Donne nascoste. ADA, L'INCANTATRICE DEI NUMERI

Donne nascoste”. Straordinarie. Troppo spesso, troppo poco conosciute. Questo spazio è dedicato a loro. Lo inauguriamo oggi con il primo capitolo del bel racconto inedito di Antonella Nathanson su Ada Byron Lovelace, la prima “informatica” della storia.
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Vi è un piacere nei boschi inesplorati

e un'estasi nelle spiagge deserte,

vi è una compagnia che nessuno può turbare

presso il mare profondo,

e una musica nel suo ruggito;

non amo meno l'uomo ma di più la natura

dopo questi colloqui dove fuggo

da quel che sono o prima sono stato

per confondermi con l'universo e lì sentire

ciò che mai posso esprimere

né del tutto celare.

Lord Byron (George Gordon Noel Byron)
da PensieriParole



Solo luci immaginate avvolgevano il buio. Cercò di affondare lo sguardo miope nella penombra. Si rese conto che stava cominciando ad albeggiare. La sua attenzione fu catturata dal lieve profumo di resina che l 'aria soffiava, da qualche parte. Era felice di trovarsi ancora in campagna.
Si alzò dal letto e si avvicinò alla finestra. Intravide l'autunno attraverso le sottili trame di pizzo delle tende.
Sentì scivolare sulle braccia ignude la corrente del giorno, salubre e piena. Il grande prato davanti all'edificio era ancora verde, ma il colore acceso del platano e dei larici faceva rimpiangere l'ormai tenue calore del sole.
Dalla finestra scorse, in lontananza, la sagoma della governante, che trascinava per mano Byron, il suo figliolo maggiore, imbronciato e recalcitrante. Sicuramente, pensò, sarà andato nella stalla a trovare il cavallo, senza chiedere il permesso. Quel pensiero la fece sorridere: l'istinto di ribellione era una caratteristica comune alle persone della sua famiglia d'origine. Presto sarebbe venuto il momento di lasciare le Highlands per tornare a Londra, e chissà i suoi figli come si sarebbero opposti al fatto di doversi sottomettere di nuovo alla vita disciplinata e un po' grigia della città.
 
Le piacevano la campagna e il suo silenzio perché le ricordavano la sua infanzia nel Mallory. Quella era la terra che le piaceva: la terra secca.
Raccolse un foglio che le era scivolato dalla scrivania e iniziò a vestirsi per il brunch domenicale. Da donna gioviale e allegra qual era, decise di indossare un abito semplice, ma di colori vivaci.
Con il pensiero tornò a Kirkby Mallory, il paese della sua infanzia. Anche laggiù le dolci pendenze erano invase di silenzi e lo sguardo si perdeva nei vasti spazi disordinati della brughiera. L'aria di fieno secco e la terra rossa di zolle e di erica avevano tappezzato i suoi ricordi. Quella era la terra che le piaceva, pensò, finendo di allacciarsi il rigido corpetto di velluto. L'aridità del suolo la riempiva d'energia come se avesse potuto ricavarne alimento per il suo sangue come suggerivano i più celebri versi di suo padre Lord Byron: “Non amo meno l'uomo, ma di più la Natura”.
 
Iniziò a canticchiare una melodia campestre, una di quelle musiche che sapeva suo padre aveva apprezzato.
Da bimba il suo amore per lui era stato una margherita schiacciata tra le dita. Man mano che era cresciuta, però, il vuoto incolmabile della sua assenza, era diventato un fiore rosso che non aveva mai smesso di vegliare. Si sentì vacillare a quella stretta di malinconia. Il mattino ha bisogno di certezze, si disse, aprendo la porta della camera. Sembrava che solo a lei, in quella domenica mattina, il silenzio imponesse la sua regola necessaria. Il silenzio avvolgeva ormai la sua vita da anni. Accarezzò il profilo del cielo che scorse dalle vetrate scendendo le scale, sorrise al figlio che incrociò nel vestibolo .
Gli chiese: «Byron, da dove vieni? Cosa facevi in giardino prima di colazione?»
«Mamma io, ero uscito, volevo salutare il mio cavallo, perché tra poco dovremo tornare in città e non potrò più vederlo». Guardò Ada con espressione furbetta e proseguì: «Questa notte ho sognato che mi voleva vicino e così, appena sveglio, sono corso nella stalla... »
«Come ti devo dire che devi chiedere il permesso per uscire di casa?» replicò Ada. «Ho visto Miss Lane preoccupata, ma dimmi» aggiunse come per mitigare il rimprovero «come stava il cavallo? Sei riuscito a parlargli? Cosa ti ha raccontato? » Byron si mise a ridere e prima che potesse rispondere Ada afferrò la campanella per chiamare tutti a tavola. Ognuno sapeva di doversi preparare alla rappresentazione vivente della felicità domestica.
«Scusa mamma non volevo farvi preoccupare» disse infine Byron, abbassando la voce, «il cavallo era così contento di vedermi, si è avvicinato subito e si è lasciato accarezzare, gli ho chiesto se voleva venire con noi a Londra».
«E lui cosa ha risposto? » chiese Ada divertita entrando in sala da pranzo e prendendo i vassoi con le vivande preparate dalla cuoca e posandoli sulla tavola.
«Si è avvicinato alle staffe come per dire: sì.»
 
La sala era invasa dalle prime luci del mattino. Era un locale molto caldo dove troneggiava un grande camino in pietra. Ai lati delle pareti erano appoggiate grandi sedie di legno di rovere e il grande tavolo rettangolare, al centro della stanza, era già apparecchiato per l'imminente colazione familiare.
William, il marito s'affacciò alla porta. 
«Buongiorno Ada.» esordì con voce glaciale. 
La giacca di tweed verde lo faceva sembrare ancora più largo di spalle e poderoso di torace. Non solo era ben piantato ma chiunque, guardandolo, avrebbe potuto scorgere nei suoi occhi, nelle sue espressioni, una certa alterigia, un non so che di intima superbia. Ada sedette accanto con aria distratta.
«Ti sei accorta che la tua camicia ha una macchia?» le sussurrò allontanandosi per sedersi a sua volta.
Ada si guardò la manica un po' mortificata. In cuor suo si vergognò, di non riuscir mai a compiacere il consorte.
In quel momento si affacciarono sulla soglia della sala la governante con i bambini.
«Possiamo entrare?» chiese la piccola Annabella, con la sua vocina. Ada sorrise indicando loro le sedie contro la parete.
La governante e i bambini ne spinsero in avanti una ciascuno e si sedettero. Il  legno del pavimento scricchiolò, coprendo, con quel rumore, lo scoppiettio dei ceppi che stavano bruciando nel camino. Lo sguardo di Ada tornò a posarsi sul marito che già tamburellava con il cucchiaino sulla tazza vuota.
«Assaggia un po' di marmellata» gli suggerì Ada con un sorriso. «L'ho fatta io...» Guardò il marito che la guardava.
«L'ho assaggiata. E non mi piace» rispose seccamente, abbassando lo sguardo. «Non è certo buona come quella che hai fatto solo due mesi fa... e anche quella non era buona come quella che fa mamma Lovelace».
Calcò l'accento sul proprio cognome come a sottolineare la differenza di status tra lui e il resto del mondo compresa sua moglie, e i suoi figli.
Senza che nessuno lo chiedesse la governante si avvicinò al tavolo e, silenziosamente, versò un bicchiere di latte a ciascuno. Il caffè d'orzo spandeva il suo fragrante aroma nella stanza.

Ada, che era rimasta colpita dalla fredda determinazione della voce di William, rimase silenziosa e addentò tristemente un boccone di pane e marmellata. Pensò che si sarebbe dovuta allenare in eterno al distacco e che avrebbe dovuto accontentarsi per essere felice.
Posò una mano su quella della figlia. La bambina sedeva quieta e al gesto della mamma si sentì autorizzata a conversare. «Oggi, possiamo pranzare nel parco, mamma?» chiese Annabella.
«Ormai è troppo freddo cara per mangiar fuori... l'estate è finita... tra due giorni dovremo far rientro in città... piuttosto, ricordati di riordinare al più presto le cose che dovrai portare con te... »
«No, mamma, non è possibile, dobbiamo già partire? »
«Non hai freddo? Non hai voglia di tornare a scuola, e di rivedere la nonna? »
«No no, io preferisco rimanere qui e correre nel prato e accudire il cavallo di Byron... »
«Il cavallo tornerà anche lui nella stalla, cara,  non potrai rivederlo se non l'anno prossimo... la tua amica Jane, invece, voleva ripassare con te le equazioni ricordi? »
Al pensiero dell'amica, la bimba si rasserenò. «Oh Jane, mi stavo dimenticando di Jane... abbiamo un disegno della tua macchina analitica? Era curiosa di capire com'era fatta... »
«Piccola. La macchina non è una mia invenzione... » rispose Ada e stava per aggiungere qualcosa quando Ralph il suo più piccolo si sollevò sulla sedia e rosso in viso esordì: «Posso parlare?»
«Prima siediti. E poi parla» lo redarguì William.
«Non torniamo a Londra, papà - e forse…»
«Basta figlioli!” Scattò William. «Non voglio più sentire neppure un pensiero, neppure una parola di tale imbecillità! Mettiamo da parte la faccenda, anche se sono addolorato di sentire che non avete voglia di tornare a casa e di riprendere i vostri studi! » li zittì Wlliam «Volete forse rimanere degli zoticoni ignoranti? I Lovelace si sono sempre distinti per le loro opere grandi e buone. Vero Ada? »
Guardò Ada, con aria di sfida, come se dipendesse da lei la pace domestica.
«Certo caro, la nostra è una famiglia rispettabile e noi cercheremo in ogni modo di onorarla.»
Si alzò da tavola per uscire, ma il trillo del campanello la bloccò. La governante che era la più vicina all'uscio si affrettò ad alzarsi e ad aprire la porta di casa. William la raggiunse, e vide che aveva in mano una lettera da consegnare ad Ada.

Dalla busta capì che si trattava di Babbage, il matematico che la stava coinvolgendo nelle sue ricerche... su quella... come si chiamava? ne aveva appena parlato Annabella... la macchina analitica... William, lui, non s’intendeva affatto di matematica, quello era un altro vezzo di sua moglie. Ma lo sopportava in quanto - ai suoi tempi - la nobiltà inglese, di cui era parte, aveva bisogno di giustificare agli occhi del mondo la propria distinzione  con qualcosa di più che un sacco di quattrini.
William s’era convinto insomma che a un Lord occorresse dimostrare anche una certa superiorità morale oltre che materiale. E le ricerche di Ada avrebbero potuto arricchire l’immagine dei Lovelace. Ad ogni modo... era un passatempo che non gli creava problemi.«Ecco» disse la governante porgendo la busta a William.
Ada tossì, adagio. 
William la prese e lesse ad alta voce il nome del mittente
«Babbage è uno dei tuoi amici matematici? Babbage chi è sto Babbage?» insistette ben sapendo di chi si trattava.
«Chi sono i tuoi amici matematici mamma?» chiese il piccolo Ralph che temeva un altro alterco.
«Babbace è l'inventore della macchina analitica» intervenne Byron prima che Ada potesse rispondere
«Sai papà è lo scienziato che sta costruendo una macchina che fa i calcoli da sola.»
«Davvero Ada?» chiese William
Ada sorrise al marito e rispose:  «Sì, Byron ha capito bene, Babbace ha congegnato un sistema meccanico che fa le operazioni di calcolo.»
«Me ne servirebbe una così a scuola» disse Byron con un sospiro.
«Ahah» rise Ada, «sarebbe troppo grande da tenere in classe e disturberebbe gli insegnanti con il rumore dei suoi marchingegni in movimento.» Tornò a voltarsi verso i figlioli ed esortò la governante a lasciare la sala da pranzo.
William diede la busta alla moglie e uscì insieme loro.
«Ma aveva detto…» gesticolò il piccolo Ralph in direzione del padre.
«Non preoccuparti» gli sorrise Ada. «Torneremo presto qui e poi... hai ancora almeno due giorni prima della partenza». Il bimbo l’abbracciò stretta e scappò di corsa fuori in giardino.

Ada sedeva silenziosa, ora, incerta se aprire la lettera o aspettare di leggerla nel suo studiolo.
Che magia meravigliosa, l’immaginare! Quali fantasie si nascondono nel desiderio di un saluto!
Tante volte, aveva cercato nei versi di suo padre qualche traccia che potesse rivelarle un po' di nostalgia nei suoi confronti, qualche piccolo rimorso per averla abbandonata.
Ora l'interessamento di Babbace nei suoi confronti - così assiduo e affettuoso - la ripagavano di tutta quella... mancanza. Neppure suo marito era riuscito a farla sentire tanto importante e tanto viva .
Per lei e Babbace il desiderio era come una farfallina che in silenzio, nello scorrere delle somme algebriche e dei logaritmi, la faceva volare nella notte e nei giorni - nel desiderio di altri numeri, di altri logaritmi e di altre promesse. Lei era la sua maga consolatrice che lo rassicurava davanti all'abisso di un quesito e accarezzando i suoi occhi con il ricordo malinconico, ma tenero, faceva rinascere il pensiero, creava nuove risposte, altre magie.

Salì nel vestibolo ed entrò nel suo studiolo e finalmente aprì la lettera. Babbage l’informava di essere stato invitato a tenere un seminario sulla macchina analitica presso l’Università di Torino. Luigi Menabrea, un ingegnere italiano, gli aveva inviato degli interessanti articoli in francese e così lui, che non sapeva quella lingua, le chiedeva di tradurli in inglese e di aggiungere le note che avesse voluto per completare la sua relazione sulla macchina che stava progettando...
Infine le scriveva: «Dimentica questo mondo e tutti i suoi guai, e se possibile con tutti i suoi ciarlatani. Ogni cosa ha una breve durata tranne l’incantatrice dei numeri.»
Incantatrice dei numeri! Ada serrò la lettera tra le dita. Incantatrice dei numeri! Quelle parole galleggiavano nell’aria rincorse da nuvole invisibili e ancora ricadevano tra le sue mani come pietre preziose.
Mai avrebbe trovato le parole giuste. Le parole adatte, per esprimere quello che stava provando.
Muta, afferrò i fogli dei suoi calcoli e s’immerse nella lettura degli articoli.
 
Risalendo la china del giorno, accarezzando ogni tanto con lo sguardo il profilo del cielo, riempì pagine e pagine di calcoli e note, lasciando scorrere le dita sul desiderio dell’aria, sullo scorrere delle ore. Rimase assorta nel lavoro come per non esistere più, spargendo le sue sensazioni sui fogli e sui notes, appiattendoli, cancellando il suo peso dalla terra e lasciando tra i numeri l’unica traccia di esistenza materiale del suo corpo muto.
Fin quando lunghi nastri di pioggia non corsero sui vetri della finestra e un perentorio silenzio invase il giardino deserto.
S’accorse che animali e piante sorvegliavano l’aria, nel timore di qualche malasorte, mentre le foglie cominciavano a cadere a mazzi, anche sull’ombra dei fogli che stava riempiendo di cifre.
Le grida dei ragazzi che stavano correndo a ripararsi in casa, andavano via via cancellando il mattino... Pochi colori aranciati, pochi rossi, il piccolo Ralph che rincorreva una lucertola infreddolita tra sassi e pozzanghere. Nei solchi del suo volto l’ultima luce indugiò piano. Un’ombra coprì anche l’ultimo sorriso e già incombeva sul sole la densa nuvola della nuova stagione.





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