La mia vita da zucchina
La storia è triste sino alle lacrime. Un bimbo con profonde occhiaie e capelli blu uccide accidentalmente la mamma violenta e ubriacona e finisce in un orfanotrofio in formato comunità extraurbana.
Qui il piccolo, soprannominato Courgette (Zucchina), condivide le sue giornate con altri ragazzini ognuno con il proprio bagaglio di disgrazie e di traumi gravi. C’è il bimbo violento e aggressivo, la bimba che aspetta qualcuno che la venga a prendere, la ragazzina carina malinconicamente depressa.
Ci sono gli adulti in ruoli un po’ stereotipati ma non lontani da una sostanziale autenticità.
La vicenda, in un contesto di doloroso struggimento, viene raccontata in termini pacati e propositivi, mettendo in evidenza i valori della solidarietà e della complicità finalizzata a superare le difficoltà contingenti e a diventare adulti senza portare con sé i peggiori traumi dell’infanzia.
Il finale, con onesta concessione al buonismo, è responsabilmente liberatorio.
Il clima culturale di matrice francese richiama il Truffaut di “Gli anni in tasca” e “I 400 colpi” e il Vigo di “Zero in condotta”.
Un film politicamente corretto, più efficace di cento manuali in materia di infanzia abbandonata e tradita.
La mia vita da zucchina
Francia, Svizzera 2016 66’
In programmazione all’Arcobaleno Film Center