Quando la poesia diventa un’ossessione

Un nuovo film su Antonia Pozzi ne racconta la vita e l’opera con evanescenza e sostanziale superficialità. E c’è chi si commuove. ()
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Eccoci di nuovo sotto le Grigne a sbirciare oltre il cancello del cimitero l’imponente scultura che sovrasta la tomba di Antonia Pozzi in quel di Pasturo, Valsassina.

Da quando è stata riscoperta la sua figura di poetessa e di donna, a partire dal 2008 quando l’Università degli studi di Milano le dedicò un incontro in occasione dei settant’anni dalla morte, il paese che ne ospita le spoglie si è adeguatamente trasformato, esaltandone le doti poetiche in ogni angolo possibile, con cartelli segnaletici che ne ricordano l’opera , attraverso una mappa che permette di percorrere le suggestive stradine del paesino, a partire dalla casa di famiglia che, per Antonia Pozzi, rappresentava il luogo del buen retiro.

Nel 2009 fu, prima in assoluto, Marina Spada ad occuparsi mediaticamente di questa sfortunata giovane donna, morta suicida a soli 26 anni nel 1938. Il suo film Poesia che mi guardi, prodotto, tra gli altri, dalla ormai ex Provincia di Milano, approdò al Festival del cinema di Venezia e fece conoscere ai più la figura della controversa poetessa.

Accade ora che due autori lecchesi decidano di tornare sull’argomento e realizzino un nuovo film sulla poetessa che, oltre a esaltare i luoghi di elezione della Pozzi, con grande orgoglio del Comune di Pasturo e della Comunità Montana, coinvolge gran parte degli abitanti del paese stesso in una didascalica ricostruzione della vita della poetessa. La confezione finale ricorda da vicino un mediocre prodotto di una mediocre televisione, un’agiografica riproposizione della contrastata esistenza della Pozzi tra le incomprensioni con la famiglia e gli amori non corrisposti, tra i viaggi e le cavalcate e le ansie di una ragazza per bene che non trova soddisfazione alle proprie, legittime, aspirazioni.

Di Antonia Pozzi, in questa modesta docufiction, si evidenziano solo gli aspetti più esteriori e più biografici: le amicizie e le frequentazioni con il cenacolo filosofico di Antonio Banfi, gli amori irrisolti, il gelido rapporto con la madre, l’autorità del padre fascista militante, la dolcezza della nonna, nobile possidente padana.

Il tutto illustrato dai placidi panorami dell’amata Valsassina e dalla ridondanza di una poesia che spesso accarezza il decadentismo. Si dà, in vero, atto che il film non nasconde il giudizio di Antonio Banfi sulla poesia della Pozzi: fragile e immatura. Ma c’è chi dice che Banfi, importante filosofo del ‘900, capiva poco di poesia.

Se il film della Spada indagava l’essenza della poesia e la drammaticità dell’esistenza, questo nuovo film, già didascalico nel titolo Il cielo in me. Vita irrimediabile di unapoetessa. Antonia Pozzi (1912-1938) si sofferma sugli aspetti più esteriori della vita della poetessa, ricostruendone in abiti d’epoca frequentazioni umane e luoghi amati. A titolo di piccolo esempio, si sorride quando la Pozzi bambina raccoglie nei boschi mughetti già confezionati a mazzo…

Poco da dire sugli autori lecchesi. Sabrina Bonaiti ha un passato da giornalista mentre Marco Ongania vanta l’ottima frequentazione della Scuola civica di cinema del Comune di Milano. Ma sembra non bastare.

E come se non bastasse, si annuncia un terzo film sulla Pozzi. Agli inizi del mese di agosto è iniziata la lavorazione di Antonia di Ferdinando Cito Filomarino, giovane autore già pluripremiato in numerosi festival, prodotto da Luca Guadagnino, con qualche ottimo nome nel cast.

Il simpatico sindaco di Pasturo già annuncia un prossimo appuntamento dove, nello storico cinema del paese, verranno presentati in sequenza tutti e tre i film dedicati a Antonia Pozzi. Cosa non si farebbe per favorire il turismo…

Il film di Bonaiti e Ongania, che è stato già proiettato a Milano presso il MIC (Museo Interattivo del Cinema), è reperibile, per più irriducibili fan della Pozzi, in dvd.

Con il dovuto rispetto della poesia, si consiglia la visione delle belle fotografie scattate dalla Pozzi prima di scegliere di togliersi la vita in un prato nelle vicinanze dell’Abbazia di Chiaravalle a Milano.


(Massimo Cecconi)



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