A teatro e al cinema…a piedi: Il padre

Un kolossal epico maldestramente realizzato da un regista che si perde in inutili estetismi. Un’occasione mancata per raccontare a dovere la strage del popolo armeno a “cura” del governo turco agli inizi del XX secolo. ()
il padre immagine

Mentre infuria la Prima guerra mondiale, nel 1915 il governo turco ordina la strage del popolo armeno.

I motivi, come spesso accade in caso di guerra, sono solo apparentemente religiosi. Per un caso fortuito e per atto di pietà, il fabbro Nazaret Manoogian riesce a salvarsi la vita, anche se perderà per sempre l’uso della parola.

Drammaticamente separato dalla famiglia, apprenderà che la moglie è stata uccisa mentre le due giovani figlie gemelle sono riuscite a sopravvivere e, grazie a una organizzazione filantropica, hanno trovato rifugio a Cuba. Il padre inizia così la sua odissea alla ricerca delle figlie e dopo avventure e sventure di ogni tipo riuscirà a riabbracciare una delle due ragazze nel gelo del North Dakota.

Raccontata così sembra un film d’avventura, come se ne sono visti tanti dove i cattivi sono veramente cattivi e i buoni subiscono e soccombono. Esiste però un esile sentimento di pietas che, a volte, muta il destino delle persone.

Il regista Fatih Akin, tedesco di origine turca, noto ai più per il suo lieve Soul Kitchen, si misura qui con la grande storia e con i grandi sentimenti riuscendo nell’epica impresa di immiserire sia la storia che i sentimenti. Il film è superficiale e prolisso (dura 138 minuti), dispendioso di mezzi (solo le comparse sono migliaia) ma povero di messaggi, debole alquanto nel ricostruire un dramma di un popolo attraverso la tragedia di un padre alla ricerca delle figlie disperse.

Sufficientemente fuori parte anche l’interprete principale, quel Tahar Rahim (classe 1981), attore francesce di origine algerina, perfetto ribelle ne Il profeta(2009) di Jacques Audiard, che non riesce mai a esprimere sino in fondo le tribolazioni di un padre, forse per mancanza di autorevolezza ed età adeguata.

Alla fine ne risulta una sorta di polpettone male assortito che non rende merito a nulla e a nessuno, tanto meno alla storia.

Nel film, un episodio definisce il cinema come catarsi collettiva quando il protagonista si commuove nel vedere, proiettato su uno schermo improvvisato, Il monello(1921) di Charlie Chaplin e la memoria corre, per lo stesso effetto liberatorio, a I dimenticati (1941) di Preston Sturges dove è Topolino ad alleviare le pene dei più derelitti.

Il titolo originale del film è The Cut per via della gola tagliata al protagonista e del taglio definitivo delle proprie radici.

Poco altro da segnalare se non i sontuosi paesaggi dell’Anatolia e del Nord America. Molto poco per fare un buon film.


Il padre
di Fatih Akin
con Tahar Rahim

In programmazione all’Arcobaleno Film Center



(Massimo Cecconi)



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