La morte corre a Porta Venezia
Alle ore 19.50 di giovedì 2 marzo 1950 il corpo di una donna precipita dal quarto piano di una casa di ringhiera in via Tadino 17/a a Milano e si schianta (suicidio? omicidio?) sull’acciottolato bagnato del cortile. (Massimo Cecconi)28/01/2012
Indaga, con i suoi collaboratori meridionali, il commissario Mario Arrigoni, un milanese cinquantino, come direbbe Camilleri, amante della buona tavola e del buon vino.
Arrigoni, metodico e paziente, richiama apertamente Maigret (di cui per altro legge le avventure), come Maigret ha occhio benevolo nei confronti della varia umanità con cui viene in contatto e come il commissario francese sorseggia volentieri quando può un liquore (Marsala o Cedro invece di Calvados).
La morta è una piacente madre di famiglia alquanto spregiudicata, amante del ballo e della compagnia maschile. Intorno a lei interagiscono personaggi di estrazione popolare che abitano la casa di ringhiera: il marito succube e le figlie, la portinaia sagace e disincantata, l’anziana vicina curiosa e impicciona, l’amica del cuore e gli amanti della donna…
La esile trama e qualche luogo comune di troppo rendono la lettura sin troppo facile, ma non è certamente questo l’aspetto più interessante del racconto. Interessa e incuriosisce invece la godibile ambientazione totalmente collocata nel quartiere che da Porta Venezia si espande verso nordest, in quella che oggi si identifica, grosso modo, con la zona 3.
Il commissario, che per altro ha avuto qualche problema durante la Repubblica di Salò, abita in piazza San Materno al Casoretto. Frequenta, con i suoi sottoposti, una trattoria toscana in via Morgagni e un’osteria con biliardo di via Settala, dove l’oste Gino prepara ottimi sanguis, traduzione milanese del sandwich britannico.
La sala da ballo “Stella d’oro”, frequentata dalla vittima, è in via Spallanzani, gli alberghetti equivoci sono, va da sè, in via Vallazze.
Il marito della vittima, impotente e rassegnato, noleggia automobiline a pedali nei vicini Giardini pubblici.
I ragazzini giocano a calcio in un’area tra via Tadino e viale Tunisia, sgomberata dalle macerie della recente guerra, in attesa delle future ricostruzioni.
La chiesa di funerali e matrimoni è San Gregorio. Il tendone del circo viene installato in uno spiazzo di via Andrea Costa.
I cinema e i teatri sono quelli attivi in quegli anni: il Puccini, il Pace, il Modena e il Venezia.
C’è anche spazio per ricordare la piccola chiesa di San Carlo cara al Borromeo in fondo a via Lecco e Casa (Palazzo) Luraschi edificata nel 1887 dall’ing. Ferdinando Luraschi, già amministratore del Lazzaretto per conto dell’Ospedale Maggiore, in corso Loreto 1 (poi Buenos Aires) che, nel cortile interno, conserva ancora, come molte altre case della zona, le colonne autentiche del Lazzaretto stesso, demolito a partire dal 1882.
Va da sé che il commissariato di zona è quello di Porta Venezia, oggi in via Cadamosto, e che i questurini corrispondono agli stereotipi noti.
C’è tutta la zona dunque, animata da personaggi credibili che vivono una Milano in trasformazione repentina tra la fine della guerra e l’avvento del boom economico.
Non daremo qui conto naturalmente degli sviluppi dell’indagine che sarà bene scoprire leggendo il libro che merita, comunque, attenzione per le sue caratteristiche di ricostruzione storicamente attendibile di un’epoca ormai lontana.
L’autore, pubblicitario di lungo corso, ha vissuto l’infanzia a Porta Venezia e ne porta piacevolmente il segno. La sua nota che chiude il libro fa pensare che ci sia presto un seguito. Ben venga.
Il giallo di via Tadino
Milano, 1950
Dario Crapanzano
Fratelli Frilli Editori
pp. 167
euro 10,50