Cinque motivi (e oltre) per vedere nati in casa
(Loredana Metta)14/01/2015
Perché il pezzo iniziale è scoppiettante: un puro distillato di perfida ironia ambientato in un moderno ospedale. Vi farà ridere fino alle lacrime.
Perché ti fa tornare con la mente e con il cuore al momento più importante per la tua vita e per quella di tutti: il momento sacro misterioso e fatale della nascita. La tua, quella dei tuoi figli…
Perché il tema è specificamente legato all’esperienza femminile e riporta al centro il tema della natalità nella sua dimensione contemplativa, fatta di attesa, lentezza e istintualità profonda. E fiducia nella potenza del nostro corpo, di donne.
Come ogni spettacolo di Giuliana Musso (questo è il primo capitolo di una trilogia che prosegue con Sex Machine e Tanti saluti, rispettivamente sui temi della sessualità e della morte), nasce da una ricerca, fatta con interviste, documenti, incontri con persone reali. Una vera inchiesta, non accademica, ma profonda e sincera, che non teme di portare alla luce argomenti scottanti.
Il testo teatrale in questi giorni all’Elfo Puccini pone domande dritte e dirette come pugni sulla situazione attuale della medicina delle nascite, sulla natalità e delle sue pratiche più o meno insanamente (?) medicalizzate. Sulla salute delle mamme e dei bambini. Costringe a porsi domande, soprattutto se si attendono in famiglia nuove nascite o si programma di avere un figlio. Sì. Perché il senso del teatro, rito collettivo – forse l’ultimo rimasto – è far affiorare domande importanti sulla vita di tutti. In particolare nel caso di Nati in casa pone in modo forte e persino inquietante una domanda:
Dove è finita la relazione, il legame di fiducia e rispetto che portava una donna a confidare in un’altra donna, la levatrice nella fattispecie, per fare del momento del parto un’autentica esperienza umana di intensità e bellezza?
Nello stesso tempo, ed è questa la nostra critica rischia di porre in termini di retorica della nostalgia, passatista, un tema che va invece illuminato dalla conoscenza, senza dimenticare l’umanità: ai bei tempi in cui si nasceva in casa - si è continuato fino agli anni Sessanta dello scorso secolo, soprattutto in zone periferiche del nostro Paese - quasi la metà dei bambini moriva. Certo, le condizioni di vita, la miseria naturalmente… ma di certo nascere in ospedale è più sicuro, permette di intervenire nei casi di emergenza… o no?
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Loredana Metta