Hasta siempre compagna Franca!

Non solo una protagonista della cultura e della politica italiana. Forse non sono in molti a sapere che Franca Rame è stata anche un eroe della rivoluzione, una di quelle combattute con le armi in pugno.
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Franca Rame 11
Un piccolo contributo che può aiutare a capire meglio quello che è stata Franca per una generazione di donne e, nel caso della storia che raccontiamo qui, di giovani attrici impegnate e perché no rivoluzionarie, viene da molto lontano nello spazio e nel tempo. Una storia che rimanda alla vicenda eroica e tragica della Rivoluzione Popolare Sandinista. Correvano gli anni ’70 e praticamente tutti i principali paesi del continente latinoamericano erano governati da dittature, tutte invariabilmente appoggiate, quando non direttamente telecomandate, dagli Stati Uniti d’America. Alla fine del decennio, e precisamente il 19 di luglio del 1979, con il trionfo della rivoluzione in Nicaragua questo sistema entrò in crisi. Certo, c’era anche Cuba, ma Cuba è un’isola e gli Usa riuscirono a contenere il contagio evitando che si propagasse nel resto del continente. Con la cattura e l’assassinio del Che Guevara in Bolivia nel ’67 sembrò che le lotte di liberazione di ispirazione rivoluzionaria avessero subito una sconfitta definitiva. Ma non fu così. Durante tutto il terribile decennio degli anni 80 una rivoluzione popolare, vittoriosa sulla sua dittatura, la più longeva della storia moderna e non seconda in ferocia a quelle cilena, argentina o brasiliana, tenne testa alla agli Stati Uniti di Reagan e Kissinger che stavano vincendo su scala globale la sfida della Guerra Fredda. Fu un’epopea eroica, tragica e dolorosa. Durante i dieci anni di governo rivoluzionario quel piccolo paese e la sua gente fecero miracoli, non c’è altra parola per definirli. Alfabetizzarono, vaccinarono, portarono la luce elettrica, i medici, le scuole, l’acqua potabile, le latrine dove tutto ciò non era mai esistito. E mentre lo facevano dovettero anche affrontare lo scontro politico e militare con la superpotenza planetaria. Chi ha avuto la fortuna (o forse la disgrazia) di partecipare o anche solo di assistere a quegli eventi ne porterà sempre nella memoria e nel cuore i segni, come fossero stimmate di fuoco se non sulla propria carne sicuramente nella propria coscienza. Ma quei rivoluzionari ormai quasi dimenticati non pensavano solo ai progressi materiali. Chiunque ha vissuto quella storia è stato testimone del fatto che un altro mondo era davvero possibile costruirlo. E non ha potuto evitare di essere conquistato dall’allegria, la freschezza, il disinteresse di una generazione di giovani che credeva nel suo futuro. E anche dalla loro incredibile, ingenua vitalità culturale che li portava a organizzare in ogni paesino di contadini, anche nelle più sperdute zone di guerra, gare di poesia, spettacoli musicali, feste e rappresentazioni teatrali.

E qui viene il ricordo di Franca. Ci fu nella Nicaragua rivoluzionaria di quei tempi, lontani quanto eroici e disperati, un gruppo di attori impegnati nel processo rivoluzionario, i ragazzi del Teatro popolare Justo Rufino Garay, che portarono le opere di Dario e Franca dappertutto, fino nelle zone di guerra in mezzo ai soldati del Servizio Militare Patriottico impegnati contro le bande controrivoluzionarie agli ordini dalla CIA. Dario Fo già lo conoscevano per merito di una compagnia teatrale messicana che girava l’America latina rappresentando Morte accidentale di un anarchico ma quando scoprirono le opere di Franca, specialmente i monologhi, le donne del gruppo la adottarono come il modo migliore di dare il loro contributo alla lotta rivoluzionaria. La sgualdrina timorata, Una donna sola, Il risveglio. Insomma il teatro di Franca la pasionaria, la comunista, la femminista, i suoi testi espliciti e irriverenti contro l’oppressione esercitata sulle donne dai maschi, anche quelli di sinistra, rivoluzionari o sedicenti tali, l’illusione di fare la rivoluzione senza mettere in discussione anzi rafforzando il loro ruolo dominante e oppressivo, fu accolto da quelle ragazze appassionate, in un paese in cui nemmeno la rivoluzione sandinista aveva scalfito il substrato pseudoculturale machista tipico dell’America latina, come “un soffio di aria fresca in una casa chiusa”, una luce di speranza, un riferimento autorevole per dar vita e realtà ai loro sogni di emancipazione e di giustizia. La frase che ho appena riportato me l’ha detta una di loro. Una donna che per le strane combinazioni della vita dopo la fine della rivoluzione lasciò il suo paese e venne a cercare fortuna in Italia. Si chiama Orieta Ramirez e io ho avuto la ventura di conoscerla bene.

Oggi che ci ha lasciato posso chiederti di dirci qualcosa di quello che è stata Franca Rame per voi, attori impegnati in quella rivoluzione?  

E’ stato un incontro quasi casuale - mi risponde Orieta, ora una cinquantenne dai capelli ancora nerissimi e il modo di parlare e di muoversi che denota tutta la passionalità della sua gente. - Nella magra biblioteca che avevamo come gruppo abbiamo trovato per caso un libro con i 22 monologhi di Franca Rame già tradotti in spagnolo da non mi ricordo chi. Noi insegnavamo teatro ai giovani attori e ogni anno selezionavamo i testi da mettere in scena. Con le ragazze del gruppo facevamo letture collettive di valutazione. Leggendo quei testi che parlavano dei rapporti di coppia, di sessualità, dell’oppressione della donna, del suo sfruttamento sessuale, ci siamo accorte di aver trovato finalmente qualcuno che parlava di cose che sentivamo sulla nostra pelle ma che in Nicaragua non era possibile affrontare, nemmeno dopo la caduta della dittatura. Non era facile neppure tra di noi compagne, perché si trattava di un tremendo tabù. Ci appassionò tutte anche la forma esplicita, intensa, colorita e profondamente umana di quei testi teatrali. Sentivamo che qualcuno esprimeva finalmente con chiarezza e intensità quello che tutte noi sentivamo ma non potevamo o riuscivamo a dire. 

Come decideste di adottarli?

Nel nostro collettivo ogni attore sceglieva autonomamente il testo da mettere in scena. Tutti eravamo guidati da un comune sentire però, da una sensibilità verso i temi sociali. Ma noi donne eravamo particolarmente sensibili al problema della violenza e dello sfruttamento sessuale, perché nel nostro paese era una realtà molto diffusa e anche perché non poche di noi ne erano rimaste vittime. Così io scelsi “La puta en el manicomio”, in spagnolo si chiama così, perché la storia di quella donna, violentata dal padre, ridotta per la sua debolezza psicologica a esser utilizzata sessualmente dagli uomini e alla fine rinchiusa in un manicomio, mi faceva pensare alla sorte di tante ragazze e donne vere, in carne e ossa, molto vicine a me. Attraverso quella storia ho potuto mettere in scena una realtà nascosta e negata anche durante la rivoluzione. Bisogna pensare che in Nicaragua a quei tempi il teatro praticamente non esisteva, se non per le rappresentazioni tradizionali che piacevano all’oligarchia del dittatore. Invece il popolo, ossia il pubblico che noi volevamo coinvolgere, a teatro non ci andava. A rigore, si può dire che a quei tempi un vero pubblico non esisteva neppure. Così decidemmo, forse un po’ furbescamente, di pubblicizzare l’opera con un manifesto in cui si vedeva la gamba di una donna con la giarrettiera. Era la prima volta che da noi si vedeva per strada qualcosa che alludeva esplicitamente al sesso! Così tra la giarrettiera e la puta del titolo, la sala ogni sera si riempiva di gente. Gente comune, tassisti, operai, scaricatori del mercato che spesso si portavano le loro donne. E venivano anche vere e proprie prostitute. Era quello che volevamo. Alle prime rappresentazioni abbiamo dovuto mandare indietro molta gente, tanta era la richiesta. Il fatto è che moltissimi venivano pensando di vedere uno spettacolo pornografico e gli uomini forse ci portavano le loro donne per eccitarsi e far vedere quanto erano machos. Invece si trovavano di fronte alla graffiante, profonda, dolorosa umanità di Franca Rame.

E non si arrabbiarono? Voglio dire, che reazione ebbe tutta quella gente che si aspettava chissà cosa?

La reazione, contrariamente a quanto ci si sarebbe potuto aspettare, non fu di rifiuto. Dato che noi eravamo soliti, alla fine degli spettacoli, fare dibattiti sui temi trattati, ci accorgemmo che il pubblico si identificava, partecipava, chiedeva, poneva questioni. Soprattutto, finalmente si esprimevano anche le donne. Alcune, anzi molte, si mettevano a piangere. Altre riuscivano perfino a zittire i loro compagni e gridare la loro protesta. Furono centinaia di serate di un’intensità sconvolgente, per noi attori e per il pubblico. “Saranno sempre queste poverette a pagare per quei figli di puttana che le vanno a cercare?” mi ricordo che si mise a gridare una sera una signora che conoscevo perché andavo spesso a comprare la frutta alla sua bancarella del Mercato Orientale. Certo non furono tutte rose e fiori. Un’altra sera, mentre stavo nel passaggio dove la dottoressa chiede della sua infanzia alla protagonista e lei ricorda il dialogo tra i suoi genitori dal quale capisce che da piccola era stata violata da suo padre, un uomo si alzò nel buio e si mise a gridare con tutto il fiato che aveva: “siete tutte delle grandi puttane!” Io fui sul punto di interrompere la rappresentazione, ma la gente zittì quell’uomo e lo cacciò dalla sala. Alla fine nacque una discussione la cui intensità ancora ricordo.       

E poi?

E poi niente. Ci fu un dibattito tra noi per decidere se portare le opere di Franca Rame anche ai soldati che combattevano nelle montagne. Ma prevalse giustamente l’opinione che i cachorros (i cuccioli, così si chiamavano i giovani sotto le armi. nda) bisognava farli svagare. Che ridessero, che per un po’ non pensassero alla guerra. Anche con i monologhi di Franca si ride, per carità, ma abbiamo pensato che fossero troppo profondi, che sollevassero troppi problemi per quel contesto. Così per i ragazzi che ci difendevano a costo della loro vita allestimmo varie tournée, se le vogliamo chiamare così ma mi sembra un po’ ridicolo date le condizioni in cui si svolsero, con opere più leggere, più buffe, come Non si paga non si paga di Dario Fo. Ma perché mi fai ricordare tutto questo? Non so se lo voglio fare ancora.

Perché?

Perché divento triste a ricordare. La rivoluzione è stata una cosa meravigliosa per me e per la mia gente. Ma è stata sconfitta. Ci hanno soffocati, e anche dentro il Fronte Sandinista hanno prevalso gli opportunisti. Ora ad esempio, a proposito di oppressione della donna, in Nicaragua abbiamo la peggiore legge sull’aborto di tutto il pianeta, paesi mussulmani compresi. Però ti posso garantire che la lotta non è finita. In molte, moltissime donne il seme della rivoluzione ha dato i suoi frutti e ormai le nuove generazioni hanno un altro modo di vedere le cose, anche se non è espresso certo da chi sta al governo. Molte cose sono cambiate da allora e presto cambieranno ancora. Non vorrei sembrarti retorica, ma sono convinta che un poco del merito è anche del nostro lavoro e dell’incontro con Franca. Basta adesso, se no mi commuovo. Ti dico solo che sono andata anch’io a salutarla al suo funerale. Forse nessuno se n’è accorto ma mi sono messa al collo un fazzoletto rosso e nero, i colori del Frente Sandinista, quello dei nostri eroi e martiri. Spero che lei lo abbia visto e abbia gradito. Hasta siempre compagna Franca. 


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Re: Hasta siempre compagna Franca!
28/12/2014 Fabrizioc
Commovente. E meraviglioso.


 
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