza, alla valorizzazione e alla tutela dei sistemi zootecnici e pastorali alpini con particolare attenzione per l'alpeggio, la transumanza, i prodotti caseari tradizionali, gli elementi identitari materali e immateriali connessi a queste realtà. Ha pubblicato diversi saggi su questi temi sugli atti SPEA (Seminario permanente di etnografia alpina, “SM Annali San Michele”) e sulla serie Latte&Linguaggio (Danilo Montanari editore, Ravenna).
Tra i volumi pubblicati: Gli alpeggi dei monti lariointelvesi. Tappe per gustare ambiente e sapori antichi (con C. Carminati), Bellavite, 2008;I ribelli del bitto. Quando una tradizione casearia diventa eversiva, Slow Food, 2011;
La civiltà dei bergamini. Un'eredità sconosciuta Centro studi Valle Imagna, 2014;
Cibo e identità locale. Sei esperienze lombarde a confronto (con Sergio De La Pierre e Stella Agostini), Centro studi Valle Imagna. Sant'Omobono Terme, 2015,
Arte casearia e zootecnia. Tradizioni da leggenda in Valsassina (con G.Camozzini e P. Buzzoni) Bellavite, 2016.
Affianca l'attività di studio e divulgativa
all'impegno per la difesa della montagna,
dell'uomo, delle produzioni agroalimentari
tradizionali e della ruralità.
Presidente dell'Associazione Festival del pastoralismo (Bergamo), è impegnato in
diversi altri organismi culturali sia negli organi
direttivi che in comitati scientifici.
È membro del consiglio di amministrazione
della soc. Valli del bitto benefit, che promuove
la valorizzazione dello storico formaggio.
Sito (www.ruralpini.it - ruralpini@gmail.com)