Il ponte delle spie

Una storia ambientata ai tempi della guerra fredda, quando USA e URSS si fronteggiavano a colpi di spie. Buon esempio di cinema eclatante ma nulla di più.  

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Nessuna preclusione, naturalmente, per i grandi e costosi film americani, sono spesso ben confezionati, ben diretti e ottimamente interpretati. E’ anche il caso di questo lungo, forse troppo lungo, film di Steven Spielberg che di produzioni ridondanti, detto in senso buono, è uno che se ne intende.

Stati Uniti d’America fine anni ’50 del secolo che fu, siamo in pieno nel clima della cosiddetta guerra fredda nella quale i due colossi mondiali si fronteggiano più sul piano dei nervi che su quello delle armi che, sanno bene entrambi, potrebbero essere irreparabilmente letali. Tra il logorio della vita moderna rientra anche l’attività di spionaggio che viene praticata da entrambe le potenze con dovizia di accorgimenti e anche di mezzi. Accade così che un tranquillo pittore della domenica (Mark Rylance), di passaporto inglese ma di nascita sovietica o russa che sia, viene individuato come spia della potenza europea e quindi arrestato con il necessario clamore propagandistico. Il governo degli Stati Uniti affida la sua difesa a un integerrimo avvocato di Brooklyn (Tom Hanks), specialista in verità di cause assicurative, a cui viene affidato il compito di fare il suo dovere anche se il potere costituito non prevede, e in parte non permette, che entri troppo nella parte.

L’avvocato entra invece talmente nella parte che il governo gli affiderà, un difficile caso di scambio di spie che avverrà con modalità insolite e fortunose nella Berlino in cui i signori della DDR, e i loro padroni sovietici, stanno erigendo il famigerato muro e siamo dunque nel 1961.

Tutto è bene quel che finisce bene. Dopo 140 minuti di cinema magniloquente si tira il fiato, trionfano i buoni sentimenti e la giustizia americana descritta da Spielberg con una certa benignità, insomma i sovietici e i tedeschi dell’Est sono più cattivi e più subdoli. Vengono però sconfitti da un “uomo tutto d’un pezzo” che conosce e rispetta le regole e pretende che anche gli altri le rispettino.

Film in ultima analisi buonista, ancorché abbiano messo mano alla sceneggiatura Joel ed Ethan Coen che tanto edulcorati non sono, almeno nei loro film.

Intendiamoci, il film è godibile, l’interpretazione, e non solo di Hanks, è di ottimo livello, grande fotografia e tutto molto perfetto come si addice ad una confezione hollywoodiana di classe. Ma basta questo a fare un buon film? Permetteteci di dubitarne.



Il ponte delle spie

di Steven Spielberg

con Tom Hanks, Mark Rylance, Alan Alda

USA 2015, 141’


In programmazione al cinema Plinius e all’Arcobaleno Film Center



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