Al cinema al cinema: Da Venezia(e Locarno) a Milano, solo andata

Le Vie del cinema 2013, grazie ad Agis e alla sua cordata, hanno portato a Milano una quarantina di film che sono stati protagonisti del Festival del cinema di Venezia e del Festival del film di Locarno. Ne diamo accorato rendiconto.


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Via Castellana Bandiera

Venezia e Locarno, cinematograficamente parlando, condividono la scena dell’estate del cinema, con maggiore e minor rigore a seconda delle stagioni e delle disponibilità.

A Venezia, dopo un tot di anni, è tornato alla vittoria un film italiano. L’ultimo vincitore di noialtri era stato nel 1998 Così ridevano di Gianni Amelio, autore in lizza anche quest’anno con l’innocuo L’intrepido.

E’ noto che la Giuria presieduta da Bernardo Bertolucci è stata particolarmente indulgente con il cinema italiano, attribuendo il Leone d’oro a Sacro Gra di Gianfranco Rosi che è stato definito di genere documentaristico ma tale non è. Onore comunque a Bertolucci e alla sua Giuria per questa scelta coraggiosa che riabilita un genere, prezioso e fondamentale, che difficilmente trova approdo sugli schermi nazionale e internazionali. Definire Sacro Gra un documentario è però una forzatura, il film è l’espressione di una coralità di marginali che vivono alla periferia della Grande Città di cui a malapena riescono a vedere, dalle finestre più fortunate, il Santo Cupolone. Una comunità di invisibili che raccontano, in un mosaico compositivo, le loro storie minime e quotidiane. Più che un documentario dunque trattasi di un film interpretato da attori non professionisti a cui è stata abilmente fornita opportunità di porgere le loro battute in un ferreo copione ben concepito. Un film di sceneggiatura per raccontare le ombre, più che le luci, di un’umanità rassegnata ai limiti fisici e metafisici del Grande Raccordo Anulare.

Giusto per strafare, la Giuria ha anche assegnato il premio di migliore attrice a Elena Cotta, coprotagonista del film Via Castellana Bandiera di Emma Dante. Elena Cotta, anni 82 all’anagrafe, ha lavorato con merito soprattutto in teatro e in televisione. Nel film della Dante è protagonista di un duello metaforico (o meglio, parabolico) con la più giovane Emma Dante in un budello di strada palermitana che scopriremo poi non essere tanto un budello. Il film è allegorico, con decisi elementi teatrali (del resto Emma Dante è maestra di drammaturgia), carico di significati (forse troppo), ben recitato da cori contrapposti e compenetranti di figure femminili e maschili. Un affresco amaro dell’Italia di oggi lacerata dal sopruso fine a se stesso. Da vedere.

Diamo qui naturalmente conto di quello che abbiamo visto e le cose migliori viste a Venezia ( e a Milano) non erano nel concorso ufficiale.

Due film su tutti. Still Life di Uberto Pasolini, italiano d’Inghilterra, già noto come fortunato produttore di Full Monty. Nel suo film, racconta la vicenda di un piccolo uomo, funzionario pubblico, a cui tocca il compito di ritrovare i parenti “introvabili” di persone morte. L’attore Eddie Marsan è semplicemente perfetto nel rendere la dimessa tenacia di una persona che non si rassegna alla solitudine e alla emarginazione degli altri, essendo solitario ed emarginato lui stesso. Nel tocco finale, quando si intravede un inaspettato lieto fine, le carte in gioco vengono nuovamente mescolate con grande beneficio del film e della storia. Da vedere assolutamente, quando e se uscirà nei cinema milanesi.


Fa il paio con Still Life per originalità, un altro piccolo film inglese che sfiora il capolavoro. Si tratta di Locke di Steven Knight, un’ora e trenta di straordinario cinema secondo i canoni di unità di tempo, di luogo e di azione. Il film racconta in tempo reale il viaggio notturno in automobile di un uomo alla ricerca di se stesso per confermare sino in fondo i valori in cui crede. Con lui, nell’abitacolo della macchina, solo le voci degli altri protagonisti lontani: la moglie e i figli, i compagni di lavoro, la donna che sta partorendo per la quale l’uomo ha intrapreso il viaggio. Sceneggiatura puntuale, regia calibrata, un’interpretazione da premio da parte di Tom Hardy, ma il film non era in concorso. Correte a vederlo, quando esce.


Merita anche una visione The Unknown Known di Errol Morris, questo sì un documentario più canonico che gira intorno ad una lunga intervista a Donald Rumsfeld storico segretario alla difesa americano di appartenenza repubblicana. Tra pace e guerra, soprattutto, le vicende di politica estera USA degli ultimi 40 anni. Interessante.

Si può vedere, con le dovute cautele (astenersi i deboli di stomaco), anche Miss Violence del greco Alexandros Avranas in cui, attutite le vicissitudini economiche e politiche di quel paese, viene messo in piazza un terribile interno di famiglia piccolo borghese in cui la figura del nonno materno rappresenta un moderno e terribile orco. Il cruento gesto finale è una liberazione anche per lo spettatore. L’interprete dell’orco, l’inquietante Themis Panou, ha vinto il premio come miglior attore.

Sarà difficile invece vedere sui nostri schermi il film sloveno Nemico di classe di Rok Bicek , a cui è stato attribuito il premio della Settimana della critica. Film di formazione nel senso che si svolge nella classe di un liceo in cui si incontrano/scontrano studenti, insegnanti e genitori. La triste morale che se ne può ricavare è che non ci siano buoni e cattivi, non esiste il bianco e il nero ma solo un melange di colori tendenti al cupo.. Un’umanità deludente e delusa di insegnanti scostanti, studenti infingardi e genitori miserevoli. Molto ma molto vicino alla realtà.

Resta da dire, così così, di La Jalouise in cui Philippe Garrel mette in scena la sua storia con la faccia del figlio e della figlia. Gradevole il bianco e nero. Divertente l’opera prima di Matteo Oleotto Zoran, il mio nipote scemo in cui uno straripante (!) Giuseppe Battiston fa la parte di un balordo cialtrone, neanche troppo simpatico, in un Friuli di frontiera benissimo descritto tra un’ubriacatura e una verde campagna. Questo è da vedere, malgrado il lieto fine, per rilassarsi e ridere spontaneamente. Anche se la risata, ancora una volta, è di quelle amare.

Da Locarno invece riappare a Milano La variabile umana, opera prima di fiction di Bruno Oliviero, stimato documentarista. Il cast eccellente non nobilita una storia poco credibile, con sceneggiatura traballante, in una Milano notturna questa sì ben descritta e rappresentata. Peccato, sarà per la prossima volta.

A voi ora l’ardua sentenza, andare al cinema è sempre un’ottima abitudine per consumare un rito di complicità che nessun home video può neppure lontanamente garantire.

Forza Agis, resistere.


(Massimo Cecconi)




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