L’Europa e le donne. “Empowerment delle donne attraverso l’istruzione”

20 Marzo 2015, Milano, palazzo delle Stelline: la sala conferenze dell’Ufficio informazioni del Parlamento Europeo ha ospitato un incontro aperto al pubblico su "Politiche di genere: Questioni di educazioni", organizzato da "Se non ora quando?" Lombardia e Fondazione A. J. Zaninoni nell’ambito del ciclo di incontri “L’Europa è per le donne”.

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I lavori si aprono con la relazione di Rosalba Perini, di SNOQ Udine, presentando un’iniziativa finanziata dalla Regione Friuli Venezia Giulia sulle scuole a partire da quella dell’infanzia, nella convinzione che “il cambiamento parte dalla scuola” fin dai suoi primi gradi, quando i modelli sono ancora in fase di costruzione e non già consolidati.
Si tratta di promuovere nella scuola un’educazione di genere, non come episodio isolato ma come parte integrante del POF e quindi come nuovo paradigma pedagogico che faciliti un miglioramento nei rapporti tra i generi e il rispetto delle differenze, e quindi la costruzione del proprio progetto di vita senza condizionamenti da parte degli allievi e delle allieve.
In concreto l’iniziativa si è articolata in due progetti distinti, brevemente illustrati dalla relatrice: il primo, rivolto alle scuole dall’infanzia alla secondaria di secondo grado, si è incentrato proprio sul riconoscimento e rispetto delle differenze, la prevenzione della violenza e il superamento critico degli stereotipi veicolati da mass media e pubblicità; il secondo rivolto a 3 Istituti Professionali, che vedono una forte presenza maschile e di ragazzi immigrati, intende invece promuovere una conoscenza più approfondita e consapevole della presenza femminile nella storia del ‘900, fino a un’analisi critica – che generi quindi dubbi e domande - dello stato attuale.
A questo intervento ha fatto eco quello fuori programma di Maria Malacrinò di SNOQ Cesano Maderno che ha presentato un progetto analogo rivolto alle III medie del Comune.
Laura Onofri, SNOQ Torino, ha invece presentato la campagna “Donne con la A”, lanciata a fine febbraio e presto diventata nazionale, che mette al centro il linguaggio come “potente motore di cambiamento” e non solo strumento di comunicazione, chiedendo l’uso sistematico e diffuso della corretta forma femminile “ogni volta che si parla di una donna”, senza ricorrere a un falso “neutro”, che non esiste e che non fa che rendere invisibile la presenza delle donne laddove, invece, esse ci sono.
Su questa linea di pensiero e d’azione, la giornalista Iole Natoli ha parlato della questione dell’attribuzione del cognome ai/alle nuov* nat*: un’usanza patriarcale divenuta norma che, di fatto, sancisce la sparizione simbolica della madre e la sua svalorizzazione sociale. Porre allora la questione del cognome, come è stato fatto dopo la sentenza di Strasburgo del 2014, non significa sollevare un semplice problema di forma di importanza secondaria, ma mettere in discussione un intero assetto della società fondato sulla subordinazione della donna.
Ancora nel simbolico si muove l’intervento di Francesca Guerisoli dell’Università degli Studi di Milano Bicocca,  parlando non più di linguaggio o di sistemi giuridici ma d’arte e in particolare del Progetto d’arte pubblica “Zapatos Rojos” dell’artista messicana Elina Chauvet: un’istallazione composta da centinaia di scarpe donate da una rete di cittadin*, dipinte di rosso e sistemate “in marcia”. In Italia, la prima realizzazione curata dalla stessa Francesca Guerisoli, è stata a Milano nel Novembre del 2012, patrocinata dal Comune di Milano, seguita da numerose altre tappe in diverse città Italiane. Il progetto rimanda alla situazione di Ciudad Juàrez, dove dai primi anni ’90, ogni anno centinaia di donne spariscono, vengono stuprate e uccise nell’impunità pressoché totale: è qui che il termine “femminicidio” è stato coniato. Realizzato in diverse parti del mondo, in Italia il progetto ha avuto particolare successo ed è riuscito a sensibilizzare e far riflettere non solo sulla specifica situazione di Ciudad Juàrez, ma anche e soprattutto sul fenomeno del femminicidio, in Italia tristemente diffuso, come le cronache dei giornali quasi ogni giorno ricordano. La curatrice tiene però a sottolineare come questo progetto non abbia nulla di truculento, non rappresentando tanto il femminicidio, quanto piuttosto l’opposizione a esso: mostra una marcia di donne in cammino e rimanda al concetto di azione collettiva. Non vuole esprimere la realizzazione di una singola artista, ma di una rete di persone che si mettono in moto per donare le scarpe, dipingerle, disporle nel luogo prescelto
Infine, Pia Locatelli - SNOQ Lombardia e Fondazione Zaninoni - ha chiuso l’incontro parlando di politiche di genere a livello internazionale a partire da “Pechino + 20”. La relatrice ha iniziato illustrando il lungo percorso delle donne dalla prima Commissione ONU sullo stato delle donne del 1946, e attraverso le 4 conferenze mondiali tenute nel 1975 a Città del Messico, nel 1980 a Copenaghen, nel 1985 a Nairobi e nel 1995 a Pechino. La Conferenza di Pechino ha segnato  la storia delle donne vedendo la partecipazione, accanto alle delegazioni ufficiali, di tantissime ONG da tutto il mondo. Qui sono state lanciate i due principi dell’empowerment e del gender mainstreaming ed è stata elaborata la piattaforma che è diventata una vera e propria “bibbia” per le politiche sulle e delle donne. Sono state individuate 12 aree critiche, che coprono tutti gli aspetti della vita (povertà, istruzione, salute, violenza, conflitti armati, partecipazione economica, partecipazione al potere e alle decisioni, meccanismi nazionali e internazionali, diritti umani, mezzi di comunicazione di massa, ambiente e sviluppo, bambine), non solo lanciando i temi ma affrontando le possibili soluzioni e le azioni da intraprendere.
Dopo Pechino, si sono avute verifiche periodiche dell’implementazione della piattaforma da parte della Commissione: ogni 5 anni viene fatto il punto della situazione, da qui Pechino +5, Pechino +10, Pechino +15, fino ad arrivare, oggi, a Pechino +20, passata come la 5° Conferenza, in realtà mancata.
La dichiarazione ufficiale di Pechino +20 tuttavia non è piaciuta a molte, considerata autocelebrativa e annacquata, mancante di una definizione chiara delle nuove sfide e scarsamente impegnata. Ad essa le ONG hanno perciò risposto con un’altra dichiarazione in cui si mette in risalto il bisogno di un rinnovato impegno sulle tematiche femminili e sui diritti umani,  approvata e firmata anche da diverse associazioni italiane. Insomma: se Pechino +20 è importante, perché influenzerà l’agenda dell’ONU negli anni a venire, è altrettanto importante che si sia messo in moto nel mondo anche un meccanismo differente e parallelo che si è sostanziato tra l’altro con la redazione di “rapporti ombra” sull’attuazione della piattaforma di Pechino.
 
Al termine dei lavori, l’impressione dominante è stata certamente quella di aver ricevuto molti spunti di riflessione ma anche di molto lavoro per portarlo al di fuori del Palazzo delle Stelline e farlo diventare patrimonio comune delle donne e degli uomini che vivono nel mondo e non appannaggio esclusivo di un cerchio ristretto di belle signore eleganti.


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