Centri Antiviolenza. Come andare avanti?

“Pratica e metodologia dei Centri Antiviolenza”. Un workshop tenuto a Milano il 26 giugno scorso. Sedici Centri Antiviolenza lombardi a confronto mettono a fuoco l'esperienze passate, la situazione attuale, in un ottica futura di buone pratiche e di quali politiche rapportate alla esiguità dei fondi nazionali e regionali destinati ai centri ed ai criteri adottati. ()
violenza presidio 3
Una giornata a tema intensa e costruttiva. Molto spazio è stato dato alla metodologia per unificare il lavoro dei diversi centri in una progettualità comune. Al centro  la donna come punto nevralgico e la sua interazione con il lavoro di équipe.
 Insieme alla donna, viene costruito un percorso di uscita dalla violenza, accogliendo, senza giudicare e con ascolto attivo, individuando con lei i rischi della sua situazione, valutando le priorità di intervento, costruendo reti di sostegno e valorizzando le risorse personali che ogni donna porta con sé.
Nel percorso, viene garantita la gratuità, segretezza, anonimato, assenza di giudizio.
Un Centro Antiviolenza non vuole essere un luogo di mediazione, né un servizio pubblico di intervento. Assioma, l'assenza di operatori di sesso maschile, considerando il valore dell'essere donna che sta alla base del modus operandi degli stessi centri.


Numerosi gli interventi mirati alla specificità dei singoli ruoli all'interno dell'equipe. Un particolare rilievo strategico viene attribuito alla  consulente di accoglienza. Figura innovativa, fonda la prima  relazione con la donna. Sviluppa le sue competenze dopo un periodo di formazione e tirocinio presso un Centro Antiviolenza dove impara a conoscere il ciclo della violenza, le pratiche e le metodologie corrette, a individuare le situazioni di rischio, rispettare i tempi della donna e affronta esperienza di condivisione della violenza con altre donne.
Un contributo sostanziale nella comprensione delle competenze è stato apportato dagli interventi
dalle dottoresse Scalzi e Scardi del Centro Antiviolenza “Cerchi d'acqua” di Milano.
Indispensabile sapere riconoscere la differenza tra violenza e conflitto in una
relazione, "leggere" la violenza maschile come prodotto socio-culturale, la disparità di potere tra i due sessi, la violazione dei diritti umani che prescinde dall'eventuale patologia di un singolo individuo.
La psicologa di un Centro Antiviolenza prende una posizione netta nei confronti della violenza, si serve delle metodologie dei Centri stessi, crede alla donna, non la giudica, la valorizza.
Si cerca di favorire l'autonomia e l'empowerment del soggetto ricostruendo la sua storia, cercandone le motivazioni, riconoscendo e affrontando le emozioni, ritrovando e sperimentando le sue risorse e aiutandola a riconciliarsi con se stessa e a riprendere il controllo di sé e della propria vita.
Quando sono presenti figli, si deve anche imparare a rafforzare la capacità genitoriale a riconquistare autorevolezza agli occhi dei figli, perché la violenza interferisce anche con la capacità di essere una madre accudente e protettiva.

Per ogni donna che accede ad un Centro Antiviolenza è compilata una scheda con la raccolta dei dati (coperti da segreto e da privacy) e sintesi della storia personale. Si prendono informazioni anche sul soggetto maltrattante e su tutte le variabili e le specificità del suo caso.
Negli ultimi anni si è sviluppato una sistema di valutazione del rischio, strumento essenziale nei casi di maltrattamenti ripetuti nel tempo o di stalking che permette di esaminare le probabilità che i maltrattamenti perdurino o si ripropongano nel tempo o che evolvano in avvenimenti
tragici come il femminicidio.
Dietro ogni femminicidio ci sono elementi di rischio  che si ripetono. Fondamentale è
quindi l'analisi delle  casistiche e le statistiche dei femminicidi per ricondurli a studi di "lettura preventiva". La migliore valutatrice del proprio rischio è la vittima stessa.
E' importante la valutazione e il monitoraggio nel tempo dei “fattori
di rischio” che, benché non siano la causa prima degli episodi di violenza, possono aiutare a prevedere il decorso degli episodi di maltrattamento.



Un discorso a parte meritano le Case Rifugio di prima e seconda accoglienza realizzate
grazie al lavoro dei Centri Antiviolenza. Discorso spinoso in termini di numero e sopravvivenza per i fondi regionali destinati.
 Residenze protette in casi di necessità di abbandono del domicilio in situazioni di violenza e rischio grave, specialmente in presenza di figli minori.
In sintesi, è emerso ancora una volta  come  i Centi Antiviolenza abbiano maturato buone pratiche e prassi sempre più codificate e rispondenti alle reali necessità delle donne vittime di violenza.

Dall'altra, è evidente come le attuali disposizioni governative siano inadeguate ad affrontare la violenza di genere in Italia e a penalizzare, di fatto, economicamente le strutture preparate ad affrontare e contrastare il problema.
Un dato per tutti. Il denaro stanziato nel 2013 per contrastare la violenza di genere non
solo sarà destinato alle Regioni senza direttive nazionali chiare, ma alle Regioni stesse è data facoltà di finanziare progetti sulla base di “bandi” non ben definiti.

"Le donne dei centri antiviolenza maltrattate dalla politica istituzionale" è stato, non a caso, lo slogan il 10 luglio a Roma dopo la conferenza stampa alla Camera, organizzata da Celeste Costantino. Legge che ha stanziato 17 milioni di euro per gli anni 2013/2014 per contrastare la violenza di genere: solo due milioni di questi andranno alle strutture che accolgono e assistono le donne vittime di violenza. 'Un'elemosina' che sarà ripartita tra i centri individuati e arriveranno a 3.000 euro all’anno per ogni struttura. Una elemosina, appunto.

Questa scelta sembra essere ancora una volta in netto contrasto con la Convenzione di Istanbul che prevede  “adeguate risorse finanziarie e umane per la corretta applicazione delle politiche integrate, misure e programmi per prevenire e combattere tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della Convenzione, incluse quelle svolte da organizzazioni non governative e dalla società civile” (Articolo 8).
A quando un'ottica meno miope da parte delle Istituzioni?

Chiara Rossini

Commenta

 
 Rispondi a questo messaggio
 Nome:
 Indirizzo email:
 Titolo:
Prevenzione Spam:
Per favore, reinserire il codice riportato nell'immagine.
Questo codice serve a bloccare i tentativi di inserimento automatici.
CAPTCHA - click right for audio Play Captcha