Omofobia, un termine moderno per un antico pregiudizio

La paura e l’immotivata ostilità nei confronti delle persone omosessuali e transessuali si alimenta della stessa logica d’intolleranza e di manifestazioni escludenti che ricadono sugli stranieri (xenofobia), sui non-europei (razzismo), sugli ebrei (antisemitismo) e sulle donne (misoginia). Ogni società evoluta dovrebbe prendere le distanze dall’omofobia contrastandola innanzitutto con provvedimenti giuridici e politiche sociali includenti. ()
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Alle radici di una discriminazione. Che la si chiami “omonegatività” oppure “omofobia” questo insieme di atteggiamenti e comportamenti di avversione e d’intolleranza nei confronti dell’omosessualità e della transessualità/transgenderismo, le sue radici sono profondamente storiche, culturali e sociali.

Fin dal pensiero greco di età classica, in particolare dalla filosofia di Platone (IV sec. a.C.), è stato ritenuto appartenere all’ordine naturale delle cose il solo rapporto riproduttivo tra uomini e donne, operando in questo modo il primo grande spartiacque tra ciò che è “secondo natura” e ciò che è “contro natura.” Il pensiero greco è migrato nel cristianesimo che ha fondato la sua “metafisica sessuale” sulla divisione tra maschile/femminile e indirettamente eterosessualità/omosessualità negando a quest’ultima ogni ragion d’essere.

Nell’Antico Testamento, con i libri del Levitico e della Genesi (nello specifico con l’episodio della distruzione di Sodoma e Gomorra), la condanna dell’intimità sessuale e affettiva tra uomini si è resa esplicita e dall’ebraismo è passata al cristianesimo e all’islam. “Non giacerai con un maschio come si fa con una donna. È cosa abominevole” (Levitico XVIII, 22): per migliaia d’anni questa prescrizione ebraica ha costituito il fondamento morale ed antropologico della condanna del piacere e dell’affetto che persone dello stesso sesso possono consensualmente e vicendevolmente scambiarsi.

Nel mondo occidentale cristiano la condanna della sodomia (parola coniata in memoria dell’omonima città biblica) si è concretizzata nel Basso Impero (sec. III-V d.C.) sulla scorta della teologia morale cristiana, divenuta nel frattempo la confessione religiosa di Stato. L’imperatore Costanzo II nel 342 d.C. promulgò la prima legge atta a perseguire i sodomiti; successivamente vi pensarono gli imperatori Teodosio II nel 438 d.C. e Giustiniano nel 534 d.C. a realizzare in terra il giusto Regno dei cieli nel quale non vi poteva essere posto per i colpevoli del “reato contro natura” .

Contemporaneamente la Chiesa giustificò il diritto tardo-imperiale con alcuni Concili ecumenici e Sinodi vedendo nel vizio sodomitico un “peccato” e gettando le basi per i successivi sviluppi omofobici della propria antropologia. Agli inizi dell’XI secolo d.C. Pier Damiani, vescovo e santo per la Chiesa cattolica, condannò la sodomia perché comportava la morte del corpo e quella dell’anima e sostituiva nel cuore degli uomini allo Spirito Santo il Diavolo.
Il razionalismo tomista, fondamento della dottrina cattolica, e la filosofia scolastica medioevale contribuirono, nell’Occidente cristiano, a ridurre il corpo della donna alla mera funzione riproduttiva all’interno esclusivamente del modello familiare coniugale, ribadirono il dominio maschile (del dio divenuto uomo, del sovrano, del prete) e giudicarono come abominazione qualunque forma di sessualità non finalizzata alla procreazione della specie.

Gli omosessuali, uomini e donne, sovvertivano la legge naturale inscritta nell’Ordine divino delle cose e per essi non poteva esservi posto nella “civitate dei.” La condanna a morte dei secc. XIII-XIV-XV d.C. fu ribadita nel 1532 - su insistenza degli ordini religiosi predicativi - nel Codice penale del Sacro Romano Impero: a partire dall’imperatore Carlo V la sodomia venne sistematicamente punita con il rogo (come per le streghe e gli eretici). Le persecuzioni di donne per il peccato di sodomia furono più rare ma non per questo sconosciute come la condanna a morte per annegamento di Katherina Hetzeldorfer che si tenne nel 1477, nella località tedesca di Speyer, per aver questa intrattenuto rapporti sessuali con svariate donne “alla stessa maniera di un uomo.”

Nei territori convertitisi al protestantesimo all’innominabile vizio di sodomia toccava la medesima morte sui roghi. Le pubbliche esecuzioni di sodomiti, sancite dai poteri temporale e secolare, richiamavano folle che assistevano e partecipavano alla punizione degli abietti peccatori “senza dio” contribuendo a plasmarne negativamente le coscienze.

Ancora nel 1783 in Francia fu arso sul rogo un “depravato contro natura” con l’aggravante di omicidio, un certo Jacques-François Pascal, mentre l’ultima esecuzione capitale per sodomia attestata nell’Europa continentale risale al 1805 nei Paesi Bassi olandesi. Le persecuzioni cambiarono di registro dopo la Rivoluzione francese e nel corso del XIX secolo allorquando al “giudizio morale” della teologia si sostituì lo “sguardo clinico” quale sapere sui corpi di cui parla Michel Foucault e alla condanna capitale si sostituì la discriminazione sociale degli omosessuali (nel 1869 dallo scrittore ungherese e proto-attivista gay Károly Mária Kertbeny fu coniata la parola “omosessuale”), consegnata dagli Stati moderni al sapere medico-psichiatrico e non più alla verità biblica.

Così dal XIX secolo fino al Secondo dopoguerra l’omosessualità divenne oggetto dell’attenzione medico-scientifica secondo un duplice atteggiamento: la cura “riparativa” e/o la punizione attraverso il dispositivo normativo-carcerario perché di una “perversione” o di una patologia pur sempre si trattava. Il nazi-fascismo condannò decine e decine di migliaia di uomini e donne agitando lo spettro della paura anti-omosessuale in nome di una pericolosa malattia degenerativa del mito della razza.

Prospettive odierne. Nonostante le legislazioni occidentali abbiano depenalizzato l’omosessualità dagli anni Sessanta, la discriminazione sociale e civile (che agisce a livello verbale ma anche fisico concretizzantesi nella violenza omofobica) continua a perpetrarsi in tutti gli ambiti del vivere collettivo: scuole, luoghi di lavoro, luoghi di socializzazione, ospedali ecc. Paradossalmente gli atteggiamenti negativi si sono rafforzati in relazione alla maggiore visibilità e consapevolezza acquisita dalle persone omosessuali e trans. Tutte le società, anche le più avanzate, continuano ad essere incentrate sull’eterosessualità come la normalità negoziabile in ambito pubblico mentre l’omosessualità, la transessualità e il transgenderismo come delle “scelte” particolari da relegare alla dimensione privata.

Nonostante la maggiore libertà degli individui nelle società occidentali del XXI sec., i soggetti LGBTQ continuano a subire discriminazioni e stigmatizzazioni civili e sociali. Le guide religiose dei monoteismi, come il pontefice romano e le sue gerarchie ecclesiastiche, ripropongono la stessa intolleranza e violenza verbale dell’oscura età dei roghi e delle uccisioni pubbliche che tanto influenzarono l’antica paura e il terrore delle genti europee nei confronti dell’alterità in generale e di quella sessuale in particolare. Molti governi di Paesi occidentali, e tra questi l’Italia, continuano a ricusare le istanze dei movimenti e delle persone LGBT rinviando di continuo l’estensione di fondamentali diritti civili “eterosociali” quali il matrimonio, la scelta genitoriale, i benefici per i partner conviventi, la difesa della propria incolumità anche a uomini e donne omosessuali e trans. È giunto il momento in questi Paesi occidentali come l’Italia di intraprendere seriamente politiche sociali e provvedimenti legislativi inclusivi e rispettosi di tutte le soggettività perché il progresso civile passa attraverso e soprattutto il superamento delle discriminazioni e del pregiudizio verso omosessuali e transessuali.

Antonello Lenza

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