Un brindisi nella Giornata Internazionale contro l'omofobia

La vita è troppo corta per viverla oppressi dai pregiudizi.
Meglio una storia pulita e sincera, come un buon vino.
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Bisogna conoscerle da vicino le persone, mica sparare scemenze come se la vita fosse un pomeriggio becero passato a bere un vinaccio qualunque al bar sotto casa. A proposito di vita e di vino, mi viene in mente una scritta appesa al muro nel negozio del mio vinaio di fiducia: ‘La vita è troppo breve per bere del vino scadente’. Un bel tipo il mio vinaio. Un giorno nel suo negozio, mentre facevo la fila, è entrato un ragazzo alto, piuttosto elegante, dai modi simpatici e aperti. Da come si parlavano si capiva che erano di quella sponda. E anche che vivevano assieme. Ho osservato con una certa sorpresa che gli altri clienti non facevano una piega. Anzi, erano tutti distesi e cordiali. La volta dopo non c’era nessuno e mi andava di attaccare bottone. Mentre mi stava imbottigliando un buon Refosco siamo finiti a parlare del Registro delle coppie di fatto istituito da poco dalla Giunta Pisapia con grande scorno di De Corato e di tutti nostalgici, e gli ho chiesto se lui e il suo compagno avessero intenzione di iscriversi. Altroché. Non solo si erano già registrati, ma avevano anche fatto una grande festa per celebrare l’evento. Mi è sembrato che valesse la pena di saperne di più, per i motivi che adesso dirò. Lui è un quarantenne, anche se non lo dimostra. È un veneziano di Venezia ma i suoi vini, almeno quelli sfusi, prevalentemente vengono da Treviso. Però nella sua enoteca ci trovi anche i più pregiati. E poi ha passione e se ne intende, dato che fa il vinaio da quando aveva vent’anni. Se hai bisogno di un consiglio, ad esempio sulle annate o sugli abbinamenti migliori, chiedi a lui che vai sul sicuro. Certo, i vini seri non te li regala. Ma ha anche dei vinelli che vale la pena di fare un po’ di strada per andarseli a prendere: chiari e puliti, ne puoi bere quanto vuoi e non ti danno né mal di testa né pesantezza. Ma non lo volevo intervistare per questo, avevo un altro paio di buone  ragioni. La prima è del tutto occasionale, ma ha funzionato come una molla. Si tratta di una frase che recentemente ha detto a mia figlia un insegnante di religione: “ho scoperto che un ragazzo in una mia classe è gay e la cosa mi ha fatto un po’ schifo”. Ha detto così, il ministro di Cristo. E pensare che gli insegnati di religione nella scuola pubblica li nominano i vescovi, ma li paga lo stato laico e repubblicano. Ossia noi. E la seconda ragione, più seria, è che si avvicinava la Giornata internazionale contro l’omofobia e la transfobia. Ricorre proprio oggi, 17 di maggio, ed è stata promossa nel 2007 non dall’Arcigay, ma nientemeno che dall’Unione Europea. Segno che il problema non è certo di poco conto. Credo che valga la pena di raccontare le storie di queste persone, che una volta venivano allegramente bruciate sul rogo e ancora oggi sono fatte oggetto di discriminazioni intollerabili, quando non di aggressioni e violenze. Perché sono storie di gente come noi, come tutti. Anzi, qualche volta anche più belle e più umane. Adriano, il mio vinaio, per fortuna non ha un vissuto così drammatico. Però sì quello di un profondo disagio, ma superato con determinazione e anche un pizzico di buona sorte. Ci siamo seduti al tavolo di un baretto vicino al suo negozio, prima dell’orario di apertura. Non posso dire dov'è, se non che sta nella nostra zona dalle parti di Piazzale Loreto. E ho provato a fargli qualche domanda.

Raccontati un po’, Adriano. Venezia, hai detto. Com’era la tua famiglia?

Abitavamo in Campo San Bartolomeo, ma poi ci siamo trasferiti a Mestre, in terraferma. La mia è una famiglia medio borghese, cattolicissima. Ho due sorelle più grandi, ma ai tempi avevano anche loro delle idee piuttosto ristrette. Una però ha studiato a Cà Foscari e si è trasferita in Germania. Questo certamente le ha aperto la visuale. I miei genitori hanno sofferto per la mia diversità, ma il problema più grande per me è stato quello dell’autoaccettazione. È cominciato tutto durante la pubertà. Vedevo gli omossessuali come mezzi uomini. Il mio riferimento, a quei tempi, era Renato Zero. Ma siccome facevo fatica ad accettarmi ho tentato di avere una vita etero. Sono anche arrivato vicino al matrimonio. E ho avuto tante fidanzate, perché ‘meccanicamente’ le cose mi riescono. Ma il cuore mi portava agli uomini, questa è la verità. Ti devi immaginare una cosa così a Venezia, vent’anni fa. L’ambiente, oltre che chiuso era anche ostile. Mi prendevano in giro e non puoi immaginare quanto è stato pesante avere tutti contro. Finisce che non sai più cosa sei, non sai a chi chiedere aiuto, a chi parlare. Infatti sono stato in silenzio fino ai 24 anni. I miei hanno provato a portarmi dal prete, poi mi hanno proposto uno psicologo. Ma io ho trovato la forza di dire no, perché non mi sentivo né un peccatore né un malato. Alla fine ho incontrato un ragazzo più grande, ma molto effemminato. La mia famiglia ha reagito male e mi ha rifiutato completamente, sostenendo che si trattava di una protesta, di una manifestazione della mia indole ribelle e un po’ pazza. Anche le mie sorelle ci sono restate male, ma inaspettatamente si sono aperte e mi hanno aiutato. Anche i loro mariti, devo dire. Insomma, un bel giorno l'ho detto ai miei genitori ed è stata una vera tragedia. Meno male che è venuto il marito di mia sorella e mi ha espresso solidarietà. Comunque non avevo intenzione di rinunciare al mio rapporto e ho deciso di andar via da casa. Avevo 24 anni e già gestivo una mia enoteca. O meglio, ero in società. Con un leghista però, un omofobo e per giunta nel lavoro un inetto. Mi aveva accettato come socio perché io ero bravo e pensava di approfittarne, ma quando ha saputo della mia omosessualità ha preferito mettere in liquidazione la società. Così me ne sono venuto a Milano, nel 2002 per l’esattezza. Mi è piaciuta subito Milano. Molti contatti, apertura mentale. Frequantavo il Billy, il Ricci (anche se per me questo locale era troppo radical schic), l’Elephant. Posti così. Ho trovato anche dei gay che sono uomini, non effemminati. E mi si è aperto un mondo, il mio mondo. A Milano non ho avuto mai difficoltà. Coi clienti, ad esempio, non parlo ma nemmeno nego. E poi l’arrivo di Innocenzo ha cambiato molte cose.

Ecco, racconta un po’ il tuo compagno, se vuoi, la vostra relazione.

Niente di particolare. È pugliese, anche lui di famiglia cattolica, e i problemi che ha vissuto sono stati molto simili ai miei. Come me si è trasferito a Milano nel 2002, ha 33 anni e lavora nella moda. Abbiamo avuto il classico colpo di fulmine, ma lui forse è più aperto di me. Tende a vivere con maggior naturalezza. E spinge sempre per uscire allo scoperto. Abbiamo iniziato presto un rapporto stabile e siamo andati a vivere assieme. Ora qui a Milano veniamo guardati con normalità da tante persone. Anzi, molti ci hanno detto che vederci li ha aiutati ad aprire gli occhi. Una cosa che mi stupisce, ma mi fa anche molto piacere, è l’accettazione da parte di tante persone anziane. È bello vedere come ci parlano, come se nulla fosse.

Così, grazie al Registro delle unioni di fatto, si può dire in un certo senso che in vi siete proprio sposati. Ci racconti le vostre motivazioni e le impressioni di quel giorno?

È molto semplice. Abbiamo deciso di dare quel po’ di formalità che la situazione consente per manifestare pubblicamente il nostro amore. Per questo abbiamo anche voluto fare una festa. Abbiamo pensato di chiudere in questo modo il percorso iniziato 15 anni prima. L’abbiamo entrambi vissuto come un passo utile verso l’affermazione di un diritto importante. Al Comune è stato abbastanza buffo. Siamo andati lì senza tante cerimonie, diciamo con la stessa formalità con cui si va a fare un cambio di residenza. L’ufficio era gradevole, ben arredato. Era il 14 aprile e ora siamo la coppia di fatto numero 144. Il messo a un certo punto ci ha chiesto se volevamo anche l’attestato. Certamente, abbiamo risposto. E lui dubbioso ci ha avvertito che costava ben 14 euro e 62. Molti si tirano indietro per questo, ci ha detto. E ha concluso chiedendoci gentilmente se per festeggiare saremmo andati a mangiare una pizza. Invece noi abbiamo fatto una festa in pompa magna. Decine di amici, parenti e anche una ballerina di danza del ventre.

E i vostri genitori, hanno partecipato allora?

No, non sono venuti, non se la sentivano. Né i miei né quelli di Innocenzo. Li posso anche capire, hanno pensato di lasciarci tutto lo spazio evitando inutili imbarazzi. Sono cattolici, te l’ho già detto. Però ci hanno fatto dei regali formali.

Per voi cosa pensi che cambi adesso?

Non molto. Avevamo chiesto che venissero a sposarci alla festa, ma ci hanno detto che il Registro non può uscire dal Comune. Così per me il giorno del matrimonio è stato più quello della festa che quello della firma. Durante la festa mi sono sentito galleggiare in un mare di gioia. Abbiamo fatto un grande pannello col documento e l’hanno firmato tutti i testimoni. Il cambio che sento è che ora la gente non mi chiede più come sto ma come stiamo. Anche i clienti ci hanno fatto un mare di auguri e alcuni ci hanno regalato dei fiori. Tutti mi sono sembrati davvero felici. A Venezia tutto questo non sarebbe successo. A Venezia se andiamo mano nella mano ancora oggi ci indicano a dito.

E i vostri progetti?

Niente. Lavorare e continuare ad avere una vita indipendente, ma vivere insieme. Innocenzo vorrebbe figli, io no. Non perché non mi piacciano i bambini. Piuttosto per paura delle responsabilità, lo ammetto. Ma sarebbe lo stesso anche se fossi etero. Però c’è anche un altro motivo: non mi sentirei di far pesare la mia scelta a un bambino. Però capisco quelli come noi che la pensano diversamente. Una volta una coppia di amici olandesi, con dei figli adottati, mi hanno raccontato che quando li hanno iscritti a scuola qualche problema sociale l’hanno avuto anche loro.

Diciamo come succedeva 30 anni fa ai figli di genitori divorziati. Ma io penso comunque che sia meglio avere due genitori omo che non averne affatto o vivere in un istituto. Quindi dovrebbe esserci la possibilità di adozione. Altro discorso è quello della procreazione in vitro. Probabilmente si potrrebbe il problema dell’assenza della madre, o del padre. Comunque nella nostra coppia il problema non c’è. Però quello che ho visto nel nordeuropa, il modo che hanno di affrontare il problema, mi è piaciuto, è molto civile. Ma anche Milano mi è sembrata una città molto aperta, da questo punto di vista.

L’ho trattenuto anche troppo, il mio bravo vinaio. L’ora dell’apertura è passata da un pezzo e davanti alla saracinesca ancora abbassata si era già formata una certa fila di gente. E anch’io dovevo ancora ritirare il mio bel cartone di Prosecco, che avevo ordinato da un pezzo e non riuscivo mai a ritirare. È una delizia il suo prosecco. Dopo due o tre mesi di riposo in cantina diventa secco, gioioso e brillante come si deve. E a Natale e Capodanno è perfetto. Grazie Adriano, per il tuo racconto e per il tuo vino, perché entrambi mi sono sembrati puliti e sinceri. E grazie anche per il tuo giudizio su Milano. Si vede che non hai avuto la fortuna di conoscere il tal De Corato e neppure quei simpaticoni che gli stanno attorno. Auguri, e buon 17 di maggio.



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