Sia lode ora a uomini di fama: Silvano Piccardi

Nella nostra zona ci sono e ci sono state persone importanti che contribuiscono e hanno contribuito al progresso sociale, civile e culturale della nostra città e del nostro Paese. L’occasione di conoscerle è un modo per stare nella storia e nelle stagioni.
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silvano piccardi web
Abbiamo incontrato Silvano Piccardi nella grande sala del Teatro Delfino dove era in scena sino al 24 febbraio “Io ho visto il cielo in terra” di cui Silvano è autore, regista e interprete. Una bella serata di teatro e una chiacchierata con un personaggio versatile, attore, regista, doppiatore, uomo di cultura impegnato da sempre in mille battaglie. Quelle giuste.

Qual è stato il tuo approccio al mondo dello spettacolo?
Il mio approccio con il mondo dello spettacolo è una cosa antica perché risale a quando avevo nove o dieci anni. E’ stata “colpa” della mamma dei Piccardi perché mio fratello Alvaro, maggiore di me, aveva già iniziato a fare teatro e radio (Alvaro Piccardi deve la sua primissima fama all’interpretazione dello sceneggiato televisivo “L’isola del tesoro”, ndr). Noi vivevamo allora a Ponte San Pietro in provincia di Bergamo. La prima cosa in cui venni coinvolto fu “La scugnizza”, un’operetta con Giacomo Rondinella, Elena Giusti e Franca Tamantini con la regia di Silverio Blasi. Occorrevano scugnizzi e poiché io ero una teppa pazzesca, nonostante la giovane età, grazie a mia madre e alla mia maestra di scuola fui coinvolto in quella produzione RAI. Poco tempo dopo partecipai, e questo è il mio vero inizio, a un atto unico di Saroyan che si intitolava “L’ostrica e la perla”, siamo nel 1956, che vide anche il debutto televisivo di Salvo Randone e di Renato De Carmine. Da queste esperienze ho imparato una grande dimestichezza con gli spazi scenici per cui non ho mai avuto il panico del palcoscenico (in questo è simile a me anche Ottavia Piccolo perché ha iniziato anche lei da piccola). Non ho mai avuto il mito del teatro. Ho iniziato a fare tournèe con Ernesto Calindri, persona molto seria, quando avevo dodici anni. Poi ho lavorato con la Compagnia dei Giovani con Giorgio De Lullo e Rossella Falk. E con molti altri...
Da “scugnizzo” della Val Brembana non impazzivo per questo mondo, pieno di insopportabili piaggerie di compagnia.
Quando arrivò il ’68 ci fu l’occasione di mandare in soffitta i vecchi miti e tabù. Nel frattempo avevo già lavorato al Piccolo Teatro, e pensai che fosse giunta ormai per me l’ora di aprirmi un varco verso forme nuove di comunicazione teatrale (è del 1965 il mio primo spettacolo in “decentramento”: PACE 66 - coinvolsi anche mio fratello!). Dopo il servizio militare, andai a lavorare con Dario Fo a La Comune. Un paio di anni fa, Liliana Feldmann, un’attrice molto nota a Milano, mi ha dato copia di un CD con la registrazione di un programma radio in cui io interpretavo il figlio di Dario Fo.
Finita, non benissimo, l’esperienza de La Comune, ho lavorato con il Gruppo della Rocca, mantenendo l’illusione di poter costruire delle esperienze dal basso. Dopo gli anni ’70, invece, tutte le forme di decentramento sono state smantellare ed è stato un momento veramente duro.

Cosa vuol dire fare teatro oggi a Milano?
Io ho sempre avuto grande difficoltà a fare teatro a Milano. Esistono strutture (i teatri stabili di produzione privata) per molti versi virtuose, al di fuori delle quali però non hai facili occasioni di lavoro. Io, per varie ragioni, in questo tipo di realtà ci sono stato solo per un periodo quando ero al Teatro Filodrammatici. In questi anni ho fatto però cose molto belle: la così detta trilogia con Ottavia Piccolo sui desaparecidos, su Israele e Palestina e su Anna Politkoskaja. Questi spettacoli sono stati prodotti da La Contemporanea di Roma, non a Milano. Produrre a Milano è molto difficile. Ora ho avviato questa collaborazione con il Teatro Delfino, in zona 4, e ho messo in scena lo spettacolo “Io ho visto il cielo in terra”, ispirato dalle vicende di san Brandano.

Progetti per il futuro?
Nella mia vita ho fatto molto esperienze. Quando ho iniziato a lavorare, c’erano compagnie con venti attori, con molti giovani, si andava in giro, si viaggiava e si viveva bene. Poi tutto è finito. Oggi fare compagnia è sempre più difficile. Il teatro, da molto tempo ormai, si sta riconvertendo al monologo. In questo mio ultimo spettacolo, io sono sì solo in scena, ma interpreto vari personaggi e “faccio vivere” le loro storie. In teatro ci sono i personaggi, le maschere…
E poi? Non sono cosa farò da grande.
In questi anni ho lavorato molto nel doppiaggio, ma oggi Milano è stata emarginata dalla produzione industriale cine-televisiva. La RAI a Milano era una forza. L'ultimo sceneggiato cui ho partecipato è stato “I promessi sposi” diretto da Salvatore Nocita che, di fatto, fu l'ultima grande produzione. Poi è stato smantellato tutto, persino la radio. Ormai a Milano in RAI si fa pochissimo. Non esiste più la fiction, viene realizzata in altre città. Anche Mediaset è più orientata su Roma e il doppiaggio sta seguendo lo stesso percorso.
Una città moderna non può vivere senza un’industria della comunicazione e della cultura. È come se scomparisse l’editoria a Milano…
A marzo ho in cantiere due progetti presso la Camera del lavoro. Uno spettacolo dedicato al tema del “femminicidio”, organizzato (il 4 marzo) da Giulia, l’associazione delle giornaliste, e uno spettacolo dedicato alle “Donne ribelli”, con Elisabetta Vergani, da un libro di Nando Dalla Chiesa (11 marzo). Per il resto, si naviga a vista.

Quali sono i rapporti con il quartiere in cui vivi e con la città?
Ho più rapporti con la zona 4 che non con la zona 3. Io vivo da molti anni in via Lambro a Porta Venezia. Un tempo in via Melzo c’era il Nuovo Canzoniere Italiano con cui ho collaborato per anni.
Aver perso questa realtà è uno dei sintomi della decadenza di Milano. Dietro il “Mistero buffo” di Fo c’è il “Ci ragiono e canto” del Nuovo Canzoniere Italiano. Se Dario non fosse entrato in comunicazione con un’idea della “cultura altra” e del mondo popolare non credo che avrebbe mai potuto realizzare il suo capolavoro.
Mi piacerebbe seguire i lavori del Consiglio di Zona, ma per i miei impegni di lavoro, finora non è stato facile. Ma sono comunque a completa disposizione. Ci conto!
Mi piacerebbe fare qualcosa per la città.
In occasione del Centenerio della Cgil, avevo lavorato intorno ad un progetto teatrale ripreso da “I tessitori” di Hauptmann. Mi piacerebbe poterlo rappresentare, anche in forma di oratorio. Chissà...

a cura di Massimo Cecconi


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