Milano. Musica. Mondo: Omar Souleyman “Wenu Wenu”, 2014

Alan Bishop è il fondatore della Sublime Frequencies, l’etichetta che ha lanciato Omar Souleyman. La Sublime Frequencies è l’etichetta che di fatto ha sovvertito l’ambiguo - talvolta - concetto di world music: i suoi artisti, siano essi siriani, turchi, maliani, thailandesi ecc, non hanno nulla di facilmente esotico né rispondono ai cliché della cosiddetta musica etnica, ma suonano sporchi, contaminati e persino un po’ sgraziati se messi a confronto con gli stereotipi idealizzanti che da sempre l’Occidente applica nei confronti delle musiche provenienti da altre culture e tradizioni. ()
omar souleyman web
Il “Nostro” è proprio un buon esempio di tale indirizzo. E con lui basti pensare - tra i tanti - a Hayvanlar Alemi band di Ankara che mescolano insieme musica tradizionale turca, note psichedeliche e influenze surf. O ancora Group Inerane, direttamente dal Sahara. Due chitarre, una batteria, cori e poi basta: viscerali, elettrici, come se gli Stooges incrociassero Ali Farka Tourè.

Omar Souleyman è il primo cantante siriano in grado di esportare la sua musica oltre i confini nazionali.
A proposito quali sono? Bizzarra e affascinante la sua vicenda. Per oltre vent’anni ha fatto l’artista da matrimoni incidendo oltre cinquecento dischi (i famigerati 45 giri) in Siria per poi iniziare tre anni fa, un’ascesa che lo ha portato sui palchi di Festival come Glanstonbury (tre giorni di musica, arte circense, teatro di strada…) e il Sònar di Barcellona (delizie elettroniche per tutti i palati) dove è nato il suo produttore, quello Stephan Hyde genio dell’elettronica “sporca e degli slums” che con i suoi Underworld descrive meglio di chiunque altro la miserrima vita dei senza casa e senza lavoro nelle megalopoli del mondo.
Durante l’esibizione al Sònar Souleyman ha folgorato l’ex leader dei Blur Damon Albarn e Bjòrk (che l’ha voluto in studio a remixare un pezzo). Incontri dopo i quali è corso a Londra a registrare l’album in argomento.

Non poco per questo “viandante” della musica, in forza del miscuglio sonoro definito “Jihadi techno”, ovvero incalzanti tappeti elettronici su cui fa convergere il dabke tradizionale siriano (antica danza che prende il proprio nome dall’arabo yadbuk che significa battere i piedi per terra in maniera gioiosa e festosa) il choubi iracheno (un suono ritmico e percussivo tipico dei popoli peregrinanti lungo le sponde del Tigri e dell’Eufrate) e retaggi curdi e turchi.

Musica meticcia insomma, che marcia su un tappeto percussivo incessante e veloce, intarsiato da arabeschi elettronici e incitamenti vocali “alla Demetrio Stratos”. L’apertura di Wenu Wenu è l’esempio più illustre del disco, procedendo decisa sul tipico Souleyman - duetto tra voce e synth con pulsare techno sostenuto - ma sempre discreto - e frantumi di world music.
Ya Yumma infittisce ulteriormente le maglie ammiccando al dancehall finanche al reggaeton, come più avanti la più liquida Mawal Jamar. Poi il canto in lingua araba, curda e turca, ovvero le espressioni vocali di vicini prossimi di una tesissima regione. Dove grazie alla musica, alle musiche si può ancora sperare.

Amerigo Sallusti




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