Piccolo grande uomo

Trent’anni fa moriva Enrico Berlinguer lasciando un vuoto enorme e costringendo all’elaborazione di un lutto lacerante che, di fatto, non si è mai completamente compiuta.
()
Berlinguer
Alla fine degli anni ’70 del secolo che fu le feste de L’Unità si tenevano in grande spolvero tra i viali e sui prati del Parco Sempione, con gioiosa occupazione del Castello e delle aree limitrofe. Prima, beninteso, che qualcuno decidesse che i comunisti, oltre che i bambini, si mangiavano anche l’erba.  
Quell’anno la Festa, con la F maiuscola, era addirittura di carattere nazionale, con tutto quello che comportava dal punto di vista organizzativo e logistico. Numerose le delegazioni straniere, moltiplicati i palchi, piccoli e grandi, predisposti per le varie esibizioni, triplicati, almeno, i servizi di ristorazione che prevedevano anche menù eccellenti, alcuni persino esotici.
Poi enormi stand che ospitavano mostre e dibattiti, giochi vari per bambini e adulti, voglia di esserci e di partecipare. La sezione Togliatti di via Palermo, tradizionalmente, gestiva il ristorante di specialità sarde per via del fatto che il Circolo culturale sardo, frequentato da tantissimi compagni, era ubicato nel suo territorio. C’erano ai fornelli alcuni cuochi di professione, anche se non c’era da giurarci che fossero proprio tutti sardi, che imbandivano pietanze ghiotte a base di gnocchetti, porcellini e dolcetti talmente dolci da evocare alla sola vista l’incombere del diabete.
Nelle ore di punta, quelle serali, lo stand era preso d’assedio da milanesi e non che volevano provare le prelibatezze della cucina sarda e sfuggire, almeno per una sera, alla salamella e alle costine di maiale.
Fu come non fu che nel tardo pomeriggio di un certo giorno, probabilmente l’ultimo della Festa che prevedeva anche il grande comizio finale, si materializzò nello stand la figura asciutta e sobria di Enrico Berlinguer. Stringeva mani con il sorriso un po’ impacciato, raccoglieva negli occhi lo stupore dei compagni che mai avevano visto così da vicino quello che era ritenuto dai militanti comunisti un mito vivente, un capo con la C maiuscola che incuteva rispetto e ammirazione incondizionata. In quegli anni si contavano sulle punte delle dita di una sola mano i comunisti che non stimassero e amassero Enrico Berlinguer.
Nello stupore diffuso, una compagna, lei sì sarda, di altezza non evidente ma di corpo formoso e morbido si avvicinò al Segretario e se lo abbracciò, senza dire una parola. Berlinguer venne come avviluppato tra le braccia della compagna, quasi a scomparirvi con un contatto fisico del tutto speciale come gli capitò probabilmente anche con Roberto Benigni quando, apparentemente fragile anch’esso, lo prese in braccio. La scena è nota.
La nostra scena, invece, si consumò in pochi secondi nello spazio del ristorante sardo alla Festa de l’Unità.
Io ricordo il sorriso disarmante e tenero di Enrico Berlinguer, le lacrime della intraprendente compagna che ebbe poi l’ardire di pronunciargli nell’abbraccio:” Piccolo grande uomo”, e la commozione di tutti i presenti.
Poi accadde quello che accadde. Sono passati trent’anni e, molti di noi, il lutto non lo hanno ancora elaborato del tutto.


(Massimo Cecconi)


Commenta

 
 Rispondi a questo messaggio
 Nome:
 Indirizzo email:
 Titolo:
Prevenzione Spam:
Per favore, reinserire il codice riportato nell'immagine.
Questo codice serve a bloccare i tentativi di inserimento automatici.
CAPTCHA - click right for audio Play Captcha