L’amore tra ragazze nei racconti di Yoshiya Nobuko

Donna anticonformista e femminista ante litteram nel Giappone della prima metà del XX secolo, Yoshiya Nobuko ha raccontato le relazioni intime tra giovani donne come di un sentimento profondo, superiore anche all’amore eterosessuale. ()
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La “donna nuova” nel Giappone del XX secolo. L’uscita del Giappone dal suo isolamento, a partire dalla metà del XIX sec., segnò l’inizio di una rapida crescita a livello economico che lo portò alla modernizzazione e contemporaneamente alla messa in discussione dei ruoli sessuali del genere femminile che avevano contraddistinto quella cultura per secoli.

L’affrancamento delle donne, cominciato già timidamente nel Periodo Meiji (1868-1912), sbocciò come un fiore primaverile nei Periodi Taishō (1912-1926) e Showa (1927-1945). La società patriarcale giapponese conobbe in questo frangente storico la comparsa della Donna Nuova (o “atarashii onna”): una donna che affermava la propria identità e che acquisiva consapevolezza a livello sociale. Ciò fu reso possibile sia dalla scolarizzazione superiore femminile - nel 1899 vennero infatti aperti istituti di istruzione secondaria rivolti a ragazze e nel 1901 fu inaugurata la prima università femminile - che dalla traduzione nella lingua giapponese di testi pionieristici del pensiero femminista quali L’amore e il matrimonio (1911) della svedese Ellen Key (1849-1926) e gli scritti dell’americana Margaret Sanger (1879-1966).

Le giovani giapponesi delle classi abbienti e residenti nelle aree urbane incominciavano a pensare all’occidentale e a dismettere gli abiti tradizionali della loro cultura, i lunghi kimono e le elaborate acconciature del passato, per vestire secondo la moda che arrivava dall’Europa e dagli Stati Uniti d’America e portare i capelli corti “alla maschietta”.
A queste ragazze pienamente alfabetizzate, non ancora sposate e che conoscevano anche una certa autonomia economica in quanto lo Stato incoraggiava le giovani donne a svolgere, dopo la fine degli studi, lavori in qualità di segretarie, cameriere e commesse, si rivolgeva la scrittrice Yoshiya Nobuko (1896-1973) con i suoi racconti e romanzi nei quali affrontava l’amore romantico tra studentesse.

Nata a Niigata in una famiglia tradizionale di origini samurai, Yoshiya all’età di 19 anni si trasferì con uno dei suoi numerosi fratelli a Tōkyō, divenuto nel frattempo il più importante centro urbano del Giappone, e qui scrisse tra il 1916 e il 1924 una serie di 52 racconti intitolati Storie di fiori che comparvero all’inizio su alcune riviste finché non furono pubblicati in un’unica edizione prima della Seconda Guerra mondiale.
 
Le ragazze protagoniste delle storie di Yoshiya, ognuna intitolata con il nome di un fiore, erano tutte studentesse adolescenti, o giovani donne che avevano completato il loro percorso scolastico, che nell’ambiente dei dormitori femminili si innamoravano di una loro compagna o di una insegnante. L’amore tra ragazze era visto, dalla società etero-normativa giapponese dei primi del Novecento, come una forma di amore spirituale e quindi non condannato a priori. Nei confronti delle relazioni tra ragazzi invece non vi era alcun dubbio nel condannarle come anormali.

Le Storie di fiori di Yoshiya offrivano la possibilità alle giovani delle classi sociali più avvantaggiate di immaginare una vita libera dai condizionamenti di una società che le richiamava, superata l’età adolescenziale, ai ruoli tradizionali di mogli e madri. Questi racconti erano accomunati dal finale tragico, in quanto l’amore della protagonista alla fine o non era corrisposto oppure era impossibilitato a concretizzarsi, fino a sfociare nel suicidio, a causa delle pressioni sociali esterne.

Nel saggio comparso nel 1926 e intitolato La gioia di amare qualcuno del proprio sesso, Yoshiya sostenne che il legame adolescenziale tra ragazze era la forma che assumeva l’amore inteso nel suo senso più alto e spirituale e come tale andava difeso incondizionatamente. Lei stessa condusse una vita da donna eternamente giovane, rifiutando il matrimonio e vestendo all’occidentale con l’immancabile taglio di capelli corti ”alla maschietta”. Si guadagnò da vivere scrivendo, senza l’appoggio di una figura maschile ed ebbe modo di fare diversi viaggi all’estero.
In modo simile alle sue eroine romanticamente innamorate delle loro sodali, ma più fortunata, ebbe una relazione amorosa nel 1919 con la sua compagna di stanza nel dormitorio femminile di Kanda, nel quale visse dopo che il fratello aveva lasciato Tōkyō.

Questa esperienza sentimentale ispirò il suo secondo romanzo, Le due ragazze della soffitta, scritto nel 1919. L’anno successivo vide poi la luce un altro romanzo: Fino agli estremi confini della terra.
La compagna di una vita intera fu però Kadoma Chiyo (1899-1985), una giovane insegnante di matematica di un liceo femminile che Yoshiya conobbe nel 1924. Due anni dopo entrambe intrapresero una convivenza a Kamakura che si trasformò in una forma velata di unione matrimoniale allorquando nel 1957 Yoshiya non decise di adottare Kadoma quale sua erede.
Era questo l’unico modo di vedere riconosciuto un legame omosessuale dallo Stato giapponese, modalità non del tutto sconosciuta visto che un caso analogo pare si fosse già verificato nel 1935.

Donna indipendente e anticonformista, femminista ante litteram, Yoshiya rivendicò il controllo delle nascite come diritto fondamentale per le donne nonché come politica eugenetica positiva e durante il secondo conflitto mondiale contribuì, alla stregua degli altri intellettuali giapponesi dell’epoca, a far conoscere le gesta eroiche dei kamikaze.


Forse la sconfitta dell’imperialismo nipponico nella Seconda Guerra mondiale ha contribuito a far cadere la sua opera e il suo moderato attivismo nel dimenticatoio nonostante le femministe giapponesi odierne considerino Yoshiya una loro antesignana.

Antonello Lenza


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